Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2013 “Anna, Luca (e…)” di Silvia Pizzighello

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Si erano spostati dal loro appartamento in affitto per avvicinarsi alla casa dei genitori di Luca. Anna, mentre caricava e scaricava scatoloni di “cose” (incredibile quante “cose” si mettono da parte in una vita!), non faceva che sospirare e sbottare dopo ogni scalinata, dicendo “speriamo sia l’ultimo trasloco, non ne posso più, sai..”.
Ma quest’ultimo trasloco era stato diverso dai precedenti. Non era per spostarsi vicino all’ Università, non era per lasciare un appartamento condiviso con qualche ex- fidanzato, non era nemmeno per avvicinarsi al lavoro…
Purtroppo questa volta era diverso.
La mamma di Luca aveva iniziato a stare male a inizio dell’anno. Gli eventi erano precipitati con una rapidità tale da rendere ancora più disarmante e difficoltoso l’affrontarli. Prima, degli insospettabili malesseri, poi le visite, l’attesa interminabile degli esiti… e poi…e poi era già tardi.
La malattia aveva consumato questa piccola, ma forte donna di mezza età nel giro di pochi mesi (due mesi e tredici giorni…e le sette ore e venti del mattino del quattordicesimo, sapeva bene Luca).
Ora Anna si trovava in cucina, stava riempiendo d’acqua una pentola per fare il tè. Una sola tazza di tè. Era a casa da sola. Luca dopo una settimana di sofferto, ma riservato lutto, aveva già ricominciato a lavorare. Io non so se ce la farei pensava tra sé e sé…non so se sarei riuscita a non piangere, a non impazzire, a non gridare…e riviveva con la mente ogni singolo istante del giorno del funerale.
Era stato tremendo, una sofferenza che lei stessa non aveva saputo reprimere, lasciandosi andare ad un pianto senza fine, alimentato da ogni abbraccio dato a Luca, agli amici e ai parenti tutti.
Lui era stato molto più composto. Aveva perso il padre più di dieci anni prima. Era una triste strada, quella della perdita irreparabile, già percorsa.
L’acqua bolliva. Si alzò dalla sedia, ma non dai suoi pensieri, e mentre intingeva la bustina nell’acqua vaporosa si mise a pensare quanto sentiva l’assenza di quella donna. Che quasi ogni pomeriggio, quando non era a letto sfinita dal male, bussava all’ingresso, per condividere con lei qualche istante di serenità (e perché no, di piacevoli pettegolezzi), davanti a del buon caffè.
Le sembrava di sentire ancora adesso quel sommesso toc toc a cui seguiva un suo “aspetti che le apro”, e che dava inizio ad una mezz’ora di cicaleccio senza pause…
Ora non c’era più. Era nel silenzio, da sola, ad attendere che solo che il tè si raffreddasse e arrivasse presto sera per riavere Luca a casa.
Il rumore delle auto, fuori sulla strada, erano l’unica interruzione di quel silenzio. Assordante silenzio, pensava. Sì, le due parole definivano bene quello che sentiva in quella casa.
Non era molto a suo agio lì. Era la casa dei nonni materni di Luca, lasciata alla mamma prima e a Luca poi…ma visto quanto successo (e al prezzo degli affitti pensò con un po’ di imbarazzo), era andata bene così.
Voleva bene a Luca, le era stato vicino in momenti difficili della sua vita…praticamente ogni giorno o uno ogni due era stato difficile…
Da quando si erano incontrati, lei era riuscita a dimostrargli cosa vuol dire avere una fidanzata-contrasto vivente. Lei era proprio così, un vero e proprio contrasto vivente.
Era in un certo modo aggressiva, ma molto sensibile, era indipendente ma tollerava a fatica i rari momenti di solitudine, sentiva il bisogno di dire ciò che pensava liberamente, ma si pentiva per lunghi giorni delle conseguenze….amava i libri horror e le favole per bambini…Il bianco ed il nero insomma. Ma non si mischiavano in grigio, semplicemente si alternavano, rendendole la vita piuttosto difficile. Che donna sono…pensò.
Si mise a tavola, iniziò a sorseggiare dalla tazza, lo sguardo perso verso la cucina, dentro questi pensieri e i ricordi che ne sorgevano…ad un tratto, il tè bollente le uscì dalla tazza, le bagnò la maglia, le labbra ed il mento, provocandole un forte dolore per la scottatura.
