Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2019 “Io sono dell’acquario” di Marco Gallo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Ricordo che feci molta fatica a carburare quella mattina, poi però riuscii ad alzarmi, prepararmi e uscire. Quel giorno, oltre alla solita consegna di pesce fresco, attendevo anche i vini. Vivendo in centro a Roma andavo al ristorante a piedi, e quella era una bella giornata di sole e l’aria era ancora fresca. Percorsi il tragitto immerso nei miei pensieri. Fu il profumo dei rincospermi che adornavano via Margutta che mi riportò al presente: ero arrivato. Aprii le saracinesche, entrai ed accesi le luci del locale, accesi anche la luce dell’acquario con i pesci di mare che nuotavano indolenti.

Mi parve di sentire una voce. – Ciao, buongiorno. – Fu solo dopo che me ne accorsi, immediatamente non ci feci caso e proseguii con le mie faccende.  Quando tornai all’ingresso però udii chiaramente una voce.

 – Ciao, buongiorno e ben arrivato. –

Ero proprio sicuro di aver sentito una voce, andai alla porta, ma non c’era nessuno, e nessuno stava vicino alla finestra che dava sul cortile interno. Mi girai attorno e non vidi nessuno.

 – Non hai le allucinazioni… –   

Prima che il mio cuore trasalisse, la voce continuò:

 – … girati verso di me e capirai. –

Mi girai intorno finché i miei occhi si posarono sulla vetrata dell’acquario e vidi una spigola che mi osservava immobile. Solo la bocca si apriva e chiudeva a ritmo costante.

 – Ecco hai capito di chi è la voce che ti parla, bravo, complimenti! –

Sgranai gli occhi, aprii la bocca quasi ad imitarla, rimasi interdetto, non so quanto tempo passò, poi mi schiarii la voce e replicai:

 – Ma non puoi essere tu a parlare! –

  – E sentilo! Pensi di avere solo tu una lingua e un cervello? Non pensi di essere un po’ presuntuoso, bello mio? –

 – Sì, no, no. –  Balbettai confuso.

 – È solo che non avevo mai parlato con un’animale, soprattutto un pesce. –

 – Animale lo sarai tu, orbene, anche tu. –

Ripresi, con un po’ più di coraggio.  – Scusami; uhm…, mi scusi. –

 – Non fare il formale adesso, possiamo darci del tu, in fondo sono qui da quasi un mese e possiamo dire di essere colleghi. –  

Mi rispose mentre continuava a guardarmi e ad aprire e chiudere la bocca, con aria inespressiva.

 – io mi chiamo Giulio. – Dissi ancora titubante. – vorrei stringerti la mano, ma… –  

 – E ora fai pure lo spiritoso? Mi chiamo Ermenegildo, ma gli amici mi chiamano Gildo, e tu puoi fare lo stesso. –  

 – Sei arrivato qui un mese fa, dici. –  

 – Si, certo, non te lo ricordi? Il nostro aguzzino – Il tuo fornitore di pesce fresco. – Ti disse che aveva dei pesci vivi e che sarebbero stati una bella attrattiva e un bel messaggio di marketing per i clienti. Se c’erano pesci vivi in acquario, significava che il pesce della casa era fresco. – Un gran bel genio quel tipo. –

 – Si ora ricordo, hai una bella memoria! –  Disse mentre con fatica riscostruivo la scena.

