Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2013 “Cosa si prova…” di Giulia Romoli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Cosa si prova con una pistola puntata alla tempia? E’ una domanda che mi sono posta tante volte leggendo i giornali, guardando la televisione, ascoltando le storie della gente. Ma sono domande che ti poni senza pensarci davvero, perché se tu ci pensassi ne riconosceresti l’inutilità: non hanno risposte giuste o sbagliate.

Mi definiscono una donna molto ricca. Ed è vero, lo sono. Possiedo due aziende di cosmetici, svariate case in giro per l’Europa, un sailing yatch. Provo un brivido di eccitazione quando affermo che la cosa che stai guardando con tanta ammirazione è mia. Io sono i miei soldi e i miei soldi sono me. Non esiste altro.

Da piccola giocavi con il fuoco, rubavi i cerini dalla cappa della cucina e incendiavi le bambole distese sulla veranda. Tua madre, soffocata dentro alla nube del suo dolore, non ha mai visto niente.

Poi c’è stato il giorno in cui i compagni di scuola hanno riso di te per i vestiti usati, per le scarpe troppo grandi, per i libri presi in prestito dalla scuola. Ti hanno spinto, insultato, gettata nel fango. Con lo sguardo pieno di odio hai giurato a te stessa” Mai più!”.

Hai studiato, lavorato, e fatto il possibile per allontanarti da quella vita. E ci sei riuscita. Hai lasciato tua madre a se stessa e hai chiuso quella porta per sempre. Nessun rimorso.

Non riesco a vedere il mio sorriso. Se chiudo gli occhi pla mia faccia non mi appare mentre sto ridendo. Potrei anche non averlo mai avuto, un sorriso, anche se so che questo è impossibile. Forse si è solo perso.

Quando le persone sono felici tutte le amano. Questa è una cosa intollerabile. Rabbrividisco al pensiero di dover comprare così l’amore della gente. In fondo, io, ho altri mezzi.

Chissà se lui ti amava davvero. Ma non ti è mai importato. Ti aveva dato un figlio e questo ti era sufficiente. Andrea era l’unica cosa che contasse, l’unico che mai ti abbia dato speranza. Era il tuo bambino. La vita in quei giorni non poteva essere più bella.

È stata una malattia a strappartelo via. È morto davanti ai tuoi occhi, tenevi la sua piccola mano e hai sentito la vita abbandonarlo all’improvviso.

Non mi piace dormire. Sono ore perse, buttate nel cestino, che nessuno ti può dare indietro.

Stasera sono sul volo da Madrid. Fuori è già notte, non ho giornali con me e di libri non ne leggo più. Non ho altro da guardare che gli altri passeggeri. C’è un uomo seduto dall’altra parte del corridoio, la sua pelle è ricoperta da strane macchie e ha lo sguardo perso nel vuoto. Davanti a lui c’è una ragazza, più o meno vent’anni, che si asciuga gli occhi arrossati con un fazzoletto di stoffa.

Distolgo gli occhi e sento le palpebre abbandonarsi a un sonno breve. E violento.

Ti muovi camminando a fatica. L’aria che ti circonda è compatta, fitta. Davanti a te un deserto di neve e, in lontananza, una macchia nera. Ad ogni passo senti le gambe cedere e il cuore accelerare. Poi riconosci tuo figlio in quella macchia. Allora provi a correre, a gridare, ma non ne sei capace. Spingi le gambe con tutte le tue forze e allunghi le braccia per toccarlo, per stringerlo a te. Ma il suo corpo si scioglie tra le tue dita.

Urlo tornando a galla dopo un’interminabile apnea. L’hostess mi guarda preoccupata. Metto avanti le mani per tranquillizzarla continuando a respirare faticosamente. Ho la camicetta bagnata di sudore. Appoggio la testa al seggiolino, chiudo gli occhi in attesa che il cuore smetta di correre.

Hai desiderato così tante volte la morte che non capisci più cosa significhi vivere. Su quel volo, con la testa appoggiata al seggiolino, ti chiedi solo quando finirà questa agonia. Quando la rabbia per essere ancora viva si placherà.

Scendo dalla scaletta traballando e mi avvio verso il parcheggio. Intorno a me è buio. E silenzio.

Ho i nervi ancora tesi e sussulto quando premo il tasto della chiave e sento il suono della centralizzata. Mi siedo alla guida. Ho ancora la mascella contratta. Aspetto.

Aspetti. Speri che l’odore familiare dell’abitacolo ti calmi. Lì dentro ti senti al sicuro. È uno dei simboli del tuo potere. È il tuo potere. Sei tu. Fuori c’è solo il vuoto, un vuoto terribile e sai che il vuoto si avverte solo con la consapevolezza che al suo posto, prima, c’era qualcosa.

Sei immersa dentro di te, ascolti i suoni del tuo corpo e non ti accorgi della portiera che si apre alla tua destra.

Il metallo è freddo sulle pelle, ma non è uno shock come pensavo. Mi rendo conto di aspettare questo momento da tanto tempo. Troppo.

