Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Un caldo agosto romano” di Gianni Galleri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Un bar. Aveva bisogno di un bar. L’ideale sarebbe stato un pub. Magari di quelli irlandesi, carichi di legno e odori. Una bella pinta di birra doppio malto. Una Kilkenny strong di quelle che dopo il primo sorso ti senti la bocca impastata e i muscoli si rilassano.
Ma dove lo trovava un pub irlandese aperto alle due di pomeriggio su viale Angelico a Roma? Il Bar della Sanità sarebbe andato più che bene.
Attraversò viale Mazzini, prima la corsia che corre verso il Tevere, poi il giardinetto spelacchiato che divide i due sensi di marcia e infine la direzione che porta a piazzale Clodio. Bene, era davanti al bar. Entrò, scambiò uno sguardo con il barista e si avvicinò alla cassa.
«Una birra media».
«Niente birra alla spina, solo in bottiglia» rispose il cassiere, probabilmente il proprietario del bar, senza alzare gli occhi dalla copia di Metro della mattina.
Bel bar di merda, pensò. «E avete una doppio malto in bottiglia?».
«Costantì – urlo l’uomo, continuando a leggere – che birre c’avemo doppio malto?».
«Niente! L’avemo finite. Il dieci d’agosto chi te le riporta?».
«Vabbe’ facciamo una Peroni da 66». Anticipò tutti, ponendo fine allo scambio di urla in romanesco.
«Tre euro».
«Tenga. Mi siedo fuori» disse appoggiando le monete di fianco alla cassa.
Indicando con la testa il cartello dietro le sue spalle, il proprietario si oppose «Se va fuori, so 4 euro».
«Vada per 4 euro. Anzi tenga 5 e una la dia di mancia al barista». Tagliò corto e si spostò fuori.

L’aria dell’agosto romano sembrava uscire direttamente da un forno. Non un respiro di vento. Dicevano che la situazione fosse peggiorata tantissimo dopo la costruzione dei palazzoni dell’Eur. Il vento proveniente dal mare rimaneva bloccato all’entrata della città, facendola sprofondare nella calura. Riflettendo notò che questo pensiero era quanto meno inutile, visto che si riferiva a un fatto avvenuto talmente indietro nel tempo da non riguardarlo.
Le macchine sembravano sparite. Le poche che passavano raggiungevano velocità incredibili tanto erano vuote le arterie romane.
Sedendosi, si tirò su le maniche della camicia. Ormai non gli serviva più avere un aspetto formale. Appoggiò la borsa con il portatile nella sedia davanti a lui e si mise ad osservare l’asfalto che rilasciava calore, sfocando lo sfondo in lontananza.
I pensieri lo portarono a quella mattina. A cosa aveva detto. A come l’aveva detto e a che cosa poteva aspettarsi. Non lo sapeva. Il rumore del barista che spostava la sedia a fianco alla sua lo ridestò. Questi, un uomo sulla quarantina, pantaloni neri e camicia bianca, appoggiò la birra con un bicchiere bagnato sul tavolo, insieme allo scontrino.
«A lei. Ma è sicuro di voler star fuori? Dentro si sta meglio». Aggiunse l’uomo.
«Grazie per la birra. Devo aspettare una persona e preferisco vederla arrivare,» mentì. In realtà l’idea di dividere una stanza con l’uomo-lettore e con il barista annoiato non lo sfiorava neanche.
«Prego». Concluse l’altro, e si diresse verso la porta del bar, asciugandosi il sudore arrivato copioso dopo aver abbandonato la stanza con l’aria condizionata.