 – E cosa ti aspetti da un pesce? Non siete forse voi che ci date da mangiare ai vostri piccoli, dicendo che conteniamo fosforo? Ecco io sono tutto fosforo. –

 – Uhm…, capisco, mi dispiace che sei qui; vuoi che ti libero e ti riporto al mare? –  

 – No, per niente. Sto bene qui! Siete così divertenti voi umani, tutti i giorni qui è come essere al teatro in prima fila. –

 – Ma che ne sai tu del teatro? –  

 – Bello mio, di tanta robaccia che gettate in mare, ogni tanto si trovano anche cose interessanti, come i libri. E prima che si deteriorino, o che quelli scimuniti degli squali se li mangino, noi ce li leggiamo, noi pesci intendo, almeno quelli più intellettuali. –

 – E dimmi, come fai ad aver imparato la nostra lingua? –

 – Ah, sei proprio curioso tu! Ebbene, a forza di stare acquattati vicino le barche dei pescatori, per apprendere le loro tecniche di pesca, s’impara molto, anche se i pescatori sono abbastanza taciturni, per loro natura. –

Facevo fatica a credere a quello che ascoltavo.

  – Guarda che devi togliere le bottiglie di vino da quella ringhiera. – Mi disse improvvisamente. – Tu non te ne sei accorto, ma solo nell’ultima settimana te ne hanno rubate cinque, e considerato che quelle le fai pagare venticique euro l’una, non mi sembra che tu stia facendo dei grossi guadagni. – Lo guardai a bocca aperta. Stavo per parlare ma mi anticipò. – Non chiederti come faccio, è inutile. Tra quello che vedo riflesso nello specchio e quello che vedo direttamente è come se fossi in prima fila a teatro, te l’ho detto. –

 – ah, ho capito. – Dissi con aria tra l’incuriosito e lo sbigottito.

 –  eh… dimmi, dove mi consiglieresti di metterle? –

 – Il ristorante è il tuo e questa è una tua decisione. Sai che mi sembri un po’ rimbambito, non ti pare? –

 – Be’, non saprei. –  Dissi con un filo di voce. –

 – Ma prendi sempre sul serio quello che gli altri ti dicono? Con te non si può scherzare! – Mi disse ridendo. – Le bottiglie te le fregano, è vero, ma tu non sei un rimbambito, anzi sei una brava persona, per questo ho deciso di aiutarti. –

 – Grazie, sei molto gentile, ma dimmi, ci sono altre cose che hai notato? –

 – Be’, ieri sera c’erano due coppie al tavolo sette e mentre erano alla cassa uno dei due uomini teneva sotto braccio la moglie, ma con la mano libera accarezzava il sedere dell’altra, che lo guardava con aria complice. Il marito era occupato a guardarci con il naso spiaccicato sulla vasca. Siete proprio una specie interessante! Be’, poi se fossi in te, metterei una chiave alla cassa, in modo che il cameriere, non ci infili le mani dentro e ne cavi fuori due o tre biglietti da venti, a seconda dell’incasso, come se fosse al bancomat. –

 – Ma davvero fa questo? –

 – Certo! Con quello stipendio da fame che gli dai, come pensi che possa mandare avanti la famiglia, ora che poi la moglie ha perso il lavoro! –

 – Non sapevo che avesse perso il lavoro. –

 – Devi imparare a conoscere e a occuparti di più delle persone che lavorano per te, se vuoi che lo facciano bene e con attenzione. –

Rimasi perplesso, a lungo ripensai a quella conversazione, ma decisi di seguire i consigli di Gildo, spostai le bottiglie e le sostituii con dei vasi di potus, misi una chiave alla cassa e feci anche installare una minuscola telecamera. Gildo non ne fu pienamente d’accordo, perché, a suo dire, la sua presenza era sufficiente a verificare che nulla di strano accadesse. Detti un aumento ai camerieri e incominciai anche ad interessarmi alle loro vite. Devo dire che gli incassi aumentarono e notai che le persone uscivano dal ristorante più allegre e soddisfatte e tornavano più spesso di prima. Con Gildo facevamo lunghi discorsi e dopo un po’ non mi sembrò più una bizzarria.

Un giorno però tutto cambiò.

