Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2013 “La vergine di ferro” di Margherita De Simone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Era arrivata presto la primavera quell’anno,  e aveva ammantato di verde la periferia di quella piccola provincia dell’ Italia meridionale. Le botteghe avventuravano già fuori le proprie mercanzie, così come usa fare nel sud. La ragazza uscì di casa, guardò l’aria, quel sole giovane e nuovo, e pensò a lui. Nella vicina città i tram ripartivano carichi di passeggeri, e i tram che seguivano vomitavano nere folle sul marciapiede; un uomo dal cappotto color cammello si liberò della calca e si sorprese del sole, guardò il cielo e inseguì sul vento il pensiero di lei. Lei scese dal tram del primo pomeriggio, in un pomeriggio in cui lui non l’aspettava più. La ragazza calcò quei sampietrini  come a ritroso nel tempo, rifece il percorso, lei, proprio lei che non amava ripensare, ridire, rifare. Ora si era fermata,  affamata di un significato da assegnare alle riflessioni che il sole faceva in sua vece  brillando sui  vetri delle finestre dell’ufficio di lui. Lui, che munito di profondi occhi scuri scrutava e non sapeva di ferire con quegli occhi, e che misurava bene i propri passi  e pesava ogni più piccolo gesto. Lui  aveva imparato a mantenere le distanze come giusta prossemica per vivere. Con lei era stata una scoperta,  l’autogoverno non l’aveva tutelato, dimostrandosi una disciplina fallace di fronte all’imponderabile. E lei era l’imponderabile. Sull’ultimo gradino della soglia dell’ente in cui lavorava, si guardò intorno e la vide. Si arrestò sconcertato, lei gli si avvicinò titubante.- Sei contento che t’abbia cercato? Lui non la guardò, e non rispose.  Erano passati tre mesi da quando s’era dileguata, aveva ben diritto ad un po di broncio, e adesso in un pomeriggio qualsiasi osava farsi viva su quel marciapiede.-  Sono stata con te ugualmente. Ora mi vuoi del male? Lui fissò un punto oltre di lei, guardava sempre altrove quando non si fidava, e ora non si fidava. S’avviò all’auto, ignorandola, poi a d’ un tratto le fece cenno di salire accanto a sè.- Dove mi porti?-, -Non lo so-. Avviò il motore e partì. Si diresse al mare, svoltando nel sentiero di una ancora brulla pineta. Poi fissò le onde spumose ed instancabili di quel vecchio mare.- Sono ancora più vecchio di quando m’hai abbandonato.- ,- Credi davvero che sia un problema l’età? No, può spaventare solo attraverso i nomi che le diamo. Che nome hai ora?-, _Ho sempre il nome di chi non è felice.Ti ho cercato.-

_Io ho scritto il tuo nome, cercandoti senza cercarti, non posso stare con te e stare con un altro.-

-Perchè sei qui?-, -Vorrei di più. E riesco ad odiarmi mentre ti dico mentre mi dico facciamola finita.-

Lui la guardò e poi disse- Sono sposato lo sai. Lo sapevi.-

_Già, entrambi abbiamo un’ombra, ha il profilo di tua moglie a volte,  e altre volte assume la sagoma del mio ragazzo, almeno in questo siamo nell’uguale buio. Lui guardò il mare, e quello gli cedè la forza di dirlo, finalmente dirlo a lei.- Aspetto sempre la sera come liberazione, posso incontrarmi con il vero me. Sono allora con il nome con cui vivo con te. E ho la faccia di chi non è con te, sono quello che non ti ha accanto, e la notte è lunga, ma anche breve, e si fa imminente quello che mi soppianta e attraversa il giorno.- .-Credi che sia facile per me? Averti così è un’illusione, è una finzione, è immaginare di bere senza dissetarsi mai, non saziarsi, spendersi senza aver certezza di nessun ritorno. Eppure nessuno e nulla è  paragonabile a te, e io devo cercarti per sempre. Vorrei il tuo passato. Riportami indietro.- Lui ubbidì. Lei veemente  scese dall’auto, lui l’aveva  lasciata davanti a quelle botteghe chiuse , gli scarsi passanti e le ultime elemosine di sole le vietarono la folla a cui avrebbe mescolarsi, trovò solo la solitudine della sera avvelenata da un freddo che nessun sole  avrebbe saputo scacciare. E poi, ecco la sua strada, sempre la stessa lunga e feroce che promuove  i pensieri, corta e polverosa che la sa isolare, che pretende di essere percorsa per assicurarle un posto dove rincasare. Lui fu nella stanza fredda come sa essere un deserto, la notte fuori fu anche dentro, il soffitto parve accostarsi al suo viso, lo interrogò, lo pungolò minaccioso come una volta di stalattiti. La sua camera fu una vergine di Norimberga che scacciò il giorno che congedandosi da lui lo salutò per chiudersi, tirandosi alle spalle la propria porta, quella che diventò per lui il coperchio del sarcofago sulla faccia, le punte che foderavano la valva gli  s’avvicinarono e gli si conficcarono nella testa senza ucciderlo ma procurandogli la solita agonia. Aculei che furono ricordi dell’altra estate, senza essere feroci seppero essere tormenti, come il silenzio dei cori di cicale, i giovani e irridenti occhi verdi dei vent’anni di lei, le  sue cosce che in  un gesto di pudore strano non volle mai mostrare. E le sue notti che furono la replica di tutte le altre notti, di altri amanti, con ancora gli stessi bui,  con le stesse stelle. La stessa voglia di perdersi e di aversi ancora, così come sa promettere ogni domani, quando si fa paura, o sbaglio o intuizione.

