Premio Racconti nella Rete 2013 “Il segreto” di Annamaria Majatico
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sabrina ha venticinque anni. E’ una donna, le dicono, e così ha finito per crederci.
A Roma ci vive da sempre. Da quando, bambina, la domenica passeggiava per le vie del centro con il papà fino alla Fontana di Trevi per lanciare una monetina nell’acqua. 100 lire, o 200. A volte 500, quando ancora non esistevano i centesimi di rame e nessuno aveva il coraggio di dire di no a quei grandi occhi scuri e alla cascata di riccioli marroni che la rendevano già un po’ selvaggia. Dopo veniva sempre il negozio di giocattoli all’angolo di Piazza Navona. Trascinava la mano grande che la teneva per non farla cadere, finché non si fermava estasiata a guardare. Adesso, dopo tanti anni, quelle vetrine piene di pupazzi di animali a grandezza umana non esistono più. Dietro una siepe di periferia ha scoperto la dolcezza di un bacio, sotto l’imponente Colosseo quanto può essere rigenerante la solitudine, fra i binari di Termini le lacrime di un addio e il sapore contrastante, agrodolce, della partenza.
E’ quello che prova oggi, alle prime luci dell’alba, mentre il cartellone degli orari lampeggia il numero del suo treno. Non ha bagagli, solo una grande borsa e un biglietto stretto fra le dita. Non stringe più nessuno da tempo ma ha ancora i suoi riccioli scuri, solo più lunghi, e i suoi immensi occhi marroni, forse semplicemente un po’ più stanchi e coraggiosi.
C’è un treno che l’aspetta. Non sbuffa, è un lungo siluro rosso e grigio che sembra una freccia pronta a dividere a metà l’aria e la vita. Lei cammina piano, ogni tanto si ferma, le persone la superano con le loro valigie senza notarla. Ma Sabrina non vuole essere notata, le piacciono le retrovie, i muri dietro cui difendersi, gli aculei da lanciare.
Fabrizio le dice sempre che non è altro che una piccola istrice: un cuore tenero circondato di spine pronte da scagliare appena si fa un passo falso. Lui crede che esista una strada per aggirarle, un modo dolce di scivolarle dentro senza farle male, solo che nessuno l’ha ancora mai capito, né trovato. Fabrizio, invece, capisce tante cose. Dall’altra parte d’Italia, l’aspetta.
È domenica, eppure in Centrale c’è tantissima gente. Dal finestrino del vagone Milano non ha il tempo di dare il benvenuto a nessuno, però fa arrivare tutti. Ci sono gruppi di ragazzi che fumano una sigaretta, coppie che si salutano con un bacio, qualche signore solitario e una donna con i capelli bianchi e qualche spicciolo fra le mani che non le basterà nemmeno per un caffè.
Roma e Milano non si sono mai amate, romani e milanesi ancora meno. È grigia! Le dicono. Si lavora solamente! Aggiungono. A Milano non c’è spazio per le emozioni. Ma se fosse proprio questo il bello? Se si nascondesse proprio lì, la salvezza? Anche se non l’ha mai detto a nessuno Sabrina crede che Milano sia come una bella signora in carriera, frenetica e iperattiva, sempre occupata a correre e a cambiare e a correre; non ha spazio per nulla, soprattutto per il dolore. Per questo, quando camminare fra i fantasmi di Roma le ricorda troppo anche i suoi, prende il treno e si lascia travolgere da quella fretta spasmodica e ristoratrice, da quella lava di tempo ardente e salvifica. È una droga; appena diventa smaniosa e insofferente significa che Milano la sta chiamando di nuovo e a lei non resta altro che rispondere.
Fabrizio le viene incontro ancora insonnolito e distratto, trova solo la lucidità per stringerla forte. È alto, la sovrasta e a Sabrina per un istante viene in mente la mano di suo padre. Per fortuna Milano torna a correre portando con sé tutti i ricordi, lasciandoli solo con la gioia sincera di rivedersi dopo mesi di lontananza.
“Vuoi un caffè?”
Perché no.
Spontaneità.
Passeggiano per la città. C’è traffico di macchine, c’è traffico di gente. Sabrina non riesce a non avere fretta, a non bramare un altro scorcio, un’altra via, un altro segreto. Fabrizio è più calmo, ogni tanto le prende la mano e le mostra dove e quando fermarsi. Lei è impaziente, indisponente. Fa i capricci ma alla fine l’ascolta e scopre la bellezza del restare immobile quando tutto il resto del mondo continua a correre. In cima al Duomo non scattano fotografie, preferiscono restare affacciati a osservare Milano. Sabrina segue il dito di Fabrizio che le mostra dove vuole portarla.
“Adesso andiamo lì, dove c’è quella torre bianca. La vedi?”
“No. Però mi fido.”
E quanto le costa dirlo.
Sicurezza.
Dopo averla guidata nella corsa folle e impazzita della città l’ha fatta salire in macchina, le ha detto di scegliere un cd e si sono lasciati il centro alle spalle. Mentre un gruppo inglese canta solo per loro i palazzi si diradano, le vie si allargano e la gente scompare. Non c’è calca, ma c’è un lago. Un laghetto, come dice Fabrizio, nato per caso, come tutte le cose belle, solo perché c’era troppa acqua per costruire ancora.
Quando scendono fa freddo ma loro restano lontani. Ognuno al suo posto, nessuna insistenza. È stato così da sempre, è il loro segreto. A metà Novembre non c’è erba, solo un manto di foglie marroni e gialle che scricchiolano sotto i loro passi. Ci sono anche oche e papere che starnazzano.
“Guarda Sabri, se scodinzolassi saresti proprio come loro!”
Ridono.
