Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2013 “Binario 10” di Laura Visconti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Le stazioni.. Luoghi dove milioni di vite si passano accanto ogni giorno, spesso senza toccarsi. Si scrutano, si sfiorano, si accostano alle altre senza creare un contatto che non sia il tempo di uno sguardo o di una stretta di mano. Luoghi di passaggio, di attese, di ritardi, di partenze, che poi si tramutano in arrivi o in ritorni. Luoghi dove un “ciao” può significare “ben arrivato”, oppure “arrivederci a presto” o addirittura “addio”.

Nelle stazioni c’è chi insegue la frenesia dei gesti, dei movimenti, chi trova l’abitudine dello stesso treno ogni giorno, alla stessa ora, chi scopre un’emozione nel rivedere qualcuno che la lontananza divide dalla propria vita, chi la scopre in un viaggio che diventa avventura, libertà.

Nelle stazioni il tempo gioca con le persone, legandole a minuti precisi ma dando sempre loro una seconda possibilità; se perdono un treno, presto o tardi, ne passerà un altro. La vita raramente concede loro questo.

Ore nove del mattino. C’era molta confusione ovunque, ai binari, nelle biglietterie, al bar, sui marciapiedi esterni. Un signore distinto con il cappotto lungo e la ventiquattro ore stretta nella mano destra passò a pochi centimetri di distanza da lui senza degnarlo di uno sguardo. Una signora piccola e paffuta con un foulard lilla legato al collo e una giacca nera puntò gli occhi nella sua direzione, ma si accorse che non stava guardando lui, bensì lo schermo dove erano indicati i treni in partenza.

“Il treno regionale 5763 delle ore nove e dieci proveniente da Firenze Santa Maria Novella e diretto a Lucca è in arrivo al binario 9, allontanarsi dalla linea gialla”, annunciò la voce proveniente dagli altoparlanti. Lui si voltò verso sinistra e vide un ragazzo moro, con i capelli a spazzola, correre verso le scale che lo avrebbero condotto nel corridoio sotterraneo che portava ai vari binari. Tra le mani stringeva un piccolo bouquet di anemoni lilla. Chissà se il treno per Lucca era il suo e lo avrebbe portato da colei a cui erano destinati quei fiori o se le correva semplicemente in contro poichè stava arrivando da lui. L’anemone simboleggia la speranza e l’attesa, un modo per dire “torna da me”. Il fischio del controllore del treno lo distolse da quel pensiero..

Ore dieci. “Annuncio ritardo. Il treno regionale 8762 delle ore dieci e quindici proveniente da Pisa e diretto a Firenze Santa Maria Novella arriverà con venti minuti di ritardo, ci scusiamo per il disagio”. Un ragazzo con la borsa a tracolla sbuffò vistosamente esclamando: “Maledizione, arriverò tardi all’esame!”. Allargando le braccia si diresse sconsolato verso la sala d’attesa. Venti minuti ad aspettare. Prolungare un’attesa significa mettere alla prova la pazienza, che prima era bilanciata su un certo lasso di tempo e poi deve essere ricalibrata, riadattata. Le stazioni sono i luoghi dove spesso quest’ultima viene messa a dura prova.

Passarono cinque minuti, dieci, una ragazza con i capelli a caschetto biondo e magra vedendo il giovane lo salutò con enfasi, si sorrisero. “Da quanto tempo! ma prendi sempre il treno a quest’ora?”, chiese lei.

“Veramente no, oggi il mio è in ritardo di venti minuti e così sono qui ad aspettare”, rispose lui.

“Ecco perché non ti avevo mai visto!”, esclamò lei.

“Già, a quanto pare non tutti i mali vengono per nuocere”, disse lui guardandola con gli occhi sorridenti. Lei arrossì. Insieme si diressero verso il binario 1 chiacchierando con entusiasmo. A vote i treni giocano anche con le coincidenze e le stazioni diventano luoghi di appuntamenti con il destino.