Chiedigli chi è. Chiedigli cosa vuole.

Resto in silenzio. Lui si agita sulla poltroncina della mia macchina. Non posso voltarmi e guardarlo per via del ferro che mi brucia piacevolmente la tempia. Ma sento le gocce di sudore scivolargli sulla fronte.

Scendi! Subito, forza!” mi intima e con la mano libera mi spinge verso la portiera. Mi lascio strattonare.

Sei sorda? Scendi, puttana!”. La sua voce è acuta, adesso. E’ nervoso.

Non ti lasci contagiare. Resti ferma, immobile. Sai già che non ti muoverai dal tuo posto. Non vuoi scendere dalla tua auto.

Ora anche lui è immobile. Ha già detto tutto e si aspetta una reazione, ma io non gliela do questa soddisfazione. Volto lentamente la testa e la canna della pistola è al centro esatto della mia fronte.

No” rispondo. È un no secco, deciso, pronunciato lentamente.

Questa macchina è mia”.

Ti chiedi perché non ti spara. Perché non preme quel dannato grilletto.E’ una mossa veloce, indolore, facile. Perché non lo fa?

Ti ho detto di scendere!” Adesso sta urlando. Di nuovo si agita sul sedile, la sua voce è sempre più acuta.

Sparami! Fallo!, gli urli nella tua testa.

Ora! Scendi!” la sua è quasi una supplica.

Fallo, maledetto, fallo!

Mi guarda con occhi vitrei. Vedo la paura uscire dal bordo dei suoi occhi.

Tu sei una maledetta puttana pazza” mi dice piano.

No,” gli rispondo.

Dallo sportello arriva un’aria secca e gelida.

Hanno rubato Dio,” continuo “il cielo è vuoto”

Rabbrividisce.

Abbassa la pistola. Ora è inerte nelle sue mani inerti.

Gliela strappo con un gesto fin troppo facile. Non sembra stupito. Il mio dito non esita: il colpo risuona forte nell’abitacolo. Il sangue mi schizza sul viso, sulla gonna di raso, sui capelli.

Non pensavi che questa sensazione fosse tanto inebriante. Qualcosa dentro di te esplode, si libera come lo champagne quando fai saltare via il tappo.

Un piccolo sorriso si allunga sulle tue labbra.

Mi dispiace” dico a quel corpo privo di vita.

Mi allontano dalla macchina a piedi, la pistola ancora nella mano.

E’ stata una lunga notte.

Sono stanca.

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7 commenti »

  1. Non amo aggettivi superlativi nei commenti, ma è davvero un gran bel racconto.
    Un personaggio femminile molto forte, intenso che ha preso a schiaffi la vita, fin da bambina. E dalla vita ha ricevuto schiaffi ancora più dolorosi.
    Anche per questo non ha paura di guardare la morte negli occhi. Anzi, sembra proprio sfidarla, quando le si materializza davanti, attraverso la canna di quella pistola.
    La tecnica è impeccabile, il lettore viene trascinato nella lettura, in un ritmo incalzante, dettato dall’avvicendarsi tra la sequenza degli avventimenti del presente e il passato della protagonista.
    Mi aspettavo un finale diverso. Invece hai scelto quello più duro, più spiazzante, più deflagrante, più noir.
    E’ un racconto che lascia il segno e tornerò a leggerlo ancora.

  2. Bel racconto, scritto bene, con un ritmo che trascina. Complimenti.

  3. ..finalmente è riuscita, con quel gesto, a vendicarsi di tutto quello che aveva sofferto. Troppo per una bambina rimasta sola in fretta! Mi è piaciuto tanto il ritmo serrato del racconto. Complimenti!

  4. A quanto pare io e Silvia ci reincontriamo spesso tra i commenti!
    Bel racconto, scritto bene, non annoia mai, ritrae una donna che ha conquistato a duro prezzo benessere, piglio e determinatezza, spinta da un bisogno di rivalsa sociale che le intossicherà la vita. Poiché il destino non l’ha premiata nei valori che più contano è lei che prenderà in mano il destino nel finale inatteso. Donna forte, di carattere, ma con un vuoto immensamente triste dentro. Auguri per il racconto. Donatella

  5. Mi associo senz’altro ai complimenti. Un racconto da leggere in apnea, davvero coinvolgente.

  6. Un confessionale che sa coinvolgere e attirare la partecipazione al prisma delle emozioni, delle reazioni, dell’individuo rispetto alla propria esperienza umana. La consapevolezza che si continua a vivere, anche nella certezza che soccorsi non ne arriveranno per riempire il vuoto irreversibile, e allora bisogna diventare lupi, cambiare la propria natura. Grande quindi, capacità di tracciare tutto questo, complimenti davvero.

  7. Accipicchia, un graffio velenoso questo racconto! Ti tiene incollato allo schermo, rapido ma non indolore…molto forte, duro…mi è piaciuto davvero tanto! Complimenti!

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