Premio Racconti nella Rete 2013 “Le mogli” di Giovanni Caputo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Miei cari, spero stiate bene, i vostri figli? Saranno ormai degli ometti… Come scorre la vita in città?
Vi scrivo per disperazione. Come sapete io e mia moglie da tempo abbiamo scelto di vivere isolati dal mondo in questa baita di montagna. Avevamo creato per noi un microcosmo che ci rendeva autosufficienti e liberi da tutto e tutti. Un distacco dalla civiltà mai doloroso, anzi, l’autonomia plasmata attraverso la progettazione e la realizzazione accurata delle condizioni necessarie per vivere qui ci aveva resi felici. Avevamo disposto le basi per una vita emancipata dagli altri, ma non per questo priva delle comodità proprie del mondo moderno. Un gruppo elettrogeno alimentato dal vento e dal sole ci forniva energia, avevamo canalizzato l’acque di una sorgente vicina fino all’impianto idrico della baita e lavoravamo la terra che ci ripagava a sufficienza per le nostre esigenze.
Insomma, miei cari, tutto procedeva per il meglio.
Una notte però accadde qualcosa che cambiò repentinamente la nostra vita. Fui svegliato da un rumore sordo proveniente dalla cucina, d’istinto mi girai nel letto e nel buio cercai con la mano mia moglie, non la trovai. Accesi la luce sul comodino e la chiamai:
“Amore cosa succede? Tutto bene?”
“Sì, tutto a posto, ci siamo alzate per bere un bicchiere d’acqua, siamo inciampate sul gradino della cucina e siamo cadute, ci siamo procurate un livido al ginocchio, niente di grave”
“Come sarebbe a dire … “s i a m o”… chi c’è lì con te?”
“Nessuno siamo sole”.
Pensai ad uno scherzo, anche se il tono della voce di mia moglie non denotava sarcasmo. Mi alzai, la raggiunsi in cucina e fu lì che raggelai per la scena che mi si presentò sotto gli occhi.
Amici miei, sedute su due sedie attorno al tavolo del tinello vi erano due donne identiche con due bicchieri d’acqua fra le mani. Due persone che si guardavano negli occhi in silenzio. Due mogli.
La prima spiegazione logica che si fece strada nello sbigottimento fu che mia moglie avesse una sorella gemella di cui io non ne conoscevo l’esistenza e che avesse concepito quel modo insolito e inquietante per presentarmela. Pensai dunque ad una messinscena costruita ad hoc al fine di sbalordirmi, ma atteggiamenti così non erano propri del suo carattere. Lei non era certo il tipo di persona da escogitare stratagemmi di quel genere. Era una donna intelligente ed ironica, ma la situazione che mi si presentava sotto gli occhi disegnava evidentemente qualcosa di organizzato con cura nei minimi dettagli, una scena decisamente troppo perfetta per essere una rappresentazione preordinata a tavolino da lei.
Mi avvicinai lentamente a loro, presi una sedia, la girai con lo schienale al contrario in modo da appoggiare i gomiti sulla spalliera e sedendomi domandai:
“Complimenti, bella scena! Chi di voi due è mia moglie?”
“Sono io, caro” – ripeterono all’unisono con tono rassicurante.
“Adesso basta, lo scherzo è bello se dura poco. Cosa credete che io non sia capace di distinguere fra voi due la donna che conosco ed amo da una vita?”.
Non risposero, accennarono un sorriso un po’ malinconico e bevvero un sorso d’acqua.
“Bene, raccolgo la sfida. Mia moglie ieri, mentre stirava, si è procurata una scottatura all’avambraccio destro; per favore potete tirare su la manica del pigiama?”.
Lo fecero in silenzio, tutte e due avevano la stessa ustione, medicata allo stesso modo.
Cominciai a perdere la pazienza, mi alzai afferrai le loro mani, tolsi dalle dita le fedi nuziali. Dentro vi erano incisi i nostri nomi e sul bordo esterno di entrambe era evidente un segno, un graffio profondo, procurato accidentalmente mesi prima dalle forbici per la potatura.
Chiesi loro di parlarmi di episodi dei quali solo io e mia moglie eravamo a conoscenza, fatti remoti, alcuni davvero marginali ed insignificanti che perfino io facevo fatica a ricordare, impossibili quindi da studiare a memoria.
Si scambiarono uno sguardo di intesa, poi una di loro prese a raccontare in modo dettagliato circostanze intime che solo mia moglie poteva conoscere. Ebbi il tempo di rasserenarmi, ma solo per un attimo poiché l’altra donna, interrompendo la prima, continuò fluidamente il racconto, senza sbavature, senza tentennamenti.
“Ora è tardi, torno a dormire” – disse una di loro alzandosi e avviandosi verso la camera da letto.
“Ti raggiungo tra un attimo, il tempo di bere ancora un goccio d’acqua” – replicò l’altra.
A me non rimase che seguirle in camera da letto, si distesero una di fianco all’altra e mi invitarono ad infilarmi sotto le coperte, stordito obbedii come un automa. Ovviamente non chiusi occhio per il resto della notte, loro invece presero a dormire quasi subito.
All’alba si svegliò per prima quella coricata accanto a me e, vedendomi desto mi chiese:
“Buongiorno caro, potresti spostarti più in là? Devo alzarmi e non vorrei svegliare Maria”
“Maria? Allora è lei la mia vera moglie, ma se Maria è lei tu chi diavolo sei?”
