Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Fuori standard” di Andrea Fasanella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Me ne stavo con gli occhi fissi sul monitor a guardare il finale della partita. Il negozio era deserto, come sempre. Anzi, non proprio deserto. C’era Argo, sdraiato sul solito scaffale, tra un cd dei Nirvana e una raccolta di fumetti di Alan Ford, la coda a penzoloni, gli occhi socchiusi ma vigili.

Emma entrò di slancio, aprendo energicamente la porta a vetri, sudata e ansimante, come una volpe inseguita dai cani da caccia. La porta sbattè facendo vibrare lo scaffale, Argo balzò in piedi sulle quattro zampe, la coda minacciosa.

“Bel negozio” disse con disinvolta noncuranza.

La fissai, sconcertato per quell’irruzione in un pomeriggio d’estate noioso e assolato.

“Non l’avevo mai notato, è molto che siete aperti?”

Mi alzai infastidito, rischiavo di non vedere come sarebbe finita la gara decisiva delle finali NBA. Una circostanza davvero sconveniente. La scocciatrice se ne sarebbe andata presto, almeno così speravo. Argo si tranquillizzò e tornò alla sua pennichella.

“Da cinque anni” le risposi, senza mascherare il disappunto “ma c’è poco giro di questi tempi.”

“Peccato. Sembra un posto interessante.”

Non feci in tempo a rispondere. Si appropriò del bancone, poggiandoci la sua borsa, ampia e con una strana protuberanza. Aveva un seno florido, ben proporzionato e questo mi impedì di dirle d’istinto “siamo chiusi”.

“Cosa consiglierebbe a una donna appassionata di avventure, polizieschi e musica jazz?”

Gettai un occhio alla borsa, poi alla scollatura. Mi intrigavano entrambe. Un bel mix, pensai. Io invece avevo un aspetto orribilmente trasandato: sneakers da cammino di Santiago, barba dimenticata e jeans di ritorno da un concerto rock.

“Musica jazz? Non la tengo. Abbiamo qualcosa di musica italiana, tipo Capossela, Gino Paoli … “

Mi sparò addosso due zirconi colore del muschio: “Mi interessa, quanto costa?”

Non ansimava più come quando era entrata. Aveva preso potere e attraeva ogni cosa che stava attorno, come un magnete.

La fissai circospetto. “Lei quanto vuol spendere?” Presi un cd, lo misi sul bancone. “Faccia lei il prezzo” con tono sprezzante, per sfidarla. La miglior difesa è sempre l’attacco.

“Cinque euro.”

“È suo!” Come regalato. Volevo sbarazzarmene, tornare alla partita. E aggiudicarmi il duello.

“Ti ringrazio” sorniona e amabile, “posso ascoltarlo qui? solo la prima canzone …”

Terribile. Non potevo dire di no e odiavo il fatto che avrei detto di sì. Forse a Boston stavano già festeggiando la vittoria e io qui invischiato per cinque sporchi euro. E per una scollatura.

Stavo perdendo la contesa. Avrei chiesto scusa più tardi ai Clash, ai Foo Fighters, a tutti gli dei dell’altare del sacro fuoco del rock: “Certo, come vuole … faccia lei, l’impianto è nell’angolo.”

Lei contro tu. Aveva un bel seno, un sorriso spaziale e una strana fretta. Era ambigua e totalmente fuori contesto, come una danzatrice del ventre in uno slum di Chicago.

Insomma, mi piaceva.

Tornò il giorno dopo, pressappoco alla stessa ora, facendosi aria con il cd di Capossela. Avevo la sensazione di essere fottuto. Come quando arriva un’ondata e te ne stai lì da idiota a prenderla in faccia.

Lo mise nell’impianto e si sedette sul divanetto di vimini con i cuscini maltrattati dalle unghie di Argo. Quieta, appoggiata allo schienale, a fissare la vetrina. Dava segni di vita solo quando bussava qualche cliente, in cerca di un vinile di Chuck Berry, di qualche libro introvabile o solo per scambiare due chiacchiere.

E tornò ancora, sempre, tutti i pomeriggi di quell’estate afosa, con le strade desolate e i vecchi in canottiera sulle panchine, con la bocca semi aperta e il cappello di paglia poggiato alla nuca. E sempre tornava a sedersi sul stesso divano, sul lato meno visibile dai pochi passanti. Accavallava le gambe e abbassava sul naso gli occhiali da sole con grandi lente sfumate scure. Si nascondeva.

Scambiavamo qualche parola, io ed Emma, sempre di circostanza, girando alla larga. Ci guardavamo spesso. Io la guardavo spesso. Pareva che avessimo sottoscritto un patto di non aggressione dei rispettivi spazi emotivi. Lei sul divanetto in vimini, io dietro al bancone disordinato, a dar conto delle assurde richieste dei pochi randagi, che capitavano di lì.