Un istante dopo, rovesciò completamente la tazza sulla tavola, pozzanghere scure si formarono sul legno ed iniziarono lentamente a sgocciolare verso il pavimento.
Indietreggiò bruscamente con la sedia, allontanandosi dal tavolo, dalla sedia vuota accanto a lei…poi rimase lì, fissa immobile…chiuse gli occhi, lentamente raccolse le gambe e serrò le braccia forte al petto, poi iniziò a singhiozzare, inghiottendo aria in profondi respiri…come se le mancasse ossigeno da minuti interi.
Tra i singhiozzi convulsi iniziò a pregare ad alta voce, a farlo con tutto il cuore e la concentrazione che aveva, con tutta l’intensità di cui era capace. Ma in cuor suo, segretamente, iniziò a sperare, a desiderare con tutta sé stessa che pregare funzionasse.
Luca stava rientrando dal lavoro, era ormai sera ed era buio. La giornata non era stata particolarmente intensa…ma da un po’ di tempo a questa parte, anche le domeniche passate a letto, gli sembravano troppo pesanti…
La perdita della mamma, così improvvisa e allo stesso modo così lenta ed agonizzante, lo aveva svuotato. Aveva ripreso rapidamente le sue routine di lavoro, di uscite con Anna, con gli amici; ma si sentiva come guidato da una forza esterna. Si sentiva inespressivo, come se stesse vivendo solo superficialmente; aveva l’impressione che, se si fosse fermato anche solo un attimo per pensare, sarebbe finito in mille pezzi e le sue preziose routine, fili che lo sostenevano e lo animavano come un burattino, spezzate con chissà quali conseguenze.
Così semplicemente faceva. Si sforzava di non pensare e faceva.
Anche quella era stata una giornata di fare…ma non abbastanza, e così era divenuta per lui ancora più pesante, angosciante, vissuta nella fatica di riempire di qualcosa i momenti fiacchi del lavoro.
Si avvicinò a passi rapidi al vialetto d’ingresso, faceva freddo, e il vento che si infilava su per le maniche ed il collo, lo faceva rabbrividire….non vedo l’ora di entrare pensò…pensò subito ad Anna, a cosa gli avrebbe preparato per cena…al calore che l’attendeva in casa…nonostante questo, i suoi occhi si alzarono da terra per andare, come una calamita, alla casa dei suoi. Ogni sera, prima di ogni cosa, quello che cercava con lo sguardo, era la finestra della cucina dei genitori, così vicina alla casa dove viveva ora con Anna…eppure così distante. Non ci entrava da settimane ormai, aveva molto da fare lì dentro, ma non ora…ora non voleva neanche pensarci, gli veniva il vomito solo al pensiero di dover entrare lì…senza i suoi genitori.
E non riusciva, ogni sera ed ogni mattina ed ogni volta che ci passava di fronte, a non guardare verso quella stanza…sperando di vedere accesa ancora una volta la luce…come se per magia gli avvenimenti di quell’ultimo periodo, non fossero mai accaduti. Era ogni volta una fitta al cuore, dei balconi socchiusi sul buio a ricordargli che era tutto reale, e che lì non c’era più nessuno.
Poi, quasi con vergogna per non averlo fatto prima, guardava l’illuminazione che veniva dalla sua di cucina. Dove Anna l’aspettava, ogni sera. L’amava Anna, sarebbe impazzito senza di lei, era la sua ancora di salvezza, la sua spinta a continuare una vita che gli stava togliendo tutto, era…era buio.
Nero. Buio. Interdetto, si fermò nel viale. Niente luce di casa, niente Anna a salutarlo dalla finestra come spesso faceva. Strano, pensò, non doveva andare fuori oggi.
Riprese a percorrere più rapidamente il viale, cercando in tasca il cellulare per vedere se qualche sms di avviso o qualche chiamata gli era sfuggita. Niente.
Girò le chiavi nella porta d’ingresso. Il corridoio era immerso nell’oscurità e non sembrava affatto riscaldato, come era solitamente. Il suo cervello registrò rapidamente che qualcosa non andava…il suo cuore rispose, e il suo battito si fece sempre più rapido pulsare..quasi ad assordargli le orecchie.
“Anna? Anna tutto bene? Dove sei?” Disse percorrendo il corridoio verso la cucina.
Spalancò con irruenza la porta temendo di trovarla…non sapeva neanche lui cosa…ma una vocina nel cervello avrebbe suggerito morta…già, come la mamma, o come il papà…
