Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Il viaggio” (sezione racconti per bambini) di Giovanni Ceccanti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Tanto tempo fa, lontano da qua, un tale aveva intrapreso una vita molto abitudinaria e regolata da schemi precisi. Si svegliava ogni mattina alle otto e mezzo, apriva la finestra di fronte al suo letto e si stirava guardando la valle fresca e larga in cui viveva, augurando un buon giorno alle creature che vedeva. Poi metteva su un vinile di musica classica che aveva scelto la sera prima e con questo sottofondo si preparava la colazione: un uovo sodo, una banana, due fette di pane arrostito sul fuoco, il formaggio marrone che si scioglie, del miele di acacia fresco e una spremuta di pompelmo. Quindi rimetteva a posto in cucina e andava in bagno a darsi una lavata con acqua fredda e sapone di marsiglia. Di fronte allo specchio cercava i cambiamenti che giorno dopo giorno si accumulavano sul suo corpo, e lo faceva con la serenità di chi non sente il tempo. Di nuovo in camera rifaceva il letto, poi prendeva una delle quattro camicie azzurre dall’armadio e se l’abbottonava fino all’ultimo bottone; quindi si infilava i pantaloni beige e vi rincalzava come si deve la camicia. Poi indossava il golf blu da marinaio, quello a coste larghe, e andava all’ingresso dopo aver richiuso la finestra della camera, non senza canticchiare un motivetto. Toglieva allora la musica e riponeva il vinile. All’ingresso lo attendevano scarpe e calzettoni che si metteva stando seduto sulla sedia di bambù giusto accanto all’attaccapanni. Allora s’infilava l’incerata rossa, si metteva in tasca la sciarpa gialla e usciva nell’aia. Chiudeva quindi a chiave la porta di casa. Poi, appoggiata al glicine, prendeva la sua bicicletta in alluminio, vi saliva sopra, tirava su la lampo dell’incerata e partiva. Questo alle dieci spaccate di ogni giorno. Il tragitto era sempre lo stesso. Di fronte a sé aveva soltanto un’infinita salita che dal fondo valle lo portava in cima alle montagne più alte della zona: anche molte migliaia di metri. Dunque ad aver voluto ce n’era da pedalare, e il nostro uomo non aveva mai una meta precisa. Soltanto in cuor suo voleva salire il più possibile, quanto il fiato e i muscoli gli permettessero, per poter allungare la parte che veramente e sopra ogni altra attendeva con gioia infantile ed estatico stupore: la discesa verso casa. Quando infatti decideva di fermarsi, sudato e ansimante ad un certo punto della salita, tutto emozionato sfilava di tasca la sciarpa gialla, se la stringeva forte attorno al collo, girava la bici e giù… giù più forte che poteva, con le lacrime sparate indietro dal vento e il cuore strozzato in gola. E quando giungeva finalmente a casa, eccitato come un bimbo la sera di natale, non vedeva l’ora che arrivasse la mattina successiva, e sempre si prometteva che la prossima discesa sarebbe stata più lunga della precedente. A quel punto della giornata, che quindi diventava sempre più tardo e serale ogni giorno, la sua attività si limitava all’accensione del camino, per poi prendere, davanti ad esso, il tè con i biscotti al cioccolato. Quando il sole era tramontato da un paio d’ore si avviava a letto, dopo aver messo tutti i preparativi in condizione di servirlo l’indomani. Quindi, con la coperta tirata fino al mento, questo buffo tale si addormentava guardando il soffitto e immaginandosi la prossima discesa, con un sorriso spalmato sulle labbra.

Una mattina partì come sempre alle dieci in punto. Il programma si svolgeva secondo copione quando, al bordo della strada, sul suo lato, vide una ragazza dalla faccia tanto triste. I suoi polpacci l’avrebbero sorretto ancora per un po’ di chilometri prima di iniziare la discesa, essendo ormai allenati e tesi come quelli di un vero ciclista, per cui inizialmente non pensò di fermarsi. Quando però i loro sguardi si incrociarono vide chiaramente che la ragazza stava piangendo, anche se in modo molto lieve, e quindi scese con un balzo dalla bici. Più imbarazzato di dover parlare a una ragazza così carina che scocciato di aver interrotto il ritmo di salita, le chiese:

– Che cos’è che ti angustia tanto, zuccherino?

