Premio Racconti nella Rete 2013 “La favola del gigante irlandese” di Gianluca Meis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Non lontano dalle rive del lago Neagh, nel nord est del Regno Unito, tutti attribuivano l’eccezionale altezza fisica di Charles al fatto che fosse stato concepito in cima ad un pagliaio.
Nei giochi tra bambini era quello che tirava la palla più lontano. Nei campi riusciva a raccogliere le mele, anche dai rami più difficili da raggiungere per la madre o gli altri contadini. Era sempre il primo ad avvistare qualsiasi mezzo si avvicinasse in lontananza a Drummullan. Ma quando tutti ebbero finito di mettere i denti, cambiare la voce o farsi la prima barba, Charles continuava a crescere.
Le gambe e le braccia si allungavano. Non poteva più guardare negli occhi nessuno senza doversi prima sedere. E anche in quel caso occorreva che il suo interlocutore fosse più alto della media. Non c’era donna che sognasse di farsi accompagnare all’altare da lui. Che figura ci avrebbe mai fatto con un gigante al fianco? La sposa sarebbe parsa ridicola a chiunque. Stare con lui faceva sembrare piccoli e insignificanti. Tanti, troppi, preferivano stare alla larga dal gigante, passato con gli anni da simpatica curiosità ad anomala bizzarria.
Tutto quello che Charles si sentì di fare fu mettere le sue giacche e le sue camicie, cucite su misura per lui dalla madre, in una valigia e partire alla volta di Londra.
Arrivato nella capitale non faticò tuttavia molto a ritrovare gli stessi sguardi di curiosità dai quali aveva cercato di fuggire. I pochi soldi che aveva non gli avrebbero permesso che qualche giorno in albergo e la ricerca di un lavoro andava assai a rilento. Trovò da fare al vecchio porto come scaricatore, ma il salario era basso. Non parlava con nessuno tranne che con un vecchio di nome Eric; lo aveva preso in simpatia perché anche lui originario di un paesino nei dintorni del lago Neagh. Un giorno gli capitò di trasformare l’ennesimo tentativo da parte di un collega d’offenderlo in una risorsa. “Dovresti stare al Cox, non al porto!”
Il Cox era un museo nei pressi di Cockspurstreet, vicino a Charing Cross station. Un museo particolare: vi erano esposte cose strane che il proprietario aveva comprato negli anni da vari circhi. Era qualcosa a metà strada tra un gabinetto scientifico e una raccolta truffaldina di sirene, uccelli rari, animali mitologici e “scherzi della natura” finiti, dopo la morte, in una qualche vasca di vetro piena di un liquido piuttosto puzzolente. Qualsiasi sprovveduto poteva restare stupito di fronte alla sirena di Melbourne che, come recitava la didascalia, fu rinvenuta al largo della città australiana e portata a Londra per essere esposta niente meno che per la regina! Charles, che stupido non era, vide subito la maldestra sutura tra la parte superiore di una povera scimmietta, impagliata chissà quando, e la coda di un grosso salmone, come ne aveva pescati tanti nel lago di Neagh!
Alla sua prima visita gli capitò la fortuna di trovare alla cassa il padrone stesso del museo, il quale non si lasciò sfuggire per un attimo l’occasione d’avere nel suo locale una meraviglia simile: oltretutto viva. Né impagliata né in formaldeide. Charles iniziò così a lavorare come tutto fare al museo, il quale in breve tempo visse una nuova stagione di successi del tutto simile ai giorni in cui fu aperto per la prima volta. La gente veniva soprattutto per la meraviglia più grande di tutte, anzi, la più alta! Grazie al nuovo lavoro Charles poté anche affittare una casa proprio a fianco del museo e finalmente riuscì anche a farsi fare dei mobili su misura per lui. Per la prima volta nella sua vita poté dormire senza dover tenere i piedi e le gambe, fin quasi al ginocchio, fuori dal letto. Poté mangiare stando seduto obbedendo al proverbio di tenere “le gambe sotto la tavola” e non stando ad un metro per doversi poi chinare in avanti. Aveva insomma trovato una vita a sua misura.
