Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2020 “Un gelato puffo e yogurt” di Clarice Curradi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Credo sia capitato a tutti almeno una volta nella vita di sobbalzare atterriti nell’oscurità per il cigolio sinistro di una porta che si chiude o si apre per cause ignote…Che sia per una certa pendenza del pavimento, per il soffio meschino di una brezza leggera, per lo scherzo grossolano di un amico o per le allucinazioni di una mente annebbiata dalle gozzoviglie di una recente serata festosa.

Credo allo stesso modo che a nessuno sia invece mai capitato di sentire lo stesso cigolio sinistro provenire da un controllore svizzero. Non da una porta o da una finestra, non dall’anta di un armadio. Da una persona in carne ed ossa. Volendo onorare la maniacale precisione svizzera per l’attenzione ai dettagli, occorre partire dall’inizio di questa storia. Chiunque abbia la sfrontatezza di salire su un qualunque mezzo pubblico (che sia vacca o che sia tram) che circola sul territorio svizzero, senza un regolare titolo di viaggio, dovrebbe avere altrettanta consapevolezza che non sta infrangendo la legge, ma LA LEGGE, quella svizzera, quella infrangibile, quella la cui infrazione può causare sofferenze senza pari e insanità mentale permanente. Io ebbi la sfrontatezza, ma non la consapevolezza. Si può dire che avevo una sconfinata fiducia nella fortuna e nelle mie doti teatrali. Era una di quelle classiche giornate in cui rimpiangi di non possedere una pelliccia di orso bruno. Nevicava prepotentemente, ma la città era immersa nel silenzio, ibernata dal gelo penetrante. Il mio abbonamento scaduto, soffocato dalla morsa serrata del mio guanto, sembrava scalpitasse nella mia mano come monito a fare la scelta giusta. L’idea di andare a piedi a casa o peggio alla stazione per rinnovare l’abbonamento, probabilmente mi sfiorò, ma aveva un tocco talmente gelido, che il brivido raccapricciante che ne seguì, mi sembrò un invito garbato a salire sull’autobus.

Una parte di me era quasi divertita all’idea di sfidare così sfacciatamente il pericolo, ma sfortunatamente l’altra parte di me, quella che avrebbe dovuto sapere che stavo compiendo un atto insano, era paralizzata dal ghiaccio e non poteva avere voce in capitolo. Il tragitto verso casa era cominciato da appena pochi secondi che subito una sorta di malessere generale, che nulla aveva a che fare con l’assiderazione in corso, si impossessò di me. “ Secondo le leggi della probabilità, è altamente improbabile che l’unica volta che salgo senza biglietto incontri i controllori, no?” Mentre con le mie scarse e imbarazzanti nozioni di matematica e probabilità cercavo di sedare quel morboso timore del peggio, all’orizzonte venni abbagliata da un bieco luccichio che emergeva dalla coltre bianca. Due uniformi arancioni e uno sguardo diabolico: i controllori. “Controllore svizzero” già di per sè è un binomio che incute terrore a dirlo a voce alta, figuriamoci trovarselo di fronte, sapendo di avere infranto ciò che gli è più caro al mondo. “Manteniamo la calma, manteniamo la calma” pensai nel panico più totale mentre la mia mente stava già scrivendo la sceneggiatura dell’esilarante melodramma che seguì.

Mi preparai a scendere simulando non curanza e appena misi piede sull’asfalto, mi giunse all’orecchio come uno schiaffo a mano aperta la “melodiosa” sferzata in svizzero bernese:  “Billette, bitte” , “Sicher” * . Aprite il sipario signori, che la sceneggiata abbia inizio. 

Mi avvicino ad una panchina e comincio a rovistare nella borsa, prima con estrema calma, poi con crescente urgenza, avvalendomi di gesti inconsulti ed espressioni di orrore e sorpresa. “Oh Mein Gott! Ich habe es nicht! Mamma mia! My wallet! Someone stole it. Ich kann nicht, Oh Dio!” ** comincio a bofonchiare assurdamente in tre lingue diverse, cercando di darmi credibilità con uno sguardo di profondo disappunto per il terribile inconveniente. “Du muss zalen!Jetz!” mi urla lui. “Entschuldigung, Keine Ahnung…” *** Fingere di non capire appena vengono nominati i soldi: prima cosa da imparare in terra straniera. Ciò che è disarmante in Svizzera, è che questi meticolosi osservanti della LEGGE, parlano tutte le lingue e sono pronti a tutto. “Ahhhh” esordisce sgranando gli occhi e sibilando da farmi gelare il sangue nelle vene, come se la temperatura sotto zero non fosse abbastanza. “Tu italiana, fiene qua e non paga.” Con impeto patriottico, serrando i piedi e raddrizzandomi il pon pon svenuto sul cappello, ribadisco con voce ferma: “Mi hanno rubato il portafoglio, ho detto”. Non vuole sentire ragioni, cosa incomprensibile data l’alta qualità della mia performance teatrale. “Dofe abita te?”  “ Sto ad Ostring da un amico, sono qui di passaggio” Appena la mia lingua faticosamente aveva cominciato a scandire la parola Ostring, il suo sguardo si era fatto vigile, percorso da un lampo oscuro e pungente e un ghigno nefasto gli aveva rigato il viso. Sollevando con una lentezza spietata gli occhi dal suo blocchetto di multe, comincia a ruotare il collo nella mia direzione facendolo stridere orribilmente.

