Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Una vita rubata” di Barbara Giorgi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Il ragazzo tornava a casa da solo, come a volte capitava adesso che era grande. Ormai conosceva la strada e non  gli faceva più paura come le prime volte. In cinque minuti quel breve tratto di strada lo avrebbe portato dalla sua famiglia. Lo amavano tanto. Lui era speciale. E questo lo sapeva bene. Era nato speciale, e mamma e papà glielo dimostravano continuamente. Lui aveva 47 cromosomi, mentre gli altri ne avevano solo 46. Era questo a renderlo così speciale: lui aveva qualcosa in più rispetto alla norma.

E poi gli piaceva attraversare la galleria, sul marciapiede senza scendere mai, come gli aveva ripetuto talmente tante di quelle volte mamma, che ora la cosa lo faceva sorridere. «Neanche fossi stupido». Disse a voce alta.

Forse fu la defezione intellettuale che lo rendeva così speciale, che gli impedì di rendersi conto che i passi, sempre più frettolosi e circospetti che rimbombavano paurosamente vicini nel buio dietro di se, non erano quelli di un passante in ritardo che si affrettava a rientrare a casa.

Un genoma normale gli avrebbe instillato qualche dubbio, una discreta dose di ansia, e una giusta quantità di paura da mettergli fretta nelle gambe e correre, correre più forte che poteva.

Ma la sua indole fiduciosa non se ne preoccupò.

Il suo cuore continuava tranquillo a zoppicare ad andatura normale. Normale per lui.

E il suo cervello elaborava pensieri semplici e belli – come la sua anima – su mamma e papà e quello che avrebbero fatto quella sera insieme, dopo cena.

Con la sua andatura lenta tirava calci a una lattina di birra che ormai era ridotta a un ammasso informe di alluminio. La luce  fioca rilasciata delle rade lampadine che illuminavano la galleria  non era sufficiente ad illuminare la strada, ma ormai lui la conosceva a memoria. Lui era intelligente.

Gli piaceva tanto la galleria, perché lì sotto tutti i suoni si amplificavano come un gigantesco stereo: lì il rombo delle auto sembrava come quello che aveva sentito al Mugello una domenica che era andato con mamma e papà a vedere le corse, tanto tempo prima. Lui quel giorno non l’aveva più scordato. Era stato in assoluto il giorno più felice della sua vita.

E fu anche perché i suoi dolci pensieri avevano la priorità su tutto, che non ebbe neanche il sentore che qualcosa di brutto stava per accadergli.

Quel cromosoma in più che lo rendeva diverso e speciale, proprio quella sera aveva permesso che la depravazione umana si accanisse contro di lui, anima semplice e generosa che aveva riposto nel prossimo più fiducia di quanto ne avesse mai meritata.

Destino avverso? No, crudeltà allo stato puro.

I passi dietro di lui si fermarono all’improvviso. E come tutte le cose destinate ad accadere, successe.

L’uomo lo afferrò da dietro stringendogli il collo con il braccio destro per immobilizzarlo. Una scantonata e una ginocchiata alla gamba destra, gli causò un cedimento di cui approfittò per deviarlo rapidamente verso una rientranza nascosta e buia della galleria.

Il ragazzo riuscì solo a sgranare gli occhi e a mugugnare per la sorpresa. Quella presa salda non gli concesse altro. Sentiva l’alito caldo di vino e il respiro affannoso dell’uomo dentro l’orecchio che farfugliava parole in una lingua a lui sconosciuta. Voleva dirgli che quella stretta lo soffocava, voleva chiedergli perché gli stesse facendo male, ma lo stupore e la sua deficienza intellettuale non glielo consentirono.

Sentì l’eccitazione animalesca della depravazione dietro di se, gonfiarsi e indurirsi all’altezza dei fianchi, e allora ebbe paura. Paura per tutte le cose sconosciute e che non capiva, e delle quali la mamma gli diceva sempre di diffidare; paura di quello sconosciuto che gli stringeva ancora la gola, e gli faceva venire da vomitare. Perché non lo lasciava andare a casa? E perché lo stringeva così forte?

Quel puzzo di alcol  che  rilasciava ad ogni zaffata gli dava alla testa. Sentiva il vomito gonfiargli lo stomaco, come quando aveva l’influenza e mamma lo metteva subito a letto con il termometro e una coperta in più.

Il rombo amplificato delle auto che correvano veloci sotto la galleria sovrastava ogni altro rumore, compresi i suoi gemiti.

