Premio Racconti nella Rete 2013 “Sto cambiando pelle come solo una lucertola cotta dal sole può fare” di Marica Dal Cengio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sto cambiando pelle, letteralmente. Ho tutto il corpo pieno di macchie rosse, pruriginose; alcune sono larghe pochi millimetri altre anche due centimetri; sono comparse prima sull’addome, poi sulla schiena, poi sul collo… gli arti sono venuti per ultimi. All’inizio, c’è sempre un inizio anche per questa cosa che mi è capitata, c’è stata solo un’unica macchia, prima piccola e timida poi grande e rossa che allargandosi ha lasciato il posto ad un centro bianco. Ora la pelle ha un aspetto spesso e grumoso, come un vecchio rospo con la varicella e sta diventando secca, incredibilmente secca. Mi aspetto che cada a brandelli o si sfaldi come le scaglie di un drago che ha deciso di disfarsi della sua tenuta. Posso indossare solo indumenti di cotone, altri tipi di tessuto mi irritano, è una costrizione, ma anche un sollievo: la mia scelta è vincolata e non mi perdo. Se fossi una lucertola me ne starei tutto il giorno adagiata su un sasso e lascerei che il sole facesse il suo lavoro. Aspetterei immobile con i polpastrelli bene aperti sulla superficie calda e familiare; terrei le palpebre ben abbassate e il mondo resterebbe arancione, sarebbe un mondo in festa. Lo faccio sempre d’estate, la sabbia è il mio sasso e con gli occhi sigillati ascolto il profumo del mare e con la pelle annuso la forza del vento, ora invece fuori dalla finestra c’è solo una distesa bianca immacolata e la luce è quella che ferisce e l’aria è quella che punge. Ho anche paura di guardarmi allo specchio, non mi piace quello che vedo, ho paura che questo processo, se è un processo, non finisca mai e che le macchie diventino sempre più grandi, più rosse, più secche.
Ho scoperto che al dolore ci si abitua, ma è alla gioia che non ci si abitua. Ho scoperto il dolore che batte come un secondo cuore, batte sordo nel lato sbagliato del petto; è una voce martellante che sottolinea ogni parola; un’eco, una sfumatura, una nota in più qua e là, una nota in meno qua e là. Il dolore improvviso invece spaventa perché la mente non lo riconosce, è già da subito estremo, irrompe come una baraonda famelica occupando tutta l’attenzione, troppa. E la mente se non già assuefatta dall’abitudine che istilla la sua presenza un po’ alla volta, ha solo due possibilità, o lo rifiuta, e allora chiude le porte e le finestre dei sensi, e chi può dire cosa accadrà se non è una mente valida, allenata per risvegliarsi incolume; oppure, si lascia travolgere con il rischio di smarrirsi in un turbine di vento. Anche questa è una strada pericolosa, alla fine. Credo che non si possa scappare dal dolore, prima o poi bisogna guardarlo in faccia, dargli un nome. Non soffre forse anche la pietra apparentemente più immobile sotto la pressione del freddo o l’agguato del caldo? Non soffrono forse gli alberi quando vengono sferzati dal vento? Lo stridore dei rami sono grida nella notte, ma se accompagnati dalla brezza leggera diventano bisbigli insoliti e rappacificatori. Già, basta un niente e il dolore diventa gioia. Vorrei capire la chiave del passaggio: un’intensità marcata qui è rumore ignobile; ma un’intensità anticipata può far diventare il rumore una melodia. Chi ha stabilito le regole di uno spartito che ci coinvolge regolarmente?
Guardo ancora una volta il chiarore insano che si dirama dal mio corpo e mi circonda come fosse confusione e mi fa sentire fragile, nuda. Voglio chiudere gli occhi ancora una volta e sparire addosso la roccia ed aspettare l’arsura del sole. Questa crosta bianca che si sta formando sembra una cotta di sale che non serve a nessuno tranne che a me. In mezzo alla folla i pensieri corrono tra i piedi degli altri. Da quando ho la pelle così anche la mia ombra appare svestita, scontornata.
La lucertola resta lucertola anche sotto il sole, in ogni momento è lucertola, ma io che cosa sono, cosa sto diventando?
Se l’uomo è un progetto in divenire, io come singolarità rivendico il diritto ad una definizione. L’incompiutezza non è una definizione, da qualunque lato la si possa guardare. Se solo potessi sbarazzarmi di questo filo di dolore che mi tiene tra il sonno disturbato e la veglia lontana.
Se fossi vuota, veramente vuota, potrei passare un dito di vento e farlo risuonare dal mio guscio di pelle secca. Potrei anche abituarmi a questa condizione di mezzo: non sono nulla ma posso fare a meno di scegliere di essere qualcosa. E’ colpa di questa secchezza e torpore di membra, ma voglio dormire adesso, solo dormire.
Il tuo respiro si muove silenzioso accanto al mio, mi basta allungare una mano per sfiorare piano i tuoi capelli.
Bruciore, dolore, vergogna, e questo vuoto che mi sta ingoiando ed una cicatrice, fuori, indelebile. Ho paura che resti solo la paura e non ci sia posto per altro, per nessun altro; a volte penso che legarmi a te sia un modo per non perdermi, che tenere la tua mano sia volere un appiglio di tepore; ma tu, tu vedi quello che sono? Perché non fuggi via? Io lo farei se potessi. Mi guardo allo specchio e vedo quello che non conosco.
