Premio Racconti nella Rete 2012 “Seppie coi piselli” di Martha Bartalini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Una volta tanto, Olga era uscita dall’ufficio un po’ prima ed era passata lei a prendere Beatrice all’asilo. Di fronte ai cancelli della scuola, nel tepore del sole, il frastuono urlante dei gabbiani le aveva annunciato il rientro dei pescherecci dal mare. Decise di andare a vedere se, fra il pescato, potesse farsi venire un’idea per la cena.
Una fila di cassette di polistirolo faceva bella mostra di sé lungo il molo, sopra dei tavolacci umidi e appiccicosi: decine di cicale si dibattevano accanto ad alcune sogliole, più in là delle orate boccheggiavano in riflessi argentei. Le venne in mente quella volta che due saraghi avevano ripreso vita nell’acqua salata del suo secchiello: li aveva appena pescati suo padre, lei era poco più che una bambina, le era parso una sorta di miracolo e si era messa a piangere dall’emozione. Fissò i pesci che le ansavano davanti e sentì in gola un bolo duro d’oppressione, a farle mancare l’aria. Distolse lo sguardo e fece qualche passo di lato, fermandosi di fronte a un contenitore colmo di seppie, sacche biancastre e carnose venate di grigio che parevano scolpite nel marmo e lucidate ad arte, come i bassorilievi della chiesa di San Pietro e Paolo. Decise di prendere quelle: le avrebbe fatte con i piselli, come piacevano tanto a Dante.
Arrivata a casa, dopo aver fatto il bagno alla bimba e averla posizionata davanti a un tavolino pieno di pastelli colorati, si mise all’opera insieme a una grande casseruola dal fondo fuso alto due centimetri, di quelle che assicuravano la cottura sana, senza grassi: un regalo di matrimonio, usata poco. L’aveva comprata sua zia per completare la batteria di pentole della lista di nozze. Quanto ci teneva Olga! Ogni volta che passava davanti alla vetrina del negozio di casalinghi, indugiava a guardare i suoi futuri tegami e ci fantasticava pure sopra. Allora le giornate non passavano tutte uguali, e quelle ancora da venire le sembravano attenderla giusto ad di sotto dei coperchi splendenti di quelle casseruole. Come in tante lampade di Aladino.
Dante rientrò sbattendo la porta e buttandosi sul divano dopo un bacio di sguincio alla figlia:
– Che giornata! Non ne posso più!
– Che è successo?
– Le solite rotture di maroni… se la situazione non cambia siamo messi male, te lo dico io! Tutti chiedono crediti, mutui… io non ne posso dare, le direttiva sono chiare! Per me si va tutti a gambe all’aria! Non ne posso più!
– Ho fatto le seppie con i piselli: te le ricordi? Le faceva sempre tua mamma. Le ho comprate per te…
Dante rispose mugugnando qualcosa sullo spread che continuava a salire, poi accese la tv senza mai staccarsi dall’iphone e dall’ipad.
– Beatrice ha fatto un bel disegno a scuola, vero Bea? Perché non vai a prenderlo nello zainetto e glielo fai vedere al babbo? – la bambina si alzò di scatto dalla sua piccola scrivania, corse in cameretta e tornò sventolando il foglio colorato:
– Guarda papà!
– Aspetta, aspetta un attimo – disse il padre parando la figlia con una mano avanti – rispondo a una mail, aspetta… ecco: fammi vedere! Proprio bello… Sei stata brava! -, le passò le dita fra i capelli color cenere a scompigliarli, come fossero i peli del mantello di un cane, e tornò al tablet. Beatrice andò in cucina a far di nuovo vedere il disegno alla mamma, poi si mise in moto sulle punte dei piedini e corse a piccoli passi molleggiati verso il corridoio.
– Potresti anche darle un po’ di soddisfazione quando torni! Considerando che è tutto il giorno che non la vedi…
– E che ho fatto? Ho visto il disegno, c’ho parl…
– Sì, c’hai parlato, continuando a smanettare col telefono: bella considerazione!
– Ripeti sempre le stesse cose, cambia disco!
– Se tu ascoltassi una buona volta! Quando hai nascosto i piedi nelle ciabatte e ti sei messo alla televisione, te sei a posto: vero?
– E quello che ho fatto prima? Non conta? Come se stessi a girarmi i pollici tutto il giorno… roba da matti!
– Ora dov’è andata Beatrice? Vedi di andarla un po’ a prendere e portala a tavola che siamo pronti per la cena! Beaaaa, Beaaaa… a cenaaaa!
Olga e Dante a un capo e all’altro del tavolino, Beatrice fra loro su un seggiolone che stava diventando troppo piccolo, al centro la casseruola: sagome rosee di seppia in mezzo a un mare di palline verdi, poggiate sul fondo di un leggero sughetto di pomodoro, proprio come le aveva insegnato la suocera. Le aveva dato la ricetta dopo una cena in veranda. Le aveva poggiato una mano sulla spalla e le aveva detto:
– Così si tramanda una tradizione di famiglia!
Si era sentita importante. Era poco che stava con Dante e, a ogni incontro, l’aria era attraversata da una strana elettricità che la stordiva.
