Premio Racconti nella Rete 2013 “Favola di un sogno d’amore” di Gianandrea Parisi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013C’era una volta una bambina, di nome Laura, bella come un cielo stellato, dolce come un abbraccio materno, eppure ferma nelle sue convinzioni come il più antico degli adulti. Era talmente bella che fin da piccola, gli altri bambini le stavano intorno e, con l’ingenuità tipica di quell’età, ognuno di loro non faceva che dirle: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia piccola fidanzatina?”. Ma lei si faceva seria, e senza distogliere lo sguardo rispondeva: “No, certo. Non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta. E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”.
Viveva con i suoi genitori e con un vecchio servitore, il quale, vedovo, aveva un figlio della stessa età di Laura. E quando il bambino la sentiva parlare così, sorrideva.
Gli anni passavano e Laura cresceva, in bellezza e dolcezza. A scuola tutti i suoi compagni la corteggiavano, dicendole ognuno: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia piccola fidanzatina?”. Ma lei assumeva sempre quell’espressione seria, tipica delle persone più mature, e con fermezza, rispondeva: “No, certo, non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta. E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”. Il figlio del servitore ascoltava quelle parole, e sorrideva.
Alle scuole superiori, Laura sbocciò, come un fiore meraviglioso. E tutti i suoi compagni la invitavano ad uscire, la imploravano di stare con loro, e ognuno diceva: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia fidanzata?”. Ma lei, con il tono deciso di chi sa cosa vuole dalla vita, rispondeva sempre: “No, certo. Non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta. E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”. Anche il figlio del servitore cresceva, e sempre sentiva quelle parole, e sempre sorrideva.
E così passavano gli anni, e il liceo finiva; iniziava l’università, e Laura era la consolazione dei suoi genitori, dei professori e di tutte le persone che le stavano intorno. I suoi colleghi facevano a gara per sederle accanto, per accompagnarla a casa, per regalarle fiori e gioielli, compiere gesti romantici che potessero conquistarla. Ci fu uno di loro che con i petali di 200 rose rosse segnò la strada che ogni giorno lei faceva da casa all’università, un altro che sacrificò un anno intero della propria vita per catturare due stelle, metterle in un cofanetto intrecciato di desideri, speranze e sogni, e offrirglielo in dono. E ognuno di loro non faceva che chiederle: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia fidanzata?”. Ma lei, il cui sguardo serio e sicuro mai era cambiato, rispondeva: “No, certo. Non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta. E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”. Il figlio del servitore, che continuava a starle accanto e che nel frattempo era anche diventato orfano, ascoltava quelle parole, e sorrideva dentro di se.
E venne il momento in cui ognuno di noi trova un posto nella vita, e quel momento arrivò anche per Laura. Con la tenerezza che ne era il carattere distintivo, diede il suo saluto al mondo universitario e si gettò a capofitto nel mondo del lavoro, trovando quasi subito un posto di grande responsabilità e prestigio, nel quale le sue capacità spiccavano come oasi in mezzo al deserto. Tutti la adoravano: colleghi, clienti, dirigenti. Al suo passaggio ogni cosa si fermava, gli orologi trattenevano il respiro per non disturbare, con il loro ticchettio, il fruscio lento della sua figura che attraversava quasi volando i corridoi, le penne non spruzzavano più inchiostro per il timore che qualche goccia potesse sporcare la sua pelle fatata, sedie e tavoli restavano bloccati ai loro posti in muta ammirazione dei suo capelli d’angelo. E tutti, come sempre succedeva, divenivano schiavi di ardori, chi porgendo fiori, chi doni, chi promesse e vanterie, implorandola, supplicandola sempre con le medesime parole: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia fidanzata?”. Ma lei, che nonostante fosse adulta, aveva conservato quello stesso viso da bambina, rispondeva con tenacia: “No, certo. Non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta. E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”. E mentre lei parlava, il figlio del servitore che sempre le viveva accanto e sempre con ossequioso rispetto, eseguiva ogni suo ordine, rimaneva fermo in un angolo, solo con i propri pensieri. E sorrideva.
