Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Il senso della vita” di Giorgia Bruzzone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Ed eccomi qui. Con l’ultimo sacchetto di patatine.

L’home theater trasmette immagini in 5 D, ma ormai quasi non le guardo più. Preferisco chiudere gli occhi e sognare. Sognare un altro mondo che non sia quello che ci propinano in questo terzo millennio.

Stanno trasmettendo un documentario sull’Amazzonia, l’unico polmone verde rimasto sulla Terra. Non è certo un bel vedere il tuo soggiorno tra liane, insetti grandi come fenicotteri e un’umidità che trasuda dalle pareti goccia e goccia. E poi chi la sente Molly, la mia ragazza. Non si abituerà mai al 5 D. E’ ancora una purista, che adora stare all’aria aperta e camminare a piedi nudi sulla poca terra verace che ancora ci è concessa. Già la vedo correre tra i caimani e i pirahna in 5 D, urlando che è tutto fasullo e inveire contro il governo mondiale,  tra una pausa pubblicitaria e l’altra.

“Un 5 D così vero che ti sembrerà di esservi immerso”.

Ma io, cara la mia DreamsStation, Molly o non Molly, cerco qualcosa di meglio. E un’altra multinazionale me ne ha offerto la possibilità.

Difficile ricordare quando è iniziata questa ricerca. Un anno fa? No, sono più di diciotto mesi. Esattamente il 4 ottobre 2036.

Mi alzo e mi trascino attraverso il salotto. Le poltrone di pelle bianca, la pianta di benjamin maculato, il tappeto finto persiano, le riproduzioni di Picasso, mi chiedo quanto durerà. Quando arriveranno.

Sono davanti allo specchio tridimensionale. Mi guardo. Ho la barba nera da fare, la camicia azzurra in disordine, i capelli scuri ispidi come gli aculei di un riccio. Gli occhi però hanno ancora qualcosa di vivo. Si direbbe quasi che hola febbre. Eforse è così.

Devo trovarlo. Fosse l’ultima cosa che faccio. Trovare il senso della vita.

Tocco la parete e questa d’improvviso diventa trasparente e la luce esterna fa irruzione nel salotto e dilegua le immagini delle cascate di Iguacu e del Rio delle Amazzoni, mostrandomi un cartellone multimediale di un’agenzia di viaggi che campeggia proprio di fronte al palazzo.

Mi appoggio alla parete trasparente. Sento freddo. Gli occhi corrono al pacchetto di patatine grigio con la marca rossa e gialla posato sul divano. E rido. Rido così forte che la bocca dello stomaco mi si contrae mentre i brividi mi scuotono il corpo.

“Una ricerca per i pochi filosofi che ancora rimangono. Una ricerca per trovare il senso della vita. In palio un viaggio per due sul Pianeta Rosso. Mordila patatina Ricciobellae realizza la tua esistenza”.

Ricordo ancora quando vidi quella pubblicità per la prima volta. Ero in ufficio con Molly. Lei aveva alzato gli occhi verso il cartellone multimediale che troneggiava di fronte a noi. E aveva sollevato la visiera multitasking, atteggiando le labbra a succhiotto.

–          Che è? – aveva chiesto guardandomi. Una dritta linea sottile le incideva la fronte dall’attaccatura dei capelli fin quasi al naso, come quando si prepara a tirare un manrovescio.

–          Da quando in qua ci mettono la pubblicità anche dentro le disposizioni di servizio? – aveva continuato, battendo la piccola mano aperta sulla scrivania-tastiera. Un fischio ci aveva all’istante trapassato le orecchie.

Io ero sobbalzato e mi ero precipitato a premere il tasto stop.

Silenzio.

Quindi avevo armeggiato sulla scrivania-tastiera per dare il riavvio.

–          Sei matta! – avevo detto aggiustandomi il cappello di Duffy Squeeze sulla testa.

Molly aveva crollato il capo, sistemandosi i fermacapelli di Hello Girl e guardando tristemente la tastiera-scrivania dove campeggiava lo slogan di “Macelleria Pierantonio”.

–          Dimmi che siamo ancora programmatori, Rick – mi aveva detto piano.

–          Siamo programmatori – avevo ribadito io.

–          E perché abbiamo pubblicità ovunque?

–          Perché da quando la scuola, nel lontano 2010, per avere finanziamenti si è rivolta agli sponsor, ha lanciato un nuovo modo di fund raising… procacciamento fondi – avevo risposto. Detesto usare termini stranieri quando ci capiamo benissimo con quelli nostrani, anche se il governo mondiale ha ormai globalizzato tutto e le lingue nazionali sono ormai considerate alla stregua del dialetto.

Molly mi aveva guardato, socchiudendo gli occhi. Allora non mi sarei mai stancato di guardarla. Di toccarla. Di sondare con le mani ogni centimetro della sua pelle bianca. Di sentire sotto le dita la linea delicata del suo collo. Di perdermi nei suoi occhi che mi ricordano il cielo, quel cielo che possiamo ormai vedere solo tramite una cupola per via dei raggi dell’ozono. Di affondare il viso nei suoi capelli colore del grano, quel grano che ormai viene coltivato all’interno delle fabbriche bioagricole e non alla luce del sole.