Rimasto di nuovo solo, controllò il cellulare. Aveva poca batteria, si sarebbe spento prima del ritorno a casa. Consultò l’email. Niente. Come era prevedibile. Certe cose non accadono in poche ore. La gente deve pensarci, confrontarsi, valutare le impressioni. Non doveva aspettarsi niente prima di due tre giorni. Considerando che andavamo in contro a Ferragosto era possibile dover attendere anche fino al 20.
Si riempì il bicchiere e dette una prima lunghissima sorsata, tanto che ne fece fuori tre quarti. Lo riempì di nuovo, per evitare che la birra si scaldasse nella bottiglia. Guardò l’etichetta cercandoci chissà cosa. Dopo tutto la birra Peroni non gli dispiaceva, non capiva tanto accanimento contro quella che a suo avviso era una delle migliori birre italiane. Soprattutto se valutata nel rapporto qualità prezzo.
Con la seconda sorsata portò a metà il bicchiere. Trattenne un rutto nella bocca e si mise a guardare un anziano signore che portava a spasso il suo cane. In quel preciso istante avrebbe voluto fumare. Non gli piaceva, ma doveva per forza convenire che soppesare fra le dita una sigaretta ha un indubbio fascino scenico. Un po’ come quei famosi occhiali da sole della canzone, che ti fanno acquistare carisma e sintomatico mistero. Già, perché non si era messo gli occhiali da sole? Anche questa domanda sarebbe rimasta inevasa.
Intanto il vecchio era entrato nel parchetto che divideva le due corsie di viale Mazzini. Per quanto fosse spaventato di invecchiare, trovava negli anziani qualcosa di romantico. Soprattutto adorava i nonni che portavano a spasso le nipotine, così goffi e dolci, con quei fagottini rosa fra le mani e quelli che avevano un cane. Spesso in quei casi fra l’animale e l’uomo si veniva a creare un rapporto talmente intimo e affettuoso che sembravano invecchiare insieme, come una coppia.
Il signore e il cane che stava osservando invece non avevano assolutamente niente di apprezzabile. Lui aveva una polo nera e marrone a righe orizzontali che si allargava tremendamente in concomitanza con la grossa pancia, larga come un pallone da basket. I capelli grigi sembravano finti per numero e posizione. Le ciabatte ai piedi dimostravano una scarsa sopportazione del caldo, ma anche una probabile vicina abitazione.
Il cane non era il cane giusto per lui. Era piccolo, scattoso e non degnava il padrone di uno sguardo. Probabilmente era l’animale di qualche figlio o figlia, lasciato ai genitori mentre loro erano a spassarsela in qualche spiaggia in giro per il mondo.

Nel frattempo la birra era finita. Fece lo sforzo di alzarsi, si affacciò alla vetrata e fece segno “due” con le dita al barista. Questo gli fece l’occhiolino tirando fuori il pollice della mano con gesto d’assenso. Più perplesso che soddisfatto tornò a sedersi.
Pochi minuti e la nuova birra arrivò. Il barista portava in mano uno di quei vassoi tondi con dentro la birra e un piattino con sopra lo scontrino. Prima di pagare non poté fare a meno di trovare superfluo e barocco quel modo di presentare il conto. Lasciò ancora cinque euro sul piattino e si guardò bene dall’alzare la testa incrociando lo sguardo dell’altro che, si sentiva chiaramente, moriva dalla voglia di fare due chiacchiere.

Mentre l’altro rientrava, controllò nuovamente l’email. Niente di niente. Anche le società di sconti e coupon si erano dimenticate di lui in quell’agosto torrido. Due turiste giapponesi gli passarono davanti proseguendo viale Angelico verso quello che era il loro naturale obiettivo. San Pietro. Il rumore dei sandali che avevano ai piedi rimbombava come nella grande aula magna di un liceo. Mentre si faceva l’ennesimo sorso di birra, che con quel caldo iniziava a dargli alla testa, si mise a riflettere sulla sua vita. Gli sembrava il posto maledettamente perfetto per farlo. Il silenzio, il calore dell’asfalto, l’assenza di auto, la città eterna. Era la cornice che qualsiasi scrittore avrebbe inserito nel suo racconto.
Gli vennero in mente gli anni del liceo. Le soddisfazioni dell’università. Il concorso fatto a posta per lui al quale all’ultimo momento gli era stato richiesto di non partecipare. E il lungo viaggio in Australia, la parentesi a Londra. E poi il ritorno in Italia, per stare vicino ai suoi. Il lavoro, le amicizie ritrovate, il suo nuovo amore. Insomma tutta la sua vita fino a quel mattino. Poteva davvero essere la svolta della sua nuova vita. In positivo o in negativo dipendeva tutto da…
Un fischio assordante lo ridestò dai suoi viaggi mentali. Un Suv enorme, bianchissimo stava cercando inutilmente di frenare. La strada libera aveva convinto il guidatore a premere più forte sull’acceleratore, forse per arrivare prima ad un appuntamento importante. Davanti a lui, immobile con entrambe le gambe sull’asfalto, lontano almeno tre metri dalle strisce pedonali più vicine, il vecchio con la maglietta marrone e nera.