Ma Anna non era morta.
Era seduta su una sedia, con le gambe distese e le braccia appoggiate lungo le cosce.
Dava le spalle alla porta d’ingresso, ma la sua posizione rispetto era stonata… era storta, girata di lato.
Come se le avessero servito qualcosa di tremendo sul piatto e si fosse allontanata inorridita, fu il pensiero bizzarro che gli sovvenne in quel momento.
In realtà era stato terrorizzato per alcuni istanti, “Anna che cazzo hai?” disse lasciando la 24 ore a terra ed accucciandosi davanti a lei.
Quando vide il suo volto, il terrore si impossessò nuovamente di lui, direttamente dalle viscere, dalla pancia…alla bocca, dove sentì forte di nuovo, l’istinto di vomitare.
Era sfatta, bianca alla luce che proveniva dai soli lampioni in strada, era sfatta di pianto…di quello intenso che ti gonfia gli occhi e ti arrossa le guance. Ma era lo sguardo a lasciarlo incapace di capire…gli occhi erano fissi in un punto, all’altezza delle sue ginocchia. Lo sguardo era basso come quello di un bambino umiliato da un rimprovero, e gli occhi..quelli erano letteralmente sbarrati…lo facevano impazzire due occhi così…
Senza pensarci, l’afferrò con rabbia all’altezza delle spalle ed iniziò a scuoterla con risolutezza urlando “Anna che cazzo succede? Eh? Me lo dici??”
Nel silenzio (neanche una macchina si sentiva in quel momento) e nella tenue penombra, Anna biascicò qualcosa. Con la lentezza di una paura che sentiva crescere ogni istante, Luca lasciò le sue spalle e avvicinò piano, quasi solennemente, l’orecchio alla sua bocca.
“Dimmi ti prego”, le disse pianissimo, quasi temesse di svegliarla da chissà quale stato di profonda trance…La bocca di Anna si socchiuse lentamente, si distese in una lunga fessura orizzontale, da cui trasse un profondo respiro…Con orrore Luca la guardò, il volto sfigurato da una smorfia orripilante, occhi fissi nel nulla, la bocca in un ghigno deforme…era terribile… sto per impazzire pensò, allontanandosi sulle ginocchia..
Poi Anna iniziò con un profondo inspiro, che rapidamente si tramutò in un verso gutturale e poi in un folle, straziante urlo, che prese forma velocemente e in poche parole, stridenti e fastidiose come le unghie su un muro. “E’ QUI!!”. Ogni parola distorta ed allungata, fino a lasciarla completamente senza fiato.
Poi scoppiò a singhiozzare e si raggomitolò sulla sedia.
Come scosso da mani invisibili, Luca si protese in avanti e la fece scendere dalla sedia, abbracciandola forte.
Passarono degli interminabili minuti dove rimasero così, stretti l’uno all’altro, sul pavimento di casa, come due cuccioli spaventati. Anna non smetteva di singhiozzare tra le sue braccia, poi lui la costrinse ad alzare il viso e ad allontanarsi un po’…non stava più respirando… “Respira Anna, ti prego amore, respira, calmati, calmati!”
Lei, con gli occhi iniettati di nuova follia, serrò forte le mani sulle sue, gli si avvicinò e smettendo improvvisamente di singhiozzare, con una voce che non era più una voce, o perlomeno non di Anna bensì di qualche donna abbandonata all’isteria, gli sussurrò “Io la vedo”!
La paura primitiva, quella che avvolge ed ottunde il resto del mondo, si impossessò di lui? “Chi cazzo vedi? Pazza!! Di chi cazzo parli?” Disse scuotendola con furia e terrore allo stesso tempo. Lei, con una calma inumana, gli si avvicinò e (sorridendo? Stava davvero sorridendo? …Pensò lui con orrore crescente) gli disse, “amore…” soffocò una risatina folle (si..stava ridendo) … “tua madre è venuta a farci visita…”

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3 commenti »

  1. ..lì per lì ho pensato ad una bellissima storia d’amore e di ricordi dolci poi..si è trasformata in un incubo. Sono rimasta con l’amaro in bocca ma.. è sinceramente un bel racconto Silvia! Auguri!

  2. Grazie Eleonora…sono contenta che, nonostante la ‘sorpresa’ ti sia piaciuto! 🙂

  3. Un po’ troppo aggressivo il marituzzo al ritorno dal lavoro! Il racconto sorprende ma, sinceramente, non colpisce.

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