Il sole, già. Un sole ormai coperto. Cosa darei per poter vedere il sole nudo, oltre la cupola che noi uomini abbiamo costruito nel 2012 per separarci dalla nostra stella malata, ma anche dal resto dell’universo.

Molly era tornata con gli occhi al cartellone multimediale. Il viso abbronzato e liscio dell’amministratore delegato risaltava sullo schermo, lo sguardo fisso su di noi.

–          Qualcosa da ridire, Miss McGregor?

–          Nulla – ero intervenuto io, arrossendo appena. Non ero mai stato più felice che il dispositivo di trasferimento dei pensieri fosse disinserito.

–          Ci chiedevamo circa quella pubblicità che è passata poc’anzi – avevo poi detto.

L’amministratore delegato della Johnson&Johnson&Johnson, in onore dei tre fratelli Johnson, che avevano fatto fortuna nel campo dei latticini per poi avventurarsi nel mondo virtuale, si era aggiustato la cravatta con il logo del nostro quattrocentodecimo sponsor, Nostrello mangime per polli.

–          Credo che possa essere un incentivo per tutti noi – aveva detto allungando il suo sorriso stile magigatto di Alice in Wonderland, nostro settecentocinquesimo sponsor.

–          Miserrimo! – aveva sibilato Molly quando era scomparso – se devo trovare in una patata il senso della mia vita…

E io, a dispetto di Molly, l’ho trovato proprio lì. Anzi, lo sto cercando lì. Sono diventato un consumatore accanito di patatine Ricciobella. Come poco meno della metà della popolazione del paese, ovvero la parte maschile. La popolazione femminile pare esserne immune.

Le donne. Hanno qualcosa che a noi uomini sfugge. L’ho sempre pensato. Quando avrò trovato il senso della vita cercherò la loro essenza. Scoprirò i loro segreti. O almeno, ci tenterò. Per ora posso solo leggere sul viso di Molly il suo disappunto.

– Guarda come ti devi ridurre per una patata! – mi dice quando mi vede, atteggiando le labbra a succhiotto – Tanto è una bufala! Tu e gli altri non troverete mai il foglio magico lì dentro!

E’ come una droga. Ma non tanto per il prodotto in sé, quanto per la brama di trovare quel pezzetto di carta, il foglio magico con la formula del senso della vita.

Afferro il pacchetto di patatine. Mi sento come un tossico in astinenza. Mi tremano le mani. Strappo il bordo. Qualche patatina rotola sul divano.

Devo trovare il foglio. Eccolo. Lo afferro. E’ unto, stropicciato, piccolo. Mi chiedo come le patatine possano essere ancora così unte ai giorni nostri. I lembi si attaccano, lotto per aprirlo. Ci riesco. E leggo per l’ennesima volta:

–          Ritenta. Sarai più fortunato.

Molly mi guarda dall’entrata della cucina, a braccia conserte, nel suo completo color latte griffato Faraway. E poi dà un’ampia occhiata al salotto.

–          Devi proprio? – mi chiede sospirando.

–          Tocca a me – le dico, fissando nel vuoto.

–          Domani qui sarò uno schifo – continua – Ne vale la pena?

–          Uno ci mette la casa, gli altri le patate. E si fa l’alba – dico io.

–          Questa è la regola – concludo con voce piatta.

Molly fa spallucce, schiocca le dita e l’appendiabiti a ultrasuoni si materializza al suo fianco, emergendo dalla parete. Lei allunga una mano e afferra il soprabito bianco.

–          Vi date tanto da fare per trovarlo da soli – mi dice infilandoselo – e poi fate festini per ricercarlo insieme.

–          Lo sai perché lo facciamo.

–          Per risparmiare, lo so. Ma è inutile.

Mi alzo. Ho ancora il foglietto in mano.

–          Lo troverò – dico serio – e ti ricrederai.

Molly scrollala testa. Notoche è andata al salone centrale. I suoi bellissimi capelli biondi sono più ondulati del solito. Gli occhi mi sembrano più brillanti. Le labbra, quelle labbra che ho assaggiato decine di volte, hanno una curva dolce e aspra come un’amarena biologica. Da quando è iniziata questa storia, non mi ricordo quando è l’ultima volta che l’ho amata.

–          E’ inutile. Lo avete già sotto gli occhi il senso della vita. Lo trovate ogni volta.

La guardo come inebetito. Lei mi indica il foglietto.

–          Non lo hai ancora capito? – mi dice battendosi la tempia.

Non può essere. Non può essere quello il senso della vita. Non può.

Molly aprela bocca. No, non dirlo. Vedo le sue labbra sottili e rosse compitare le parole, come a rallentatore.

–          Ritenta. Sarai più fortunato.

 

 

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2 commenti »

  1. Finale molto originale. Complimenti Giorgia.

  2. Per un lunghissimo attimo di lettura mi è parso di stare dentro Rumore Bianco. Certo, la trama e l’ambientazione sono diverse, i personaggi e l’epoca pure, però… La presenza di alcuni refusi e di alcuni termini dal significato solo intuibile non inficiano la lettura. Bellissimo l’uso di “compitazione” al posto del più usato (ma impreciso) “sillabazione”. Bravissima Giorgia, anche per il significato primo e profondo del racconto.

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