Brucia, brucia, brucia… questa ferita è un grido tra la pelle, devo accettarla, non ho scelta, ma brucia.
Guardo il cielo tingersi di blu, indaco e grigio con i monti tutt’attorno che lo seguono come fossero uno specchio gigante. Vorrei essere un fiume e spandere per il cielo immenso diventando blu, indaco, poi grigio. Abbiamo fatto l’amore ogni giorno da quando sei con me, e ogni giorno più volte durante il giorno e la notte ed ogni volta ho letto il mare che sa di tempesta sulla tua pelle e nei tuoi occhi. Il mio sudore si è mescolato al tuo, ho il tuo odore adesso, ho te sulla mia pelle ed è ciò che rimane quando te ne vai; ho la tua voce che si è posata dentro me. Hai detto che sei mio, che sei per me; mi hai chiesto di amarti… sì ti amo.
Servirsi piano delle parole è un po’ come cercare la strada. Credo che l’uomo vivesse già nella mente del suo dio, e quando dio gli ha dato forma, ha visto semplicemente quello che lo perseguitava nel cuore.
Non ho paura adesso che il paesaggio scorre fuori dai finestrini come fosse acqua, sto andando da lui, lo vedo come già fosse vicino, devo solo aspettare che la sua immagine mi perseguiti ancora un po’. La cicatrice intanto brucia come se avessi del ferro arrugginito addosso, come una collana dimenticata.
Che strano scendere in una coltre umida con i gesti che si mescolano a parole senza senso: sillabe di una lingua che potrei chiamare amorosa, che molti conoscono e quasi tutti temono. Voglio che il mio corpo la parli senza timore, senza colpa: in fondo è stato creato anche per questo. Ho usato il suo profumo per darmi un’identità, viaggio nel mio limbo con la sua essenza, viaggio nel mio spazio ridotto con la sua mole immensa…
Il libro che sto leggendo dice che gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima che i corpi si vedano ed avvengono generalmente quando arriviamo ad un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente. A volte credo che la mia anima ti cercasse da sempre, e quando ho posto gli occhi su di te credo che lei abbia esultato di gioia. Riascolto il mio nome tra le tue labbra e resto come sempre incantata, come se qualcosa mi si spezzasse dentro, o si aprisse. Dura poco meno di un secondo, ma mi ci potrei perdere, tra le tue labbra. E’ bello sentirti dire ti amo, è bello sentire questo pugno di vocali e consonanti scivolare nelle orecchie, giù fino in fondo al cuore. Dura poco più di un secondo ma potrei volerne ancora. E’ questo che mi spinge, dopo, a rintanarmi affondando il viso nel tuo collo, ad aggrapparmi al tuo abbraccio, quando tu mi tocchi come se fossi fragile … io, invece, ti sto solo cercando…
Se lo scopo di ogni azione è vincere, i vincitori di Darwin hanno ammazzato il mondo. Per quale motivo l’uomo ha sempre innalzato e protetto tabernacoli d’odio e sopraffazione? Soprattutto verso l’amore e il rapporto con l’altro che è specchio di sé, vuol dire allora che odia se stesso, che vuole dominare se stesso e lo fa attraverso l’altro… è per stupidità o è per paura? La paura non ha colore, razza, nazione, è indefinibile, ha tante facce, suoni, odori, eppure è la stessa ovunque ed è anche la mia.
E’ buio, sento il suo odore, l’odore della sua pelle, del suo corpo. E’ buio, ma dalla finestra un refolo d’aria mi porta i rumori del mondo di fuori che si mescolano al rumore sordo del mio cuore. Si avvicina e con la mano mi sfiora la mano. Ho la sensazione che sappia come muoversi che veda anche al buio. Si avvicina ancora e si strofina addosso come solo un gatto sa fare. Strofina la fronte contro la mia guancia, il collo; strofina per cancellare la mia pelle e lasciare la sua. Guardo la sua pelle di luna e mi chiedo cosa si prova ad averla, forse mi ci muoverei bene.
Ho tante anime dentro, tante quante le nuvole in cielo e mutano e cambiano ad ogni dito di vento.
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E’ pieno di poesia questo tuo racconto. Una poesia che riporta a dei fotogrammi di vita della protagonista, che essendo troppo “lucida”, è sofferente nell’anima più che nel corpo. Dopo un inzio di “cruda realtà” arrivi ad un finale pieno d’amore. Complimenti MARICA!
Davvero profondo questo racconto… profondo come il dolore fisico e psichico che lo impregna. Una narrazione poetica e venata di spunti filosofici degni di essere presi in considerazione! Brava Marica!!
Bello, scrivi molto bene. Andrebbe letto e riletto. Mi piace che parti dal corpo, dal “sentirsi”, per affrontare il problema dell’identità. “I vincitori di Darwin hanno ammazzato il mondo” è una bella frase. “Rivendico il diritto ad una definizione” però… è un po’ come chiedere a qualcuno di porre fine alla propria metamorfosi… il che è impossibile!
Anche l’innamoramento è descritto in modo sottile. Come nascesse dall’anima, da una complementarietà, reciproca mancanza, per poi rivestirsi dei corpi.
BELLISSIMO! Complimenti….tutto bellissimo , e ” il libro che sto leggendo…………” passo sublime!!! Davvero complimenti!
al dolore ci si abitua alla gioia mai…..grazie MARICA…..una lettura che tocca tante diverse emozioni . BRAVA