Eppure, quando non veniva, quelle rare volte, mi chiedevo perché, seccato con me stesso. Forse perché le finali NBA erano finite e avevo bisogno di un antidoto per quelle ore vuote. Mi mettevo allora a osservare quelli del bar di fronte che giocavano a briscola, insultandosi.

E non ci pensavo più.

Una volta la vidi discutere con una donnetta di mezza età, abbigliamento anni 40, in cerca di romanzetti strappalacrime dai risvolti erotici. Tesa nell’elogio di Madame Bovary, ma era come argomentare di questioni letterarie con un calorifero spento. Alla fine quella uscì con Suite 405 della Modigliani, un cocktail di lussuria e sonnifero.

Sbirciai da lontano quel duetto grottesco. Emma, odiosa tanto era suprema. Le sue dita come tentacoli attorcigliati alle copertine.

Verso la fine di luglio, capitò un uomo di bell’aspetto, ben vestito. Io con la tshirt dell’ultimo concerto di De Andrè, lui con una camicia di lino di taglio sartoriale che non ci azzeccava nulla.

Emma si alzò di scatto e si mise tra lui e me. Si fissarono roventi. Lui indietreggiò, lei fece un cenno. Uscirono, lei davanti a fendere l’aria, lui che seguiva, arrancando, già sconfitto prima della battaglia. Scomparvero oltre l’angolo.

L’attesi. L’attesi fino a quando si fece buio. Non so perché, ma l’attesi. O forse sì.

Tornò, a un certo punto, spavalda, gli occhi fieri. Entrò come era entrata il primo giorno, ma senza un tacco. Stesse vibrazioni del primo giorno, Argo spalancò un occhio, poi riprese a dormicchiare.

In verità l’aspettavo da più tempo di quanto fossi in grado di comprendere.

“Ti devo parlare”

“Perché?”

“Ti voglio parlare”

“Va bene”

“Chi è lui?

Iniziò.

Tutto il giorno con gli occhi sul monitor doppio schermo ventiquattro pollici, operazioni in titoli derivati, soldi che entravano uscivano si volatilizzavano come la polvere bianca che ci facevamo per arraffare l’illusione di essere vivi. Mi fiondai nella sala trading della BBG Bank, abbandonata come dopo un disastro nucleare. Dissi ad Alberto: dobbiamo parlare. Adesso! Era già notte, non me ne ero neppure accorta, ma era business as usual, come si dice, no orari, frigo vuoto e sesso col telecomando. Scendemmo in garage con l’ascensore. Ti lascio, gli dissi, voglio un’altra vita che non è la nostra, credo di meritarmela. Lui pigiò il pulsante. Meritarla? quindi hai un prezzo, che prezzo? quanto c’è da pagare? urlò. Una spinta, un’altra, la cabina scricchiolava, ora cade giù, pensai, un fracasso e tutto sarebbe finito lì, almeno. Uno schiaffo, una macchia di sangue. Appoggiai la pistola proprio sul cuore, era gelida eppure meno del suo. Tonfi di parole e rabbia incontrollata, il neon, la luce che va e viene.

Poi bum! poi silenzio. Una liberazione.

Dormii vestita quella notte. Ero tranquilla. Ma nessuno venne a prendermi. La giornata successiva la passai vagando come in trance. Entrai per caso nel tuo negozio e istintivamente mi sentii al sicuro.

Ce l’aveva fatta. Raccolsi del rossetto dalle sue labbra e mi dipinsi le guance. Ero l’Indiano a Cavallo, quello della maglietta del concerto, il pescatore che nasconde l’assassino. Fuori standard, come noi.

“È venuta a cercarti una certa Patrizia.”

I nostri sguardi sbattevano uno contro l’altro come uccelli impazziti in una gabbia troppo stretta. Emma mi attraversò per un nanosecondo. Già troppo.

“Immaginavo.”

“Mi è preso un colpo. Pensavo fosse entrata Annie Lennox.”

“Si somigliano. Lei mi ama da sempre.”

“Chi è lui, quello che entrato?”

“Ha importanza?”

“No.” Baravo. Lei lo capì. “L’hai fatto per davvero?”

Argo si intrufolò tra noi, due isole solitarie senza approdi e gli uccelli trovarono la via di fuga. Un lampo inondò di luce la via, era scoppiato il temporale d’estate. Il vento picchiava contro la vetrina, faceva oscillare la luce gialla dei lampioni.

Se ne andò senza aggiungere altro. Meglio così, sarebbero state inutili sovrastrutture. Restai stordito, pensavo all’Indiano e alla sua scollatura. Nella pioggia intravvidi gli uccelli volare via, come i nostri occhi, già lontani.