Serenità.
Si siedono su una panchina di legno. All’inizio lontani, poi ogni parola è un passo. C’è calore fra le braccia di Fabrizio, anche se la paura entra lo stesso. Ha la voce adulta e matura, ma anche buona e dolce di chi non vorrebbe mai ferire nessuno, e tuttavia lo ha fatto delle volte e ora ne sente il peso. La stringe, l’ascolta, sa quando smettere e quando ricominciare e Sabrina vorrebbe avere la sua stessa dimestichezza con le parole. Ogni tanto ascolta il silenzio, si stupisce di come, a pochi passi da Milano, esista una simile pace. Forse pure le belle signore hanno bisogno di fermarsi e di emozionarsi, conservano gocce d’acqua anche al centro di correnti di fuoco. Magari anche Milano ha paura, delle volte, solo che se ne dimentica perché così vogliono tutti.
Si nasconde il viso nella giacca a vento, mentre Fabrizio continua a stringerla. Se ne sta rannicchiata senza volersi far vedere, sente il suo cuore respirare e scopre una speranza nuova che ha il colore dell’autunno e la voce dell’acqua di un lago.
“Guarda che paio di occhi grandi nascosti in mezzo ad una cascata di riccioli…”
Qualcosa resta, mentre tutto cambia.
Sintonia.
Quando si comincia a scappare si impara presto che le stazioni hanno una religione tutta loro: c’è un Dio mascherato e quando fischia si può solo obbedire. Per questo non c’è dolore nel modo in cui si stringono prima di lasciarsi, solo una silenziosa nostalgia che non può ferire. Fabrizio le scompiglia i capelli un’ultima volta, Sabrina lascia una carezza fra le sue dita prima di tornare a camminare da sola. Sa che non può più farsi mantenere nelle mani di nessuno, ma sa anche che è giusto così: non c’è colpa in questo, nemmeno peccato.
“Tornerai presto, vero?”
Torna, tutto torna.
Il treno segue una strada completamente nuova mentre corre verso Roma. È la stessa su cui cammina Sabrina, fra un aculeo e l’altro. Perché se può concederselo una bella signora elegante, può permetterselo anche lei. Perché Milano, ancora una volta, l’ha salvata per sempre.
![]()
Molto bello: Complimenti!
Molto bello.Complimenti!
Ti ringrazio per dedicato il tuo tempo a leggere e per il commento.
Ho dato uno sguardo agli altri racconti e li ho trovati tutti molto interessanti e originali. Sarà indubbiamente un concorso di livello e una bella sfida per tutti noi autori.
In bocca al lupo!
Ecco una bella storia, scritta bene, e secondo “binario”. Cornice descritta minuziosamente senza annoiare. Una storia solita ma non la solita storia. Apprezzatissimi i raccordi a cui si riconosce il diadema del maiuscolo, dote che io amo e che sottolinea anche il coraggio dello scrittore. Quello che ama la parola, la innalza, la cura e ne trae godimento. Il viaggio come affermazione del sè, dello spostamento e del ritrovamento, di se stessi. Bravissima.
Commenti come il tuo, Margherita, mi ricordano perché devo trovare il coraggio di mettermi in gioco.
Grazie grazie grazie, di cuore.
AM
La storia c’è, sta dietro, con i suoi ricordi, il suo dolore, ma il racconto si concentra piuttosto sul momento, sulle sensazioni, sugli sguardi, sui brevi dialoghi. E mi piace proprio per questo. E’ scritto molto bene. Brava.
Si scrive per andare oltre come nella vita non si riesce a fare mai fino in fondo: grazie per aver puntato alle emozioni e non solo alle parole, Silvia.
Buone feste.
AM
Anch’io faccio i miei complimenti perché li merita, una piccola parentesi di emozioni ci sta sempre, di chiunque essa sia…profondo come solo le emozioni possono essere e scritto veramente bene. In bocca al lupo!
Alessandro, grazie per i complimenti ma ancor di più per la sensibilità che ha scavato fra le “parentesi”.
Crepi!
Andare, venire, scappare, tornare. Viaggio tra Roma e Milano, ma anche tra passato e presente. Forse anche uno spiraglio verso il futuro. Racconto malinconico, il tuo, che rispecchia, ahimè, il male di vivere, da sempre presente in questa nostra umanità. PS Sono stata recentemente a Milano e ne sono stata piacevolmente colpita. Altro che frenesia! Mi sembra più rilassante di Roma. Tutto cambia!
Cara Giovanna,
non mi esprimo sui commenti sul racconto per non influenzare chi (spero) continuerà a leggerlo. E’ incredibilmente interessante e stimolante per me, che avevo ben chiare le mie emozioni nel momento in cui l’ho scritto, vedere come viene di volta in volta interpretato, percepito, sentito.
Roma e Milano. Per me non sono mai state contrapposte, ma complementari nell’amore che mi lega ad entrambe e che hanno nel tempo saputo spartirsi equamente. Credo che non sia qualcosa che si possa spiegare, in fondo, ma a tuo modo sei riuscita a leggerlo fra le mie parole, e questo è già più di quanto avrei sperato nel momento in cui ho pubblicato questo testo.
Tutto cambia, sì! Ma tutto torna, anche… Non lo dimenticare!
AM
Ciao Annamaria, mi è piaciuto nel tuo racconto come cogli la doppia dimensione della vita, tra affetti e ambizione in campo professionale. Agire, nella realtà, sempre portandosi dietro le spine, cercando persone con cui poterle togliere.
Ben scritto
Mantenere l’equilibrio fra ambizione e amore, diffidenza e speranza: riuscirci davvero è una sfida giornaliera.
Ti ringrazio.
AM