Ore undici. Una signora con un viso piccolo e stanco trascinava dietro di sé un trolley grande la metà di lei, tenendo la testa bassa. Aveva un’espressione infinitamente triste, quasi le avessero spento gli occhi. Non si capiva se era più pesante ciò che c’era nella valigia o ciò che c’era dentro di lei. Si fermò davanti al tabellone delle partenze e guardò prima il biglietto che teneva in mano, poi le scritte luminose. Scosse la testa. “Binario 5..Perchè?” la sentì esclamare con voce roca tra sé e sé. Poi la vide voltarsi e guardare verso la direzione dalla quale era venuta. C’è chi, facendo le valigie, ci mette dentro i sogni e chi invece ci ammassa i ricordi che non riesce a lasciarsi alle spalle.

Ore dodici. “Il treno Eurostar Italia proveniente da Roma Termini e diretto a Parigi delle ore undici e diciotto è in arrivo al binario 8, allontanarsi dalla linea gialla.” Due ragazzi e due ragazze con degli zaini enormi sulle spalle salutarono un uomo e una donna che predicavano raccomandazioni, prudenza e responsabilità. “Aspettavamo questo giorno da tantissimo tempo, finalmente! Sarà un’avventura fantastica!”, esclamò una delle due ragazze, saltellando e facendo dondolare il sacco a pelo appeso allo zaino. Si salutarono di nuovo e si divisero, i quattro ragazzi scesero le scale, i due adulti si avviarono verso l’uscita. Quando si è giovani la vita è una scoperta del mondo, un tuffo nell’ignoto, e poco importa da dove inizia il viaggio, l’importante è dove ti porterà e questo avrebbe esercitato su di loro una mutazione indelebile, non sarebbero più state le persone che erano al momento della partenza.

Ore tredici. Molta gente iniziava a dirigersi verso il bar, anche la fame ha il suo orologio. Una mamma teneva per mano un bambino che camminava incerto. Lo salutò con la mano e altrettanto fece il piccolo, sorridendo dietro al ciuccio arancione. La donna lo sollevò da terra e lo fece sedere sulla panchina vicino all’edicola. “Adesso aspettiamo qui che arrivi papà. Guarda, vedi quelle scale?”, disse lei indicandole con il dito, “Papà arriverò da li da un momento all’altro”. Il bimbo batté le mani tutto contento e la donna guardò nel tabellone gli orari degli arrivi, gli occhi le brillavano. Ci sono attese che nutrono non solo il tempo, ma anche le anime. La voce dall’altoparlante annunciò l’arrivo del treno del marito al binario 3. Poco dopo un uomo alto e robusto con la divisa da militare e un bosrone sulle spalle apparve all’improvviso. Appena vide la donna e il bambino si mise a correre a braccia aperte e altrettanto fecero loro. Tutti e tre si strinsero forte appena si raggiunsero e l’uomo baciò prima il figlio e poi la moglie. Fu come se il tempo si fosse fermato, imprigionato in quell’abbraccio.

Ore quattordici. Anche lui decise che era ora di mettere qualcosa sotto ai denti. Entrò nel bar, si mise in fila e si guardò attorno: uomini che bevevano di corsa l’ultimo sorso di caffè, altri che prendevano un sacchetto con il pranzo da portare via, chi leggeva il giornale, chi mangiava da solo consultando l’oroscopo, pensando che le stelle potessero decidere al posto suo l’andamento della giornata.