Lo rivedeva vicino al bancone del bar che l’aspettava, una sera d’estate. C’era tanta gente e lei lo cercava. Le piaceva perdere lo sguardo fra quella gente, per poi fermarlo su di lui, quando lo trovava. Era andata lì con due amiche, voleva farglielo conoscere e moriva dalla voglia di sapere la loro impressione. Era emozionata. Aveva ventisei anni. Era una delle loro prime uscite. Era il periodo in cui aveva ancora i ricordi legati ai vestiti. Lui indossava una camicia di microfibra rossa, la portava con il polsino slacciato, con disinvoltura. Lei invece si era messa un vestitino blu, con le maniche appena accennate. L’umidità le faceva appiccicare un poco il tessuto leggero al seno. Lui era abbronzato. Stava bene. Quel polsino che ricadeva morbido e si mostrava arrendevole al suo gesticolare, somigliava a una promessa e lei avrebbe voluto farsi tale, arrendersi docile al gioco delle sue mani.
La voce della bambina la richiamò al presente: tamburellava i suoi animaletti di gomma sul ripiano del seggiolone, li faceva incontrare e parlare sommessamente fra loro. Sembrava non avere la benché minima fame.
– Sai che una volta papà aveva una barchina piccina piccina, l’ha presa e con la mamma è andato a pescare le seppie dentro il moletto, dove si va d’estate a fare il bagno. Te lo ricordi Dante? Siamo rimasti lì per ore! – disse Olga con un sorriso, cercando di distrarre Beatrice e di imboccarla.
– Sì, credevo mi si cuocesse la testa al sole… sembra un secolo fa!
– E poi, dopo aver aspettato aspettato aspettato, papà sentì muovere il filo e… tirò su una seppia gigantesca! L’avessi vista Bea, era enorme! La sera l’abbiamo fatta alla griglia, c’abbiamo mangiato in due!
– Sembra un secolo fa… Sembra un secolo fa… – continuava a ripetere Dante con gli occhi fissi nel vuoto. Aveva smesso anche di mangiare e il boccone che aveva in bocca pareva farsi più grande anziché diminuire, oppresso e compattato da qualcosa che gli si era parato innanzi chi sa dove, forse in un ricordo al quale, per tanto tempo, non aveva più pensato. Di nuovo il suono di un sms o di una mail arrivata. Dante riemerse da sé, lasciò il tavolino senza dire nulla per vedere chi era, chi l’aveva contattato, per rispondere.
– E poi mamma? Che avete fatto te e papà? E la barchina? Dov’è la barchina? – disse a gran voce Beatrice, esortando la madre a continuare la storia.
– E poi nulla Bea, era tanto tempo fa. Papà la barchina l’ha venduta e ora la mamma le seppie le compra sul molo, di fronte alla tua scuola.
Olga mollò il piatto sulla tovaglia e si alzò dando le spalle alla bambina. Andò all’acquaio, vi fece leva con le braccia, diventate di colpo due sbarre rinsecchite e rigide. Le dita di una mano giravano e rigiravano il cerchio del suo trilogy: lo scintillio dei tre brillanti appariva e scompariva. Il braccio destro le prese a tremare e fu quella vibrazione a darle la misura esatta del suo cedimento. Ora le vedeva, sì, le vedeva con chiarezza. Dall’alto vedeva franare ad una ad una tutte quelle certezze a cui si era ferocemente aggrappata. Le vedeva precipitare e finire sul fondo del lavello, sopra le stoviglie sporche ammonticchiate per preparare la cena. Le vedeva scivolare giù, liquide e striscianti come detersivo, senza impedimenti, fin nello scarico.
– Mamma, mamma, non li voglio i piselli, voglio le patatine! Mi dai le patatine?
Prima di muoversi, Olga rimase appoggiata per qualche istante all’acquaio. Poi sfregò le mani nello strofinaccio che le pendeva di fronte, come per asciugarle, anche se bagnate non erano. I denti stretti in una morsa attorno al labbro inferiore.
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Il racconto mostra con immagini efficaci la disillusione della protagonista, moglie e madre alle prese con una realtà quotidiana diversa da quanto aveva sognato. Una constatazione amara ma ampiamente diffusa nella quale molte donne si potranno riconoscere.
Racconto delicato e soavemente feroce nello stesso tempo. Bei dialoghi e belle similitudini. Scritto benissimo.
Brava Martha, hai saputo descrivere in modo conciso ma molto efficace la delusione esistenziale della protagonista partendo da momenti di semplice quotidianità.
Complimenti!
Grazie Franca!!!
ecco, questo è uno di quelli scritti bene. non solo l’idea, ma anche lo stile. ben fatti i dialoghi e il tono generale di quotidianità significativa ti lascia scivolare sopra la soddisfazione di sentirti raccontare proprio la storia che volevi sentire. i miei complimenti martha.
Sono lusingata di questo bel commento! Grazie infinite Antonello!
Il quotidiano della protagonista fa parte, purtroppo, di una realtà comune a tante donne, che si trovano a crescere i figli da sole, pur avendo accanto un marito, un compagno.
In molti nuclei si ripetono le scene descritte da te con finezza e incisività.
Mi associo agli altri commenti e ti faccio i complimenti per un racconto di ottima qualità.
In bocca al lupo!
Rita G.