Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2013 “Prenda un bel respiro e trattenga il fiato” di Anna Bruni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Quando decido di mangiare qualche cosa in questo posto è sempre la stessa storia. O cotoletta o pizza.

Oppure l’insalata, grande o piccola.

Ho pagato per l’insalata e poi ho chiesto lo scambio con la cotoletta.

Volevo andare via e invece me lo sono mangiato lì il panino.

“Senape o ketchup?”, mi chiede immancabilmente la barista con i guanti di plastica.

Ma io non ci voglio niente altro dentro a quel panino farcito di insalata appassita e spinacina. Perché di spinacina si tratta, non di cotoletta.

Lo so da quasi cinque anni.

Oggi Leo aveva un impegno di lavoro e non mi ha potuto accompagnare ai controlli, io ho fatto finta di niente. Gli ho detto che non avevo paura ma non credo se la sia bevuta.

Prenda un bel respiro e trattenga il fiato.

Te lo fanno fare cinque o sei volte, con e senza il mezzo di contrasto.

Non sono mai stata brava con il fatto di tenere il respiro, ma oggi me la sono cavata niente male, basta solo un po’ di forza di volontà.

Il bar è sempre pieno di gente, soprattutto infermieri in pausa pranzo. Ci sono anche i pazienti e i loro familiari. Non ci vuole molto per capire chi deve andare in cura e chi semplicemente accompagna. È una questione di calma: quelli che stanno male sono sempre i meno agitati.

Poi ci sono i pelatini che girano con il sacchetto della chemio e a volte anche con l’asta. Non che li prenda in giro, per me loro sono i più rispettabili di tutti.

Sono anche i più silenziosi.

Nel tavolino di fronte al mio si sono appena seduti una madre, un padre e una figlia.

“Tua madre è sempre la stessa!”, dice il padre alla figlia mentre la madre è andata a prendere i tovagliolini. Scuote la testa come se fosse rassegnato a quella circostanza della moglie che non cambia mai.

La figlia gli dà ragione ciondolando il mento.

Forse è la figlia quella malata, o forse è il padre. Faccio fatica a capire.

Adesso sentirà un po’ di caldo al braccio sinistro, è normale.

Stamattina ho dovuto bere cinque bicchieri d’acqua prima di entrare nella TAC, per poco non mi bagnavo gli slip. La mia vescica è diventata piccola come un’ampollina, da quando mi hanno fatto quello che mi hanno fatto.

“Per favore, non mi anticipi niente”, ho chiesto al tecnico.

Lui si è messo a ridere, di solito la gente pagherebbe per conoscere subito l’esito. Ma io non ho voglia di ricevere brutte notizie quando sono da sola.

Quindici minuti in tutto, la macchina non è neppure claustrofobica. Non fosse stato per la vescica che mi scoppiava, ho passato di peggio.

Poi mi è venuta fame e sono andata al bar.

La madre è tornata con i tovagliolini e una macedonia. Strano che mangi solo quella, forse è lei quella malata. Le cartelle cliniche sono sistemate sopra la sua borsa, ma questo non prova niente.  Si vede che suo marito e sua figlia fanno comunella, sono seduti più vicini, mentre lei è un poco distaccata, come se c’entrasse solo incidentalmente con gli altri due.

Ecco che arriva un pelatino di una certa età, ha una specie di cappello turco in testa. Se la coprono in tutti i modi, la testa. Scosto la sedia per farlo passare, per via dell’asta.

La madre adesso si è messa a ridere per qualcosa, o almeno fa finta. Il marito rimane serio e di nuovo scuote la testa.

È sicuramente lei il motivo per cui quei tre stanno lì.

Respiri liberamente.

Dentro la macchina ci sono due faccine: una ha la bocca chiusa e le gote gonfie che s’illuminano di arancione. Quando quella verde con la bocca aperta si accende vuol dire che puoi riprendere fiato. Sembra che rida, quella verde.

Appena esco di qui chiamo Leo per dirgli che il tecnico mi sembrava tranquillo quando mi ha salutata. Potrebbe essere un buon segno, ma anche questo non è detto.

Il padre adesso si è alzato ed è andato a prendere la frutta per lui e la figlia. Hanno la visita alle tre e devono sbrigarsi per fare l’accettazione. Arrivano dal sud, forse dalla Calabria.

La mia spinacina oggi faceva più schifo del solito ma stavo morendo dalla fame e l’ho mangiata lo stesso. Pensare che prima di entrare nella TAC mi sentivo la nausea, ma dopo più niente, tutto sparito.

I tre si alzano con l’aria di andare verso il patibolo, a me scappa di salutarli.

La madre fa un sorriso imbarazzato, forse a me, forse al resto del mondo, per scusarsi di quello che le sta capitando.

Mi alzo anche io, non ho più voglia di stare in questo posto.