“Il treno Frecciarossa 7795 proveniente da Venezia Santa Lucia e diretto a Napoli Centrale delle ore quattordici e dodici partirà dal binario 4 anziché dal binario 1”. Una massa di persone iniziò a spostarsi dal marciapiede adiacente al bar verso la scalinata. Qualcuno si mise a correre, una donna quasi inciampò nelle sue due valigie e un uomo gentilmente l’aiutò a trasportarle. Quando un qualcosa stravolge all’improvviso i piani ci si fa sempre prendere dal panico. Nella confusione una giovane ragazza si scontrò con un’altra che correva nel senso opposto. La seconda finì per terra, ritrovandosi seduta sull’asfalto. La prima l’aiutò a rialzarsi, dicendole qualcosa. Da dietro la vetrata del bar lui continuava ad assistere alla scena, le ragazze continuarono a parlare per qualche istante; la ragazza che cadde a terra indicò il tabellone al binario 1, l’altra scosse la testa e indicò le scale, mostrando quattro dita della mano. Entrambe corsero dietro a tutte le altre persone che si stavano spostando al binario 4. Il destino ha la sua puntualità e quando meno te lo aspetti ti cambia le carte in tavola, o i binari del treno. Magari a metà del viaggio le loro strade si sarebbero divise, ma quell’imprevisto le aveva fatte incontrare, anzi, scontrare.

Ore quindici. Di fronte alle biglietterie un ragazzo con i jeans aderenti e un cappottino nero corto parlava a voce alta al telefono camminando avanti e indietro, gli si leggeva l’agitazione nel tono, nei movimenti. “Come non hai preso il treno? Cosa significa che non te la senti più? Voglio vederti dobbiamo parlarne assieme, non puoi prendere una decisione così da sola”, diceva lui in preda ad un misto di rabbia e un principio di disperazione. “Prendi il prossimo treno, sistemeremo tutto”, le disse quasi implorandola, con gli occhi sbarrati dallo stupore. Iniziò a guardarsi attorno in preda al panico, poi fissò il tabellone delle partenze, guardò il cellulare, premette il tasto rosso e se lo mise in tasca. Corse al primo sportello libero della biglietteria e chiese un biglietto di sola andata per Torino. Non aveva borse, valigie, nulla. Aspettarsi è pur sempre un modo di restare legati, nel tempo, nello spazio, nei desideri e se si spezzano le attese viene reciso quel filo invisibile che tiene unita una persona ad un’altra.

“Il treno Frecciabianca 9763 proveniente da Roma Termini e diretto a Torino Porta Nuova delle ore quindici e ventitré è in arrivo al binario 6, allontanarsi dalla linea gialla, la prima classe è in testa al treno”.

Le attese sono legate al domani e se vengono infrante si resta inchiodati all’oggi senza più riuscire a fare un passo oltre il calare del sole, perchè un’attesa infranta non vedrà più l’alba di un nuovo giorno.

Ore sedici. “Il treno regionale 2491 proveniente da Siena e diretto a Grosseto delle ore sedici e tre è in arrivo al binario 2, allontanarsi dalla linea gialla.” Si era messo a sedere sul muretto della scalinata guardando le persone emergere dal sottosuolo. Proprio dal binario 2 vide arrivare una ragazza giovane dall’aria spaesata che girava più volte su se stessa, persa, disorientata. Trovò un controllore e gli spiegò che aveva sbagliato treno, doveva andare a Viterbo. L’uomo le disse che avrebbe dovuto fare un po’ di cambi, che era comunque stata fortunata, il treno diretto per Viterbo aveva avuto un guasto ed era fermo in mezzo alle campagne e a quanto pareva, li sarebbe rimasto per un bel po’. Da un treno sbagliato si fa sempre in tempo a scendere e qualche volta uno sbaglio può essere la cosa più giusta che si possa fare.