Con la mano libera, l’uomo gli slacciò la cinta e con un movimento rapido gli calò i pantaloni e si libero anche delle mutande. Il ragazzo avverti un’altra forte ondata di vomito scaldargli lo stomaco e il viso, che stavolta salì dall’esofago e uscì prepotentemente dalla bocca in uno spruzzo verdastro e maleodorante di succhi gastrici. Un sudore gelato gli imperlò la fronte e brividi di caldo e freddo lo scossero di in un tremore innaturale.

L’uomo lo piego in avanti e con un calcio lo costrinse ad inginocchiarsi carponi sul suo vomito e il ragazzo ne respirò i vapori caldi e acidi. Lacrime di disperazione gli rigarono il viso ora che capiva.

Sentì il tintinnio della cinta dei pantaloni che cadeva sull’asfalto, ma non era la sua.

Gli girava la testa, il respiro affannato e disperato si confondeva con quello corto ed eccitato dell’uomo che con pochi movimenti si era liberato dei suoi pantaloni. Ed ora sentiva lo strofinio contro le natiche del suo membro nudo ed eccitato dall’abominio che stava per consumare.

Il rumore delle auto ora, era un turbinio lontano e confuso. Una nuova ondata di vomito lo colse e gli svuotò lo stomaco finendo tutto sulle sue mani. L’odore acre gli bruciava la gola.

L’uomo farfugliò qualcosa col fiato corto nella sua lingua e con una spinta pelvica iniziò il suo abominevole coito.

Mai suono così agghiacciante era uscito dalla bocca del ragazzo. Un dolore inimmaginabile lo fece urlare straziato, lo strazio di una vita rubata, e più urlava più sentiva che il piacere dell’uomo gli ingrossava il membro, e gli faceva aumentare la velocità della spinta fino a raggiungere il parossismo e l’orgasmo.

Pochi minuti e si era compiuto lo scempio. Pochi minuti di violenza per segnare in maniera indelebile qualunque essere vivente.

Pochi minuti ed era finito tutto. Ma per chi?

L’uomo bestemmiò qualcosa fra i denti nella sua strana lingua sicuramente dell’est, gli assestò un calcio nello stomaco che lo fece rotolare a terra, poi gli sputò addosso.

Si rivestì  in un attimo e lasciò il ragazzo in balia di se stesso accasciato al suolo, sofferente e solo, con la sua vita irrimediabilmente spezzata.

Piangeva il pianto silenzioso e sommesso degli innocenti. I singhiozzi e il tremore lo scuotevano ancora. Il suo povero cuore già malandato arrancava a fatica, accasciato lì per terra, sull’asfalto sporco del suo vomito, raggomitolato su un fianco e con i pantaloni ancora calati, indubbia certificazione della violenza subita.

«Mamma», mormorò. «Papà». Gli parve così di sentirli vicini.

Le menti semplici godono del privilegio di relegare in un angolo remoto le brutture meglio di chiunque altro. E Angelo non faceva eccezione.

E lo fece, a modo suo.

Chiuse gli occhi. Si estraniò dal suo corpo e dall’oscenità del presente. Sospirò piano.

Una luce bianca da lontano gli venne incontro e si sentì avvolgere in un caldo abbraccio.

La luce si dilatò e anche il calore. Aveva il sapore dolce dello zucchero filato che gli piaceva tanto.

Non era più accasciato al suolo ennesima vittima di uno stupro, sfinito e umiliato dalla vita, con un forte dolore in mezzo al petto, ma al Mugello con papà e mamma.

Era una calda giornata di primavera. Lui indossava il cappellino rosso della Ferrari con la visiera, quello che gli aveva regalato papà quando Schumacher aveva vinto i mondiali.

E ridevano, tutti e tre felici del frastuono delle auto da corsa che correvano a duecentocinquanta all’ora. Al ragazzo il rombo amplificato delle macchine in pista piaceva tanto. Mamma gli accarezzava la testa con dolcezza e  gli sorrideva benevola, e papà gli aveva comprato una bandiera grande a scacchi bianchi e neri che il ragazzo agitava al vento con orgoglio.

Mamma e papà gli avevano fatto questa sorpresa per il suo compleanno e tutti e tre insieme erano andati a vedere le corse.

Era il suo desiderio più grande e mamma e papà lo avevano realizzato. Per lui. Un’ondata di amore gli scaldò l’anima. La luce bianca lo avvolse nel suo definitivo candore.

Era al sicuro con l’affetto di mamma e papà. Era felice. Oggi, era  il giorno più felice della sua vita.

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3 commenti »

  1. Bello e tremendo. Colpisce.

  2. Grazie. Mi è piaciuto molto il “tremendo”

  3. Racconto molto forte e drammatico, che si aggrappa alla certezza dell’amore

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