Accesi il computer, cercai un’inutile conferma di qualcosa che già sapevo. Nulla, infatti, nessun risultato, niente che avesse a che fare con la BBG Bank.

Passai la notte al negozio, insonne, fino all’alba. Tornò il sole, l’umidità era stata spazzata via e l’aria era secca. Dormii fino al primo pomeriggio, esausto. Quando tornai al negozio, trovai un rossetto e un biglietto, infilato tra la saracinesca e la vetrina.

“Non farti ingannare, non andare indietro nel tempo. Resta qui, resta adesso.”

La città era deserta, svuotata dalle vacanze e dal temporale improvviso della notte. Mi sentivo un lago senz’acqua.

A settembre vendetti quel poco che era rimasto in negozio, preparai gli scatoloni e ripiegai con cura la maglietta con l’Indiano. Volevo ricominciare in un qualsiasi altro luogo del mondo, dove l’estate era frequentata da temporali violenti e luci gialle oscillanti al vento.

Io e Argo. Chissà se Emma era esistita per davvero.

Si.

Scirocco, luce abbacinante, sabbia infuocata.

“Non sei male a seguire le tracce.”

Sono un indiano, non lo sapevi? Lei indugiò qualche secondo senza voltarsi.

“Patrizia. L’unica che poteva saperlo.”

“Ho fatto un gran casino per trovarla. L’ho beccata fuori dall’Outlaw. Un postaccio, brutte facce”

“Ci andavamo assieme tanti anni fa”, Emma vagava sull’orizzonte, “prima che accadesse il fattaccio.”

Abbassò lo sguardo, ricompose le immagini. La risacca risaliva incessante, accarezzando la spiaggia senza rumore, per tornare a perdersi nel mare.

“Lo gettammo giù dall’auto, era strafatto, come sempre. Il resto fu solo un caso.” Uno sciabordio lieve, una traccia di spuma.

“Ma se lo meritava. Era un cazzo col vuoto attorno.” Labbra secche.

“La ami?”

“Non la lascerò mai, ti basta?”

“Non l’hai ucciso per davvero …”

“Ha avuto il fatto suo.”

Sparì di nuovo, andò fino all’orizzonte. Un passo oltre, il sogno, l’allucinazione. Poi volò indietro.

“Perché sei qui?”

Misi una mano in tasca, estrassi il rossetto e lo appoggiai sul suo ombelico. Bollente, con una lieve contrazione, quasi impercettibile. Labbra umide, adesso.

Prese il rossetto e con un sorriso spietato mi fece a pezzi. “Ah eccolo. Credevo di averlo perso.” Che frase del cazzo, mi venne in mente.

Slacciò due bottoni della camicia e disegnò due cerchi concentrici rosso fuoco, proprio sopra al mio cuore. Piuttosto ben fatti, devo dire.

“Prenditi cura di te e di questi due. Coltivali.”

Mise il rossetto nella borsa turchese e si alzò scrollando la sabbia addosso a me. Mi sfiorò le labbra senza dire nulla e si allontanò così, in un battito di ciglia. I suoi fianchi andavano su e giù come nella canzone dell’amore che va via. Capossela è un genio, pensai, provando a metterla sul filosofico.

Lo scirocco soffiava forte, c’era il profumo del deserto d’oltremare e uno strano pulviscolo rossastro. Ero accecato dal chiarore di migliaia di stelline infuocate.

Lei diventò sempre più piccola, sfocata. Poi nulla.

Guardai nella direzione opposta. Devo sparire nell’altro nulla, dall’altro capo del mondo. Due nulla si toccano all’infinito, dove cavolo ho letto una teoria del genere? Tastai il petto, i cerchi erano un amalgama con la pelle, fatti propri dal corpo. Non erano più concentrici ma sghembi, adesso, fuori standard.

Indossai la tshirt impolverata, la testa smise di ronzare. Ero l’Indiano a Cavallo, il cercatore di tracce. Diedi uno strattone alle briglie e mi mossi annusando il vento, che non mi abbandonò, per mille miglia o forse per sempre.

Loading

1 commento »

  1. Che bel racconto! Due mondi così differenti che si toccano per un attimo che tende all’infinito. Per scherzare mi viene da dirti, il potere di una scollatura, ma è solo una battuta. In realtà nel tuo racconto hai chiamato a raccolta dei grandi (tra tutti Capossela e De Andrè) che hanno descritto le sensazioni e i sentimenti che il tuo protagonista sta vivendo. Belli i salti temporali, il cambio di registro e cambio di scena. Mi è dispiaciuto assistere alla chiusura del negozio… sembrava un bel posto.
    Complimenti.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.