Salgo le scale mobili, pochi passi e sono già nella porta girevole dell’ingresso.

Ripenso a quei tre nel ristorante, a quello che li aspetta lì dentro.

Sono passati quasi cinque anni, rifletto, e li ripasso con le dita della mano come faccio ogni volta. Ritorno sempre a quel giorno. Il dottore non mi guardava neppure in faccia, teneva lo sguardo fisso sul suo pc mentre mi diceva quello che doveva dirmi.

Cinque anni sono un sacco di tempo, lo sanno tutti da queste parti.

E poi oggi il tecnico mi ha fatto un sorriso mentre uscivo dalla stanza, non è cosa da poco.

Il gelo della strada mi pizzica le guance, anche da sotto la sciarpa. Penso sia un buffetto che qualcuno mi ha mandato da lassù, anche se so benissimo che è soltanto per via del nevischio. Quando ti succedono certe cose diventi più sensibile, poni più attenzione ai segni.

Ho voglia di respirarlo tutto, questo freddo. Ho voglia di mettermi a correre sotto la pioggia, di alzare la testa e bagnarmi i capelli finché non mi si arriccino del tutto; di chiamare Leo con la voce spezzata da questa strana emozione e di dirgli che stasera preparo le lasagne; di raggiungere la mia Panda al posteggio e di scappare via il più veloce possibile da questo luogo assurdo, pieno di piante finte, di marmi spessi, di sorrisi inconsolabili e di troppa gente che viene e va.

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22 commenti »

  1. Complimenti, davvero. Uno splendido invito a respirare. Ogni singolo istante, ogni minima emozione. E che neppure la malattia, con le sue angosce e le sue banalità, possa travolgere la voglia di vivere.

  2. Racconto bellissimo, molto intenso. Io non ho mai vissuto, fortunatamente, questo tipo di esperienza, però un po’ me la hai fatta vivere tu con questa narrazione originale, stilisticamente impeccabile e, direi, quasi carveriana. Per rimanere in tema, “mi hai tolto il fiato”.

  3. WOW! Sono stato impressionato dall’originalità e dallo spessore di questo testo. Una sofferenza così potente raccontata per il tramite della sobrietà e, addirittura, dell’ironia. Mi viene da pensare che l’autore (o autrice, visto il nick) abbia vissuto in prima persona questa esperienza, perché il punto di vista che ci fornisce, è assolutamente verosimile, ancorché inedito (indovinare chi tra i presenti è malato o chi lo accompagna, scherzare su quello che i pazienti che fanno la chemio indossano per nascondere la calvizie, etc. lo può pensare solo chi ha passato questa tragedia). Se invece è tutto “inventato”, allora i miei complimenti radoppiano.

  4. Un racconto splendido, che si legge tutto d’un fiato. Che sia realta’ o finzione non conta, quando si sanno raccontare le emozioni profonde. Cosi’ come forte e’ la speranza e la voglia di vivere. Che abbia il sopravvento!!!

  5. Complimenti, questo racconto è veloce ma coinvolge ed emoziona. Molto bello.

  6. Il titolo esprime già in poche parole una grande intensità, come tutto il racconto. Le parole ti avvolgono, catturano la tua attenzione e ti portano ad immaginare tutto, come se fossi lì. Lì nella stanza, lì nel bar, lì che mangi insieme ai protagonisti e vivi le loro emozioni, il loro turbamento…la loro voglia di esprimere se stessi in una scelta di un cibo..in un’affermazione dell’ IO lenta e veloce al tempo stesso…con la curiosità e la voglia di scoprire poi il coraggio e l’intensità di chi non si lascia sopraffare dalle situazioni

  7. Temeraria penna che incide le verità difficili che stridono con la vita o che proprio per questo ne sottolineano la bellezza e l’unicità, attraverso un racconto che non ha paura di dire ciò che ci spaventa, del male che camaleontico qui ha il vestito degli avventori dei bar dei nosocomi, di chi ci è di fronte e non sempre è tutelato dal camice bianco, e che per lavoro deve sentenziare sulla nostra aspettativa, di quelli che sono nella stessa barca, di come ognuno attraversi a proprio modo la commedia del sole che ci sta minacciando di tramontare. Sentieri che nessuno ama sondare ne vivere, che eppure esistono, e che non vanno scordati mai.

  8. Mi è davvero piaciuto! Non è facile con poche parole dire qualcosa di compiuto. E scusatemi tutti per la rima: non ci avevo pensato di scriverla prima!

  9. Un pugno nello stomaco ma stupendo. Adoro la fine, così leggera e piena di ottimismo!

  10. Questo è un racconto che lascia il segno. Essenziale, pulito affronta con tocco leggero e toni pacati realtà e sensazioni proprie dei nostri vissuti familiari o vicini. Profondo e vero.