Quel pomeriggio mi attardai a casa per delle commissioni, al ristorante c’era Gildo che vigilava su tutto. Era stata una giornata molto calda e quella sera per andare al ristorante feci un giro più lungo e passai a prendere un aperitivo da un amico che aveva un bar poco lontano. Lentamente poi m’incamminai verso il ristorante. Quando entrai guardai come al solito verso l’acquario cercando Gildo, ma feci fatica a scovarlo, avrei voluto dire ai suoi amici di scansarsi. L’ansia stava salendo velocemente, quando ad un tratto sentii la sua voce e mi tranquillizzai.

 – ah ce l’hai fatta ad arrivare, avevi perso la strada? –

 – Ciao Gildo, mi stavo preoccupando, dove ti sei cacciato? –

 – È una lunga storia, ma cercherò di farla breve. Il tizio al tavolo quattro aveva tanta voglia di una spigola e oggi il tuo fornitore non ne aveva. Il tizio poi ha indicato l’acquario, il cameriere ha cercato di spiegargli che eravamo pesci da esposizione, ma non c’è stato verso. Tanto ha detto e tanto ha fatto, alla fine il cameriere, per non scontentare un cliente, mi ha preso e mi ha depositato nell’acquaio. Sai, lì, abbastanza rapidamente, sono morto per asfissia.

 – Gildo, ma se sei morto come fai a parlarmi? E dove sei ora? –  

 – Non ti perdere nei dettagli e ascoltami. Dopo che sono morto è arrivato il cuoco, ha infilato il coltello appuntito, nel buco che ho vicino la coda, e che… – si schiarì la voce un po’ schernito. – Usavo per altri scopi. Mi ha aperto fino al collo, mi ha tolto le budella, il cuore, i polmoni e le branchie, mi ha poi sciacquato per bene e poi mi ha condito a dovere, con le migliori spezie, e soprattutto ha messo un po’ di cipolla, invece che l’aglio, come fanno alcuni che a masterchef sarebbero presi subito a pesci in faccia. – Lo sentii ridere. – Ah, ah. A pesci in faccia! Disse, ridendo a crepapelle. – Mi ha avvolto poi in un foglio di alluminio e mi ha infornato. –

 – Ho capito, ho capito, ma dimmi dove sei ora e come fai a parlare se sei morto? –

 – Sono stato cotto a puntino, devo dire. Appena mi ha tirato fuori e ha aperto l’involucro, la cipolla, il prezzemolo e il pepe insieme all’odore della mia carne cotta si sono diffusi tutt’intorno. –

 – Ho capito, ora che ho ascoltato la cronaca del tuo funerale, mi dici dove sei? –

 – Se ti giri sulla destra, puoi vedere il cameriere portarmi al tavolo quattro. Ah, stavo dimenticando, c’è una cosa che devi sapere: se mi mangerà quel tizio al tavolo quattro io e te ci perderemo per sempre, non potremo più parlare. Se invece mi mangerai tu, potremo continuare a parlarci, certo non potrò più controllare le cose come prima, ma mi sembra che tu già abbia risolto la questione. Sei stato lungimirante, lo devo ammettere. –

Mi precipitai al tavolo quattro, inventare una balla e ritirare il piatto con Gildo non fu difficile. Andai poi a sedermi ad un tavolo appartato e guardai Gildo perplesso.

– Coraggio, mangiami! – Mi disse.

– Non posso, non ce la faccio. –

Mi domandai se non fossi diventato matto, e che tutta quella storia fosse un’invenzione della mia fantasia. Parlare con un pesce, che idea stramba! E per giunta era anche morto. Forse ero diventato pazzo. L’idea di mangiare il mio amico però, sì, mangiare il mio amico Gildo, non mi entusiasmava.

– Non fare così, non devi essere triste e soprattutto non indugiare, amico mio, se mi raffreddo, divento stoppaccioso e ci perderemo per sempre. –  

 – È difficile per me pensare di tagliarti e mangiarti. –  

– Caro mio, non ti devi preoccupare, non mi farai male, sono già morto. Anzi, bevici sopra un buon bicchiere di bianco e buon appetito, vecchio mio. Mangia piano e gustami con calma. –

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