Lo sento distintamente: Il cigolio sinistro.“Ostring tu detto? [pausa di sospensione] E allora perché tu essere scesa  qvaaa??!” Quella vocale protratta in un crescendo di acidità sonora mi toglie il respiro. Sento le ginocchia cedere, il pon pon crollare inerte da un lato e riesco a stento a biascicare con una vocetta tenue “ Vado a pranzo da un’amica….” Ormai l’impalcatura scenica si sta disintegrando. “Paga, tu tefe pagare! 100 franchen!!!” Con le ultime forze rimaste riesco a sventolargli sfacciatamente in faccia 10 euro stropicciati cavati fuori dalla tasca dei jeans, giurando di non avere altro. Il cigolio echeggia ancora nella mia testa ma io non demordo. “Tu scriva indirizzo qva. Io multa te.” “Va bene, va bene… Via Benedetto da Maiano…” “NEIN! Qvesto è Italia, indirizzo sfizzero!” “Ma io non vivo qui” rispondo con la calma di chi ha capito che la sta facendo franca. A questo punto, sempre molto dubbioso e per nulla incline alla rassegnazione, si gira alle sue spalle e per la prima volta noto una seconda figura: un orsacchiotto!

No, un momento, non è un orsacchiotto, è l’altro controllore, un bambinone tornito dalle guance rosee che con aria bonaria e un po’ stordita fissa un punto indistinto nell’aria, pensando con tutta probabilità alle grasse salsiccie che lo stanno aspettando a casa. Confabulano tra loro e dopo pochi secondi, in cui Teddy Bear in uniforme deve aver convinto il mio persecutore a chiudere la faccenda adducendo motivazioni validissime (“Schnell, Ich habe Hunger”****), si rivolgono nuovamente a me. O meglio, l’orsacchiotto tace sonnacchioso e il vero controllore scrutandomi con odio mi abbaia contro: “ Per questa volta tu vai…ma prossima volta…tu problemi con POLIZEI!!!” E’ possibile correre nella neve alta non cascando nemmeno una volta? No, non è possibile. Così nella mia rovinosa e forsennata calata a quattro zampe verso casa, ormai zuppa fino al midollo, blu e bianca come un gelato puffo e yogurt, ripensavo alla minaccia del controllore e al permesso di soggiorno nella mia tasca che attestava che non ero “ solo di passaggio” per qualche giorno in Svizzera. La Polizei svizzera nella mia testa assumeva connotati mostruosi ed alieni e mi vedevo deportata in un bunker di isolamento costruito sotto il Gurten, costretta a mangiare le croste dell’Emmental.

Oramai vaneggiavo. Piombata in casa con la grazia di una palla di neve che ti colpisce sulla tempia nuda, accecata da una logica irrazionale, cominciai a strappare dal muro di camera mia tutte le foto  e qualsiasi traccia che indicasse la mia residenza in quella città. Esausta e tremante ma con la determinazione negli occhi, mi tolsi d’impeto il cappello dalla testa afferrandolo per il pon pon bistrattato e mormorai: “Non mi avranno mai!” e dopodichè crollai sul letto.

Traduzioni frasi in tedesco e in inglese

*”Biglietto prego” “Certo”

** “Mio Dio, non ce l’ho! Mamma mia, il mio portafoglio!Qualcuno lo ha rubato!Io non posso, Oh Dio!”

*** “Tu devi pagare!Adesso!” “Mi scusi, non ho idea…”

**** “Svelto, ho fame”

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6 commenti »

  1. Descritto con vivace e pungente ironia, “Un gelato puffo e yogurt” ci regala una lettura piacevole e suggestiva, insegnandoci, al contempo, che grazie all’astuzia umana siamo capaci di affrontare le situazioni più imbarazzanti, come quella qui ritratta. Un racconto frizzante ed entusiasmante, complimenti all’autrice!

  2. Grazie Alessia del commento, felice che ti sia piaciuto! Hai colto nel segno, situazione imbarazzante a dir poco…storia vera tra l’altro:)

  3. Racconto scorrevole, narrato con un tocco di ironia. Bel ritmo. Sono rimasta con il fiato sospeso fino alla fine sperando che la protagonista la facesse franca. Complimenti.

  4. Maria Luisa grazie! Felice che ti sia piaciuto!

  5. Carino e coinvolgente!

  6. Grazie Davide!

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