Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “La dodecafonia di Marco” di Benedetta Colasanti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Passava di lì spesso, ma mai aveva trovato quel tratto di strada così interessante.

Forse per distrazione, forse perché era sempre immersa in altri pensieri, non aveva mai fatto caso a lui, che avrebbe potuto essere stato lì da sempre ma sembrava essere piovuto dal cielo.

Tutto cominciò una mattina. Si era svegliata di malumore e fino a quel momento tutto sembrava essere andato nel verso storto.

Sua madre l’aveva svegliata aprendo la finestra della camera e abbagliandola con la luce del sole. Era una cosa che non tollerava; amava il sole, amava tante cose, ma preferiva andarsele a cercare, senza che queste venissero inaspettatamente a disturbarla, ed essere svegliata dal sole al mattino era una cosa che trovava insopportabile, come del resto essere svegliata in generale. Aveva già la sua sveglia, che bisogno c’era che qualcuno aprisse la finestra?

Sua madre iniziò a riempirle la testa con una serie di raccomandazioni per la giornata, cosa inutile come il suo atto di aprire la finestra: Calliope si era appena svegliata e il suo cervello, se già era in moto, non lo era di certo per ascoltare delle chiacchiere che sicuramente non erano questione né di vita né di morte.

Finita la predica mattutina, la mamma sorrise e prima di uscire di casa la baciò da sopra le coperte, visto che si era coperta fin sopra la testa per sfuggire ai raggi del sole.

Il cattivo umore continuò a infestare il suo corpo quando arrivò in cucina e si accorse che il succo d’arancia era finito. La sua giornata andava sempre male se non lo beveva. Si vestì più distrattamente del solito, uscì senza pettinarsi i capelli e digiuna, come se niente avesse avuto senso senza il suo succo. Era una di quelle giornate nere in cui sarebbe rimasta volentieri a casa ad ascoltare musica, a leggere, anche a studiare, ma avrebbe fatto di tutto per non uscire. Invece la lezione di letteratura la aspettava.

Si avviò verso la stazione. Percorreva quel tragitto quattro mattine a settimana, quando aveva lezione all’università.

Si frugò nelle tasche della felpa, niente; poi in quella della borsa, niente. Aveva lasciato il suo iPod a casa e non poteva neanche distrarsi ascoltando la musica.

Furono tutte coincidenze che gli permisero di fare caso a lui per la prima volta.

Quella mattina, non avendo canzoni che le rimbombavano nella testa, non era stata capace di estraniarsi dal mondo,  ma si rese conto che la città era piena di tanti altri rumori piacevoli. Ce n’era uno in particolare che arrivò alle sue orecchie indisturbato, senza che nessun altro suono, voce o rumore potesse celarlo.

Era il suono di una chitarra. Si trovò davanti agli occhi un ragazzo con i capelli scompigliati, gli occhi azzurri coperti da grandi occhiali da vista. Le sue dita suonavano libere, il suo corpo si muoveva appena, eppure sembrava che il suono venisse proprio da dentro di lui.

Quel ragazzo era come la dodecafonia in musica, che aveva studiato l’anno prima a musicologia: si poteva anche percepire ogni suo singolo movimento, ma quello che sarebbe venuto dopo.. beh quello era un mistero. Eppure ne usciva una musica perfetta. Del resto nella dodecafonia niente è lasciato al caso, e guardandolo era incredibile quanto la semplicità potesse sembrare complicata e viceversa.

Continuò a guardarlo quasi ipnotizzata, tanto che andò a sbattere contro un uomo che le urlò scortesemente di guardare in avanti. Lei non reagì ma distolse lo sguardo e guardò davvero avanti, cercando di togliesi dal viso quell’espressione da ebete e di velocizzare la sua andatura. Andando di quel passo avrebbe perso il treno.

Lo vide anche il mattino dopo e quello dopo ancora. Lui era ancora li, con la sua chitarra, con la sua musica. Non era uno di quegli artisti di strada con l’unico scopo di rimediare qualche spicciolo, non aveva davanti neanche l’ombra di un cappello in cui i passanti potessero mettere dei soldi, suonava per piacere, suonava per se stesso, suonava perché sentiva di doverlo fare, e quando Calliope non lo trovava la sua giornata proseguiva in modo davvero squallido.

Lo trovava anche bello, gli occhi profondi, il corpo morbido, alto, asciutto, le braccia muscolose al punto giusto.

Iniziò a passare da lì anche quando non aveva lezione, iniziò a pensarlo, ad immaginare il suo nome, a citarlo nel suo diario.

Più ci pensava e più sosteneva che fosse una cosa stupida, ma non riusciva a farne a meno, e più passava il tempo più era come se si conoscessero.

Una mattina le era capitato di sorridergli, come per dire: “anche oggi qui?” ed era rimasta enormemente colpita perché lui aveva ricambiato il sorriso come se avesse capito.

Un’altra mattina successe una cosa ancora più incredibile, Calliope si sentì toccare il braccio e si voltò di scatto:

“Questo è tuo!”

Era proprio lui, le stava porgendo il suo diario.

Che stupida. Le doveva essere caduto dalla tasca della borsa.

“Oh.. si.. grazie..!”

“Passi spesso di qua.. vai alla stazione immagino..”

Lei era praticamente senza parole, aveva la solita espressione da ebete del primo giorno in cui l’aveva visto, ma lui continuò a parlarle:

“.. Starai facendo tardi.. Ti lascio andare!”

“No! Voglio dire.. oggi passavo per caso, non devo andare da nessuna parte!”

In effetti era una di quelle mattine in cui passava di lì giusto per sentire quella musica che per la prima volta la riempiva fino al profondo e rompeva il silenzio che spesso opprimeva la sua vita.

“.. Vuoi bere qualcosa?”

Era assurdo, stava parlando con il ragazzo a cui tanto aveva pensato, ma in fondo non sapeva neanche chi fosse, non sapeva neanche il suo nome.

Di fronte al suo silenzio lui continuò:

“Non chiedo di bere qualcosa a tutte le ragazze che incontro per strada, ma tu mi sei passata davanti così tante volte che mi sembra di conoscerti! A proposito, mi chiamo Marco”

“Piacere, io sono Calliope”

Si sorrisero e si strinsero la mano, poi si avviarono verso chi sa dove, verso chi sa cosa.. parlando di tutto. Le parole uscivano dalla bocca di entrambi come un uragano dopo una quiete di un secolo, come una musica leggera dopo un eternità di silenzio.

È strano come certe cose possano nascere apparentemente dal niente, da una distrazione, da uno sguardo, da un suono piacevole, da un ricordo dei suoni dodecafonici.. e pensare che studiandoli non le erano piaciuti per niente!

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