Lei fu dietro i vetri, le scalpitava nel petto una rivoluzione, mentre guardava le costellazioni di una notte tagliente. Guardò l’altra se stessa e capì che non era volontà ne passione ad agitarla, ma solo l’attrazione che spinge verso la scoperta, perchè non sapeva cosa volesse essere,  mentre lui la faceva sentire ciò che era nel presente.- Cosa sarebbe cambiato se avessi avuto la sua età? O lui la mia? Nulla perchè perdersi è perdersi. Smarrirsi fra le epoche è come smarrirsi fra le geografie. Lui è lontano, come se fosse nato nell’altro secolo. La notte non è solo questa notte, ma la replica di tutte le notti, sua moglie è tutte le mogli tradite, e se questo è male è anche tutti i mali della storia, è il riflesso del male di sempre che vediamo come guardiamo le stelle che sono solo repliche di stelle, uguali alle stelle di sempre. Lui che mi conosce col mio nome di oggi, mastica con me l’idea di una vergine di ferro, perchè siamo la verginità che non conoscevo che non conosceva, che non infrangeremo mai, perchè inespugnabile, perchè noi siamo ciò che non avremo mai.

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6 commenti »

  1. Una storia “clandestina” -ma i sentimenti non sono mai clandestini- che finisce, senza in realtà finire per davvero.
    Che in qualche modo continua, pur senza essere mai nata per davvero.
    Una storia dai sentimenti forti, raccontati al lettore scavando nel profondo dei personaggi.
    L’hai narrata senza moralismi e senza la retorica mortifera del perbenismo.
    Ben descritto lo stato d’animo di muta sofferenza del personaggio maschile, che si sottrae alla consueta ipocrisia di volersi lasciare col sorriso.
    Ben descritta anche la tormentata incertezza del personaggio femminile.
    Alcuni immagini sono davvero molto efficaci. Tra tutte, quella porta che diventa per lui il coperchio del sarcofago sulla faccia.
    Un gran bel racconto.

  2. Grazie per essere passato, felice io d’esser passata, insomma tutto sommato un passaggio felice, a presto.

  3. Evocativo e poetico. Il tuo racconto contiene bellissime immagini e rappresentazioni. Ho faticato a capire alcuni punti, ma ciò è dovuto ai miei soliti schemi mentali, quelli legati all’uso della punteggiatura. Mi pare di scorgere gli stati d’animo di: ansia, rabbia, odio, diffidenza e rassegnazione. La donna davanti a quest’amore impossibile, forse per la differenza di età o forse per ‘l’ombra’ della moglie o del fidanzato, si interroga e cerca di darsi delle risposte per superare (forse) la sofferenza che deriva dall’abbandono.
    Permettimi di prendere alcuni punti dal tuo testo. “Aculei che furono ricordi dell’altra estate, senza essere feroci seppero essere tormenti” e ancora “capì che non era volontà ne passione ad agitarla, ma solo l’attrazione che spinge verso la scoperta”.
    Complimenti.
    Emanuele

  4. Grazie Emanuele, avevo come è mio costume perso la password, e sono riuscita solo ora a reimpostarla. Ti sono grata per l’attenzione, che oggi è già un gran dono da ricevere, e poi anche per aver “pensato”. Questo racconto, che pare già non riconoscermi, nasce da mille rivoli e diventa il ruscello che è. Ciò che mi meraviglia è quanto si possa sezionare un evento che si riduce a poco, ma con il microscopio può diventare degno di interesse. L’ermetismo di cui sei stato preda è un difetto che sto cercando di smussare, t’assicuro che era proprio criptico anni fa. Se scrivere può cambiarci, allora ben venga, e in questo mi confermi questa mia aspirazione, ti ringrazio tanto ancora e in bocca al lupo. M

  5. Hai avuto la capacità di scovare lo straordinario che si cela dietro la normalità. Mi piace molto anche l’uso disinvolto della punteggiatura, che conferisce il giusto ritmo. Brava davvero.

  6. Fabrizio ti ringrazio, anche il tuo modo di scrivere mi piace molto, e ancora auguri M

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