L’impatto fu fortissimo. Il cofano della macchina colpì in pieno petto l’anziano, facendolo volare per almeno sei o sette metri. Il corpo ricadde – probabilmente già senza vita – poco distante dal Bar della Salute. La testa si schiantò sull’asfalto con un movimento terribilmente innaturale, facendo il rumore che fa l’uovo di Pasqua quando lo colpisci per aprirlo. Di lì a una trentina di secondi un rivolo di sangue, ma più chiaro, scorreva dalla testa dell’anziano verso la fogna che si apriva vicino al marciapiede. Il liquido sembrava fumare nel caldo di viale Mazzini.

Del cane non c’era traccia, la parabola aerea dell’uomo aveva rapito tutta l’attenzione. Non si domandò che fine avesse fatto l’animale, si ricordava solo di aver sentito come un guaito. Probabilmente era fuggito in preda al terrore. Scolò l’ultimo sorso di birra. Pensò che di lì a breve sarebbe arrivata la polizia. Forse l’avrebbero anche interrogato sulla dinamica. Stavolta ruttò a bocca aperta, in modo fragoros, senza preoccuparsi del rumore, prese la valigia, si alzò e si diresse velocemente più lontano possibile da quel bar del cazzo.

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16 commenti »

  1. Racconto ben scritto. La sensibilità del personaggio è di tipo estetico, si risolve tutto nelle immagini (la sigaretta per scena, l’ambientazione pub irlandese, i vecchi che se portano a spasso le nipotine hanno qualcosa di romantico). Poi la scena finale: solo davanti a un bar del cazzo può accadere qualcosa di così “fastidioso” come un incidente mortale. Meglio spostarsi e cambiare canale. L’uomo fa anche questo. Complimenti!

  2. Il racconto descrive un tipo qualunque, ribaltando le concezioni di chi pensa che il protagonista di qualcosa – un racconto, un romanzo, un film- debba per forza essere diverso, migliore, esemplare. Invece in questo racconto il protagonista è proprio come molti di noi, che scappano di fronte alle complicazioni, che non vogliono seccature. Se ne pentirà?

  3. @Silvia. Ti ringrazio per i complimenti e soprattutto per il tempo che mi hai dedicato. Dalla tua analisi comprendo che alcuni miei intenti narrativi sono riusciti bene. E di questo mi felicito molto.

  4. @Benedetta. Ho cercato il “tipo qualunque” donandogli così più forza di immedesimazione col lettore. Non siamo affatto migliori, ognuno ha i suoi lati complessi e oscuri. Ho azzardato il punto di vista. Chissà se è riuscito. Grazie del tempo che mi hai dedicato.

  5. è riuscito, è riuscito… auguri Gianni

  6. @Donatella. Bene, mi fa molto piacere. Grazie per il tempo che mi hai dedicato.

  7. A me questo racconto è piaciuto davvero molto!!
    Ti faccio l’in bocca al lupo per il concorso e per il futuro.
    Linda

  8. @Linda. Grazie mi fa davvero piacere. Posso chiederti cosa ti è piaciuto in particolare? Grazie per il tempo che mi hai dedicato.

  9. Complimenti Gianni. Il tuo stile descrive perfettamente la città e chi la abita. Mi è sembrato anche di riconoscere alcuni luoghi familiari…in bocca al lupo!

  10. Questo racconto e mi è piaciuto. Mi sono piaciuti il ritmo, l’aria densa che si respira, e l’inaspettato epilogo. Katia

  11. @Katia. Ho provato a ricreare il caldo afoso di Roma. Da quanto mi dici forse ci sono riuscito. Grazie!

  12. @Maurizio. Ho attraversato centinaia di volte quelle strade, tanto da sentirle mie e riuscire a descriverne lo spirito. O almeno c’ho provato. Grazie!

  13. per chi come me ha respirato l’aria di Prati, soprattutto d’agosto non poteva esserci una descrizione più calzante. E poi credo veramente di conoscere quel bar. Con questo racconto è come se mi fossi seduto anch’io a gustarmi una birra ghiacciata. Salute Gianni!

  14. non abito a Roma, ma leggendo questo racconto mi è sembrato davvero di vivere per quelle vie e il caldo sembrava entrarmi nelle ossa. Davvero ben scritto. Se vuoi, puoi leggere anche i miei racconti, giusto per uno scambio di idee!

  15. @Pier Francesco l’aria di Prati e di piazzale Clodio ti si attacca addosso, sembra una camicia. Ho sempre avuto la sensazione che là facesse più caldo che altrove. Salute a te!

  16. @Giovanni Grazie Giovanni, non mancherò di dare un’occhiata a quello che hai scritto.

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