“Ma amore sono anch’io Maria, siamo in due”.
Quella naturalezza mi irritò, mi alzai di scatto, entrai in bagno e misi la testa sotto il getto d’acqua gelida. Starnutii e dal naso mi uscì un rivolo di sangue:
“Maria, potresti portarmi del cotone imbevuto di limone?”
“Certo tesoro arrivo subito, però dovresti farti visitare da uno specialista, non è possibile che tu debba perdere sangue ad ogni starnuto”.
Mi aiutò amorevolmente a fermare l’emorragia porgendomi piccoli tamponi di cotone imbevuto, poi mi accarezzò il viso.
Sentivo il profumo della sua pelle, lo sentivo mio e lei era lei, mia moglie. Non poteva essere nessun’altra.
La lasciai in bagno e tornai in camera da letto, mi sdraiai accanto all’altra donna, all’altra moglie, la sua pelle emanava lo stesso profumo. Le spostai i capelli dal collo e le scorsi il piccolo neo a forma di cuore sulla spalla, lo sfiorai con l’indice, lei si girò verso di me e mi baciò l’interno del polso.
Ero smarrito, non sapevo che fare. La tensione emotiva non mi lasciava ragionare, non mi lasciava tregua. Giravo nervosamente intorno alla casa e intorno a me stesso senza ottenere risposte che potessero darmi una spiegazione plausibile, ammissibile logicamente. Anche se, amici miei, c’era ben poco da analizzare, ciò che stava accadendo dentro casa era la negazione personificata del raziocinio: una persona si era sdoppiata in due donne uguali.
Per spiare i loro movimenti aprii dall’esterno le ante della finestra che dalla cucina danno direttamente sul giardino, le due donne erano indaffarate nei normali lavori domestici della mattina. Pur non parlando mai tra di loro, nei gesti c’erano cortesia e rispetto reciproci.
Nei giorni successivi la vita scivolò via all’interno di una cornice paradossale, non accadde niente di anormale, salvo il fatto che in casa eravamo in tre. Le mie mogli si comportavano e parlavano come se niente fosse accaduto.
Le mie domande sul loro sdoppiamento si fecero man mano sempre meno incalzanti e ossessive. Ogni tanto pensavo di chiamare qualcuno, di portare a conoscenza gli altri di quell’evento incredibile, ma finivo sempre per rinviare. In fondo dentro quella vita ci stavo bene e poi chi mai mi avrebbe creduto? Certo, magari avrei potuto parlare col medico del paese, lui sarebbe venuto a trovarci e avrebbe visto con i suoi occhi, ma ero pronto a subire le conseguenze mediatiche di un evento così straordinario? Ero pronto a portare sotto i riflettori una situazione così assurda, ma anche così intima? No, non lo ero.
Cari amici, vado rapidamente verso la conclusione di questa storia tralasciando la descrizione dei dettagli di una vita quotidiana che nulla aggiungerebbero al senso vero dell’evento.
L’altro ieri rientrando dall’orto vidi sul letto due valige identiche chiuse. Le mie mogli erano sedute di fronte al caminetto con le sciarpe e i cappotti appoggiati sulle loro gambe. Mi rivolsi a loro sorpreso:
“Ho visto le valige, pensate di partire?”.
Mi risposero parlando una per volta, ma ripetendo le stesse frasi:
“Tu sei pazzo. Da tempo hai la fissazione che io mi sia sdoppiata, che io sia due persone. Ho cercato in tutti i modi di ricondurti alla ragione, ho cercato di parlare con un medico, ma me lo hai impedito. Ho avuto paura per me e per te. Ora non ce la faccio più, vado via, scappo da te, dalla tua follia. Se vuoi imbraccia pure il fucile, minacciami, spara, uccidimi, ma io adesso entro in camera prendo la mia valigia ed esco da quella porta. Non tornerò indietro”.
Le guardai con la stessa incredulità della notte del loro sdoppiamento. Non mi riuscì di pronunciare nemmeno una parola, potei solo seguirle con lo sguardo fino alla fine della strada innevata, oltre i primi abeti, oltre il recinto. Affiancate arrancavano per il peso delle valige.
Fu lì che un dubbio mi attanagliò la mente, all’ultimo istante, prima che scomparissero dietro la collinetta, mi era sembrato che le loro figure si stessero incredibilmente ricongiungendo di nuovo in una sola persona, ma non ne sono certo perché i fiocchi di neve erano fitti e la distanza notevole.
Da ieri sono barricato in casa con il fucile sul tavolo, fuori c’è una camionetta della polizia e un’ambulanza. Non so dirvi se sono state le mie mogli (o mia moglie) ad allertare quella gente, però vi dico che non ho alcuna intenzione di uscire, mi prenderebbero per pazzo e finirei per marcire in qualche clinica psichiatrica.
Spero di avere l’opportunità di rivedervi.
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Splendido racconto, si ha per tutto il tempo della lettura l’idea che il protagonista sia un uomo equilibrato mentre in realtà non è così, richiama un pochino trame di alcuni film come “IL SESTO SENSO”, dove vi è alla fine un capovolgimento dei ruoli…..complimenti davvero.
L’idea è intrigante e quello che si percepisce è un disagio che ricorda Jack Torrance in Shining. La lettera scorre liscia e senza acuti e forse è questo il suo limite (o la sua forza)… Da non leggere prima di coricarsi con la propria moglie.
Grazie ad entrambi.