  11. Carissima Anna, mi sono commossa nel leggere questo “racconto”…è così toccante e vero che mi ha ricordato sensazioni passate. Mi è piaciuta particolarmente l’idea della rinascita (ogni volta che si esce da quel luogo e tutto prelude al meglio); della complicità che istintivamente si crea fra quelle persone che sono minate nel fisico e nello spirito; il saporaccio del cibo che risulta amaro anche se è passabile. COMPLIMENTI DAVVERO …tutto non poteva essere descritto meglio. 🙂

  12. I miei complimenti per questo racconto, che con stile apparentemente distaccato descrive con grande lucidità un’esperienza dolorosa. Dolore che non rende la narratrice egoista e chiusa in se stessa, e che anzi non le impedisce di riflettersi e di riconoscersi nella signora seduta vicino a lei al bar. In questa specularità di situazioni, che permette di capire che siamo tutti esseri umani, in balia di gioie e sofferenze simili, e nel finale, che si apre pur sempre alla speranza e alla vita, “senza trattenere il fiato”, risiede la bellezza della storia.

  13. La forza, grande, di questo racconto, risiede proprio nell’apparente distacco con cui narra una situazione dolorosa e che facilmente, per la sua potenziale drammaticità, poteva scappare di mano all’autore. Invece …. Invece lo stile controllato, non privo di fulminanti lampi d’inattesa ironia, fanno arrivare le sensazioni forti al lettore meglio di pagine e pagine intrise di melodramma e pathos. Brava davvero, non era affatto facile controllare una materia così delicata.

  14. Grazie Caterina per aver parlato di questo racconto che io non avevo letto e subito sono andata a farlo, e mi sono quasi commossa, perchè il pensiero tra se’ e se’ di chi ha in grembo una malattia come un figlio che cova dentro a un destino di mistero, è qualcosa che ci ferma e ci gela, e non sappiamo cosa dire noi, cosa pensare noi, ma poi si pensa a come staremmo se capitasse tutto proprio a noi, o a come non siamo stati in grado di dire abbastanza bene quello che provavamo noi, quando ci siamo seduti accanto vicini vicini a chi parlava tra se’ e se’ e soffriva da morire, e aveva paura proprio di questo!
    Profondo ,sensibile , umano, umanissimo lo scritto dell’autrice, che ci accompagna a toccare con altrettanta umanita’, profondita’ e sensibilità, quel limbo dove troppi vivono e hanno bisogno di starci meno soli!
    Grazie all’autrice e Grazie a Caterina che l’ha messa nella sua previsione!

  15. Grazie agli altri commenti, scopro in extremis un racconto
    essenziale e ben fatto.E commovente per me.
    Brava Anna.

    Riconosco quella porta scorrevole.
    Riconosco la scala mobile che porta al bar coi tavolini davanti.
    Ripenso alla tensione.
    Condivido la speranza.

    Martedi sarò lì.
    In bocca al lupo, L.

  16. Un abbraccio a chiunque sia stato, sarà o potrà essere lì, davanti a quella porta, davanti a quei tavolini, perchè non debba sentire da solo il peso, la solitudine , la paura.
    La paura, proprio lei, lei, credo sia la più lancinante spada che entra e che diventa invadenza in tutte le parti che abbiamo.
    Un respiro più tranquillo , il più sereno che nutriamo, nell’angolo più profondo del cuore e dell’anima, allora a soffiare sulla speranza e sulla fiducia, come un alito che muove la fiamma piccola sul tronco e lascia accendere il falo’ e ardere di vita scoppientante ancora!
    Di cuore, di vero cuore….per chiunque!

  17. Mi sono permessa di segnalare questo racconto perché è stato postato molto molto tempo fa e trovo che sia un peccato che sia stato poi abbandonato nel suo angolino, merita…merita molto!!!!

  18. E grazie Caterina perchè sarebbe stato un vero peccato che rimanesse in un angolo e tu ci hai pensato, con la tua grazia da ballerina sei andata a prenderlo per noi, ce lo hai ricondotto ali occhi e noi abbiamo letto e poi applaudito, perchè è da vera commozione tanto è bello , composto, raccolto, delicato ma forte, il suo messaggio!
    Sei sempre un passo avanti Caterì!!!!
    Grazie

  19. Ovviamente i più grandi complimenti ad Anna!

  20. Leggere questo racconto è stato come se qualcuno mi buttasse del sale su una ferita, perché entrare in quel calvario è tutto questo. L’ho vissuto con mio padre. Ho visto troppe volte molti pelatini, anche solo bambini, sui loro tricicli e con le loro aste. Ti abbraccio forte e ti auguro di essere tra i venticinque.

  21. *avesse buttato … scusami

  22. Grazie a tutti per il complimenti! Mi hanno fatto molto piacere. E adesso è tempo di incrociare le dita :). Un caro saluto, Anna

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