La serenità conquistata non durò a lungo. Una notte dei ladri entrarono in casa sua, mentre lui era fuori a bere con il proprietario del museo Cox, e gli portarono via ogni soldo risparmiato, ogni cosa con un poco di valore che fosse possibile trasportare. Persino una cornice in argento all’interno della quale Charles aveva l’unico ricordo dei suoi genitori nel frattempo morti. Gli lasciarono a far da compagnia un Fuck the Giant inciso con la punta di un coltello sulla porta. Il dispiacere fu molto e così Charles iniziò a moltiplicare le occasioni, che per lui erano già sufficientemente numerose, per bere. Si ridusse a diventare alcolista. Gli capitava spesso di arrivare sbronzo anche al lavoro. In una di queste volte, mentre girava con la scopa per le sale del museo, più per reggersi che effettivamente per pulire, la sirena di Melbourne per un attimo gli parve parlare: “Charles toccherà anche a te”. Mentre sgranava gli occhi, arrossati dall’Wisky, sentiva i feti con due teste nei barattoli prenderlo in giro: “il gigante irlandese, il gigante irlandese…non troveranno mai un barattolo tanto grande per te”.
Il giorno dopo quell’episodio Charles andò a trovare Eric. Gli chiese solennemente una promessa. In caso Charles fosse morto prima di lui, voleva che Eric buttasse in mare il cadavere. Doveva a tutti i costi impedire a chiunque di ottenere il suo corpo per farne studi o peggio, per esporlo in un museo come il Cox!
Eric, ridendo, giurò alzando la mano sinistra e tenendo l’altra sul cuore, pensando così di tranquillizzare l’amico. Le angosce di Charles nei giorni successivi andarono sempre più aumentando, e più crescevano più ricorreva al Whisky per stare tranquillo. In pochi mesi era il fantasma di sé stesso. Così alto e magro da far spavento e sembrare agli altri in preda ai capricci del vento. Charles in effetti barcollava, ma la colpa era sempre e solo del suo essere ormai costantemente sbronzo. Una mattina non si presentò al museo per il suo turno di lavoro. Così fece anche il giorno dopo e l’altro ancora. Il proprietario iniziò a preoccuparsi, anche perché vedeva le finestre della sua casa, lì accanto, sempre chiuse. Era già andato a bussare ma nessuno aveva aperto. Si decise così a chiamare la polizia e a fare con loro irruzione in casa. Trovarono Charles riverso sul tavolo, con la testa tra le braccia conserte, morto soffocato disse il medico interpellato dalla polizia. Lo stesso medico, alla fine della visita legale sul posto, chiese ai poliziotti: “Che ne farete ora del corpo?” “Se nessuno lo reclama finirà all’obitorio e qualcuno provvederà a seppellirlo”. “Se nessuno lo reclama potrei averlo io per degli studi che sto da anni conducendo?”.
La notizia della morte di Charles si diffuse in fretta e furono in molti a far visita al suo cadavere all’obitorio. Ma non un amico. Erano tutti medici che ne reclamavano il corpo per poter fare degli studi, delle ricerche, e magari pubblicarne i risultati su qualche rivista, sperando in chissà quale scoperta. Eric purtroppo in quei giorni era al largo, su una chiatta diretta al nord per scaricare del pesce. Seppe della morte dell’amico troppo tardi per onorare la sua promessa. Il corpo di Charles fu venduto da un poco onesto funzionario dell’obitorio pubblico, ad un ricco anatomista: John Hunter. Questi per paura d’essere scoperto fece bollire subito il corpo di Charles finché non comparvero le ossa. La bollitura dello sfortunato gigante durò diversi giorni e nei due anni successivi più nessuno seppe nulla di Charles, né Eric riuscì a scoprire che fine avesse fatto o se poteva portare almeno un fiore su una qualche tomba. Lo scheletro di Charles alla fine ricomparve: una gigantesca teca in cristallo, anche questa fatta rigorosamente su misura, mostrava le ossa bianche e ben riordinate da Hunter – su un supporto in metallo assai costoso – nel museo che il bizzarro anatomista si era nel frattempo fatto costruire. Non truffaldine sirene o feti abortiti. Nulla di tutto questo. Il museo di Hunter era una moderna visione dell’uomo. Ossa di nani, giganti, crani con tumori ossei, arti amputati perché malformati o mai cresciuti. Non più le favole di mostri mitologici, ma mostri veri, come lui stesso andava orgogliosamente ripetendo. Mostri veri.