La ragazza alzò il mento e lo guardò con i suoi occhi azzurri e lucidi di lacrime. Poi riabbassò lo sguardo e rispose:

– Niente signore. Niente per cui mi possa aiutare. Sto solo aspettando il grande amore.

L’uomo la guardò con tanto di occhi.

– Qua? Con questo freddo?

– Vengo su questa strada tutti i giorni, da molto tempo. Prima o poi arriverà, mi creda.

– Beh, zucchero, credere ti credo, se lo dici tu… non vuoi però una tazza di tè con dei biscotti al cioccolato? Ne ho quanti ne vuoi giù a casa, abito proprio in fondo alla valle. Ti riscaldi un poco e poi te ne torni qua a cercare il tuo grande amore…

La ragazza allora rispose:

– Niente da fare, potrebbe arrivare mentre sono via. Grazie comunque…

Detto ciò si girò a testa bassa, coi fiocchi di neve che le adornavano i lunghi capelli, e incominciò a camminare su in salita, verso la vetta. Il tale, frastornato, la guardò sparire nella foschia. Incapace di riiniziare come si deve la sua salita sfilò la sciarpa gialla dalla tasca e se la mise stretta al collo, quindi girò la bici e tornò verso casa. Questa volta la discesa non fu goduta a pieno come le altre volte, questo perché il tale era pensieroso per quanto accaduto con la ragazza. Un tarlo, una strana novità, si era messa nei suoi piani tanto meticolosi e abitudinari. Quella sera, prima di andare a letto, scordò persino di scegliere il vinile di musica classica per l’indomani.

La mattina successiva il sole era caldo e l’aria molto tersa. Alle dieci e venti il tale era ancora sulla sedia di bambù e pensava alla ragazza e al suo grande amore con una scarpa in mano e gli occhi persi nel vuoto. Quando finalmente tutto era pronto e poté partire, pedalata dopo pedalata si scordava piano piano di lei e tornava meno accigliato, pensando invece alla sua adorata discesa e a quanto sarebbe potuta essere lunga. Dopo sei ore di salita, con la fronte madida di sudore nel vento frizzante di montagna, egli decise di tener duro ancora per altri dieci minuti perché così ci guadagnava in velocità e lunghezza l’agognato ritorno. In quel momento però, sul suo lato della strada, vide un uomo. Questi guardava scuotendo la testa la sua coppola bucata che teneva fra le mani, e ogni tanto prendeva a calci la terra. Il tale, che tanto aveva quasi deciso di fermarsi, sorpreso di aver fatto due incontri così ravvicinati nel tempo in una strada in cui mai nessuno metteva piede, accostò verso di lui e si sgranchì la voce.

– Signore, mi scusi… posso chiederle perché è tanto arrabbiato?

– Ma cosa vuole… se ne vada…

– Non voglio disturbarla, è solo che non avevo mai incontrato nessuno su questa strada, e da ieri lei è la seconda persona…

– Questo non può essere. – disse l’uomo. – Io vengo qua tutti i giorni, da molto tempo. Se anche lei ci viene deve per forza avermi visto.

Molto strano, pensò il tale. Può essere che sia l’uomo che la ragazza mi siano sempre sfuggiti?

– E mi dica: cosa cerca su questa strada?

– Cerco il lavoro della mia vita.

Il tale rimase un attimo immobile ad osservare quell’uomo che infilava e sfilava l’indice dal buco nel cappello. Poi disse:

– E crede che lo troverà?

– Più che credere: ne sono certo. Se ne vada adesso, non mi distragga. Potrebbe passare una volta sola…

Il tale iniziava ad essere veramente perplesso. Se quella strada era davvero una fucina di occasioni tanto ghiotte, come mai non l’aveva mai saputo? Ma soprattutto, perché non aveva mai visto quelle persone? Quella sera di fronte al camino, dopo il tè, decise di fumarsi una sigaretta. All’attesa per la discesa si era momentaneamente sostituita l’attesa di tornare sulla strada solo per vedere quali altri incontri gli avrebbe riservato.