Quando Laura compì i cinquant’anni di età, un potente uomo d’affari, che vantava la capacità di acquistare universi, per poi rivenderli a metà prezzo ai barboni della stazione, si invaghì di lei. Le fece una corte serrata, privandola persino del suo stesso respiro. Si narra che convinse lo stesso padrone dell’inferno a spegnere momentaneamente i supplizi dei dannati, pur di regalare, al cuore della donna, il silenzio più puro che il mondo avesse mai ascoltato. Le offrì le chiavi della porta di Shan – gri – là, dove meraviglie inconoscibili si prostrarono al suo cospetto, e strinse un patto con le gerarchie angeliche, affinchè il nome della donna che desiderava fosse pronunciato dalla voce perfetta di Dio. Tutto questo fece per lei. E mai si stancò di porle sempre la stessa domanda: “Vuoi essere la mia donna? Vuoi essere la mia fidanzata?”. Alcuni sostengono che Laura attese qualche minuto prima di dare la risposta, altri che l’uomo minacciò di far crollare l’intera compagine del mondo se solo avesse sentito un verso differente dal “sì”. Alcuni, i più incoscienti, giurano e spergiurano di avere percepito esitazione e paura nella voce di lei. La realtà, invece, ben diversa dalle leggende, fu che ella sorrise, quel sorriso capace di sciogliere i ghiacci eterni che vivono nei cuori degli uomini più malvagi. E soffocando la brace ardente negli occhi di lui, disse: “No, certo. Non posso fidanzarmi con te, aspetto la persona giusta.
E quando arriverà, la riconoscerò con certezza”. E vicino a lei, il ragazzo, ormai diventato un uomo, che da una vita continuava a starle accanto, scosse la testa e sorrise.
Passò ancora del tempo e finalmente Laura si ritirò nella sua villa, dove trascorse gli ultimi anni di vita soffrendo per una malattia incurabile. Chi la vide in quel periodo si ostina a spergiurare che se anche il suo fisico l’aveva tradita, la bellezza dei suoi occhi restava ferma come un soldato schierato in battaglia, e che la fierezza che aveva accompagnato ogni suo rifiuto sventolava come una dichiarazione di intenti nel vento di una serata autunnale. Quando finalmente sentì avvicinarsi il momento della sua morte, chiamò l’unica persona che le era sempre rimasta accanto durante l’intero arco della sua vita. Il suo servitore si avvicinò al talamo e ristette fermo, in attesa di ascoltare le sue ultime parole.
Ma bastò un sospiro, perchè l’uomo scoppiasse in un pianto lungo e straziante. Fra i singhiozzi diede libero sfogo ai sentimenti che da sempre aveva provato per lei, usò parole da poeta e gesti da artista per descrivere le vette alle quali lo aveva fatto giungere, vivendogli ogni giorno accanto, e le offrì le uniche cose che possedeva: se stesso, il suo dolore per la sua prossima dipartita, le lacrime versate e la sua fedeltà eterna. Infine, con un filo di voce, disse: “Vuoi essere la mia ragazza? Vuoi essere la mia fidanzata?”. E lei aprì gli occhi, ed ancora la luce traspariva da essi nonostante la malattia. Gli toccò lievemente la mano con le sue ultime forze e gli disse: “Sì, certo, adesso posso fidanzarmi ed essere la tua ragazza. Poichè in te ho finalmente trovato il mio ultimo scopo, il significato più nobile della vita che ho vissuto, e desidero che tu sia per sempre mio compagno e marito ed amico e principio e fine di ogni mio respiro”.
Ciò che successe dopo, a pochi è dato saperlo. Alcuni sostengono che una divinità commossa guarì Laura e che lei e il suo unico amore partirono per una terra lontana dove vissero ancora a lungo e dove furono benedetti dalla nascita di ben tre figli. Altri dicono che il Signore delle sabbie dei sogni, amante delle storie, li abbia chiamati alla sua corte, per l’eternità accompagnato dal racconto delle loro vicende. Chi, infine, dice che l’anziano servitore, moderno Prometeo, sia scomparso con il corpo della sua amata, e che di lui si siano perse ancora oggi le tracce. Ma la verità è una sola, e solo io posso parlarvene: io, che giunsi la mattina dopo a casa di Laura, e li trovai entrambi, l’uno fra le braccia dell’altra, stretti con la tenerezza di chi si sente al sicuro, protetto dai mali del mondo. Uniti in vita e nella morte. E sulle loro labbra un sorriso eterno.
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Il titolo rende bene l’idea del racconto. E’ una bella storia d’amore, scritta molto bene e narrata in forma di favola.
Si intuisce presto l’identità dell’uomo giusto che Laura sta aspettando, ma è piacevole il modo attraverso il quale hai condotto il lettore fino all’epilogo.
Il finale è toccante.
Seppur molto diversa, in qualche modo questa storia mi ha ricordato la bellissima “Canzone di Marinella” di De Andrè. Consideralo un gran complimento.
Racconto romantico quasi da mille e una notte. Però far arrivare Laura a cinquant’anni mi sembra un po’ troppo! Anche l’ipotesi che forse avrebbe avuto 3 figli è molto peregrina. vabbé la fantasia! Non mi convince neanche la motivazione che fa accettare alla bella Laura il servo. Unicamente per la sua fedeltà? Non so .