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Mostri, mostri veri.
Questo pezzo ha un mondo dietro che è affascinante e spaventoso allo stesso tempo, tutte le parole sono perfette e al loro posto: una favola senza finale lieto. Quello che più mi piace di questo pezzo, però, è l’atmosfera che riesce a creare. Veramente tanti complimenti all’autore…
whisky…si scrive “whisky”…oltre che muta ho l’h “fuggiasca” eh eh eh
…povero gigante, che tristezza…e, pensare che il racconto rispecchia molto bene la solitudine dei diversi. Mi è piaciuto molto perchè delicato di sentimenti!
Fosse stato concepito in cima ad un pagliaio…..mi è piaciuta molto…mi ha fatto sorridere…..Questa fiaba….inizialmente è prettamente formata da un inizio ,secondo me, prettamente diretto ai bambini,poi va sfumando verso l’adolescenza e in chiusura….alla fase adulta……Grazie mi ha dato varie emozioni leggerla.
Grazie dei commenti 🙂 @Anna: hai colto le mie intenzioni, diciamo “evolutive” nel procedere col racconto, grazie!
l’incipit è strepitoso, conquista subito l’idea del pagliaio – e si respira l’aria moorish, l’odore del fieno.
notevolissimo pure l’accumulo finale, quello a base di ossa di nani etc..
questo racconto mi è piaciuto, la metafora della deformità funziona
GD
Come nei migliori racconti, la favola è nera come la notte e più vera del vero… Perciò si stenta a crederla e dopo averla letta ci si sente un po’ bene e un po’ no. Si ride e si piange insieme, si riflette molto. Narrazione magistrale.
In parte l’ho sentito vicino e in parte troppo lontano dalla realtà’ . Avrei voluto sentire altre possibilità’.
Molto suggestiva l’immagine del pagliaio che apre il racconto e molto triste questo gigante che, dopo un furto in casa, sprofonda ( forse troppo facilmente) nell’alcol! Il finale giunge inatteso e impietoso, come a dire che per i diversi non c’è riscatto. Bè forse è ancora così, speriamo in un fuuro migliore.
Il racconto rispecchia molti aspetti (brutti) del mondo reale (la discriminazione verso il “diverso”, precarietà economica/disoccupazione, la scienza che a tutti i costi vuole accalappiarsi la “ricerca” senza scrupolo alcuno)…ed è per questo che mi è piaciuto, misto tra fiaba e realtà. bravo!
Alessandro, il tuo entusiasmo mi piace. Ho letto tutti i tuoi commenti. Ti vorrei al pezzo quotidianamente, nella mia vita, da quando mi alzo a quando mi corico sfatto. Ti chiedo però ora di individuare un racconto che NON ti piace e ti commentarlo come merita. Ciao. 🙂 CEMF
“di” commentarlo
Oltre a tutti i miei commenti hai per caso letto anche il mio soggetto?? Comunque hai ragione Fairendelli, sarebbe giusto come dici tu, è vero, però personalmente commento solo laddove posso esprimere un commento, ovvero se il racconto mi ha trasmesso qualcosa, magari la politica non è del tutto corretta, ma non sono un critico (e in più sono un semplice lettore, non uno scrittore) quindi non posso permettermi di giudicare negativamente un racconto, non è da me in quanto troppo rispettoso del lavoro altrui per “macchiarlo” di un cattivo giudizio…se un racconto non mi piace mi sembra inutile farglielo sapere all’autore, per fortuna ci sono altri “critici” nel sito pronti ad aiutare a crescere, io non sono tra quelli.
Scusa per questa parentesi Gianluca!!
ok! 🙂 CEMF
non c’è bisogno di scusarsi 🙂 e grazie dell’attenzione eh eh eh
Mi piace, una favola nera senza lieto fine e proprio per questo più intrigante !
Che storia…l’ho letta tutta d’un fiato! Mi ha colpito in particolare il rapporto che una persona che fisicamente viene tenuta ai margini, riesce a trovare una speranza anche nelle persone che le stanno accanto. Mai i mostri sono i mostri o i mostri sono i non-mostri.
Un giusto viatico fra finzione e realtà, a me è piaciuto molto.. Bravo! Matteo
Grazie Sabrina, Cinzia e Matteo 🙂