Ore diciassette. Un macchinista sulla sessantina scese dalla carrozza in testa al treno e toccò con il palmo della mano quella sua fredda lamiera. “A domani”, disse, come se stesse salutando una persona. Faceva quel lavoro da più di trentasette anni, l’orologio sempre infilato nel taschino, puntuale e preciso. Le sue giornate erano scandite dagli orari dei treni, che ormai sapeva a memoria. Ogni giorno partiva dal binario 7 alle ore sei e quarantacinque, tre ore e venti di viaggio, quindici di pausa, poi ripartiva alle nove e venticinque, arrivava tre ore e venti minuti dopo e così via. Quei treni lo aspettavano ogni mattina, erano una sorta di intima sicurezza, senza di lui non sarebbero andati da nessuna parte, li guidava lungo le rotaie, ne conosceva i meccanismi, l’andatura, i rumori. In quelle lunghe ore di lavoro qualcuno, indirettamente e inconsapevolmente, aspettava lui, per essere condotto al lavoro, a casa, in un’altra città, lontano..

Il buio si era fatto fitto. L’autunno inoltrato rapiva troppo presto la luce del sole al cielo. Lui guardava con curiosità quell’uomo le cui giornate ruotavano attorno alle attese, sue e degli altri. Quando sai cosa aspettare e cosa aspettarti non ti curi nemmeno delle stagioni che cambiano. Si guardò ancora una volta attorno, come aveva fatto per tutto il giorno. Quella mattina era passato alla stazione senza nemmeno sapere il perché, forse voleva partire o sognare che arrivasse qualcuno. Ma non era accaduto nulla di tutto questo.

Si avviò verso le scale, le discese e percorse il lungo corridoio guardando le varie destinazioni dei treni. Arrivò al binario 10, l’ingresso era sbarrato da una rete arancione bucherellata. Decise di spostarla tanto quanto bastava per riuscire a passare, fece i venti gradini che aveva davanti a sé e si ritrovò sul marciapiede di quel binario quasi fantasma. Lì non arrivava e non partiva nessun treno. Si sedette sulla panchina di marmo sotto al tabellone ancora coperto dai cartoni e dallo scotch da pacchi. Per un senza tetto come lui la vita era come un vecchio treno merci fermo e abbandonato sulle rotaie.

..L’ATTESA..

Può essere una benedizione o una maledizione, se non sai chi o cosa aspettare ma soprattutto, se non sai per quanto tempo..

 

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9 commenti »

  1. Vedere scorrere la vita degli altri e immaginarla. Un modo per far scorrere anche la propria. Un racconto triste, scritto molto bene.

  2. Hai centrato il cuore del racconto Silvia… Grazie..

  3. Individui anonimi ritratti con sensibilità e finezza psicologica tali da renderli compagni di viaggio della nostra vita quotidiana .

  4. Molto bello questo tuo racconto ferroviario, pieno di vite diverse nel caos degli arrivi e delle partenze. Due cose, però, mi sento di aggiungere. La prima è il tempo della narrazione. Io avrei usato il presente indicativo invece del passato remoto. La seconda riguarda l’ultima frase che chiude il racconto. Io l’avrei tolta e avrei concluso con la bella immagine del senza tetto che trova rifugio in un treno merci fuori servizio, su di un binario morto. Comunque complimenti

  5. Grazie Giovanna per i complimenti e per le osservazioni, è sempre utile vedere il punto di vista degli altri 🙂 La frase finale è una riflessione attorno al quale ruota il racconto.. 🙂

  6. Mooolto affascinante oserei dire; ognuno di noi poteva essere uno qualsiasi di quei personaggi anonimi, il ché rende tutto ancora più interessante, bello anche l’invisibile filo conduttore del destino che fa incontrare-scontrare, rincontrare-ritardare, arrivare o partire…semplice e molto efficace e per questo speciale! complimenti!!

  7. Grazie mille Alessandro.. 🙂

  8. Lauretta, trovo questo pezzo immensamente bello, soprattutto il pensiero finale, trovo che, a conclusione di una giornata all’interno di un luogo che racchiude speranze, disillusioni, attese, sia perfetto….brava!!!!

  9. grazie infinite Caterina 🙂 credo che il tema dell’attesa sia una cosa che tocchi un pò tutti, e i modi di viverla sono davvero molti, questi sono solo alcuni..

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