La mattina si svegliò un po’ prima del solito, due minuti circa prima dello squillo della sveglia, cosa che non gli era mai successa prima. Trangugiò la colazione: due uova anziché una.

– Quest’oggi salirò alto come mai ho fatto! – urlò.

Alle nove e un quarto il nostro uomo iniziò la salita. Fate adesso due conti, perché alle sei e mezzo del pomeriggio egli stava ancora salendo. L’aria, man mano che saliva, si faceva sempre più rarefatta, e il fiato dai suoi polmoni usciva insieme ad un sottile sibilo d’agonia. Non incontrò nessuno fino a quel punto, neanche i due disperati ricercatori dei giorni precedenti. Poi, quando l’ennesimo ma inesorabile crampo si fece sentire sotto la coscia sinistra, il tale si fermò e cadde stremato al lato destro della strada. Stette allora un momento lì, sdraiato pancia in giù con la guancia affondata nella neve, finché non ritrovò la forza di alzarsi.

– Ecco, l’aiuto…

Un tale, uguale nell’aspetto al nostro, solo vestito in modo diverso, gli porgeva la mano.

– Oh! – crepitò il nostro tale – Ma le… lei…

– Sono appena arrivato. Forse non mi ha visto prima perché stava cadendo.

Mantieni la calma, pensò allora, questo è certamente l’incontro che meno ti aspettavi. Devi stare calmo, molto calmo! Cerca di essere vago e distaccato…

– M… mi dica, – esordì, – lei viene spesso qua?

– Si. Tutti i giorni, da molto tempo.

Anche lui! Almeno però non mi ha riconosciuto… Allora, emozionato come mai nella sua vita, trattenendo a stento il cuore disse:

– E mi dica, se posso: che cosa cerca di grazia in questa strada?

Per un poco non rispose. Il silenzio si fece carico d’attesa. Finalmente lo guardò stralunato e disse:

– Aspetto la discesa perfetta. Quella che non finisce mai.

– La discesa perfetta? Ma non esistono discese così!

– Certo che esistono! E sono sicuro che uno di questi giorni la troverò! Non sono mica scemo, sa!

– No certo, lo so bene, ma come può una discesa durare in eterno? Dovrà pur iniziare una salita prima o poi…

– Che razza d’idee! Mi lasci stare, la prego. Con quel suo buffo naso a palla… Potrebbe essere proprio in questo punto… – E mentre si allontanava continuava a parlare concitato tra sé e sé, con la testa bassa come se cercasse l’oro.

Decisamente attonito, fuor d’ogni lume, il tale salì sulla bici e iniziò a tornare verso casa. Stavolta la discesa non la sentì neppure. A casa non accese il camino, non si fece il solito tè. Camminò a lungo nell’aia invece, in cerchio, finché il sole non fu tramontato. Quella notte non dormì affatto. Continuamente si rigirava nel letto e pensava a quel tale uguale a lui che aveva incontrato sulla strada.

All’albeggiare del sole se ne stava ritto in camera, guardando fuori dalla finestra e ascoltando i primi cinguettii degli uccelli. Quando i raggi iniziarono ad entrare di soppiatto nella casa egli iniziò a riempire la sua valigia di vimini. Ci mise dentro tutto quanto trovò nell’armadio, le camicie ed il resto, e se la portò vestito come al solito verso l’ingresso. Si mise le scarpe ed uscì. Una volta fuori legò con una corda resistente la valigia di vimini al portapacchi della bicicletta e si tirò su la lampo dell’incerata rossa. Chiuse a chiave la porta. Gettò le chiavi nei cespugli. Salì sulla bici. Sfilò quindi di tasca la sciarpa gialla e se la strinse per bene al collo. Non si girò neppure. A tutt’oggi in casa sua regna un gran silenzio di ragnatele.

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