Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “Falso allarme” di Marina Bellanti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Lasciò scorrere il dito sulla cartina aperta, poggiata sul finestrino. Trovò la località, era quasi arrivata, la piccola stazione deserta, c’era solo un display luminoso che continuava a lampeggiare. Si affaccio dal finestrino.

Il vento era troppo modesto per assaporare qualche sapore, ma nell’aria si leggeva dappertutto la sua scelta.

Il treno era sporco e portava il segno delle ore consumate, lattine schiacciate nei cestini, resti di  cibo colorato, giornali abbandonati tra gli spazi che separano gli essere umani dagli altri, ovunque.

Isola aveva solo i suoi ricordi in tasca e nient’altro. Se ne stava seduta, composta, dietro grandi occhiali da sole, inutili per la scarsità di luce e passati di moda da decenni. Il vestito nero  che aveva scelto fasciava il suo corpo  alla perfezione, una grossa cintura di stoffa dorata le stringeva la vita, i capelli morbidi e folti, opportuno scherzo del destino. Ora che si vedeva riflessa nel finestrino non riusciva a pensarsi una Signora, non riusciva a cancellare tutto il resto.

Nessuno sa cosa significhi davvero non esserci, in nessun luogo e non appartenere a nessuno.

Il capotreno entrò distratto e stanco. Era un uomo dall’aria per bene, che non vedeva l’ora di tornare a casa e riprendersi la propria parte di mondo.

“Biglietto, prego” disse sorridendo, allungando la mano verso ciò che Isola gli porgeva.

“Eccolo” alzò la testa ma non si tolse gli occhiali e poi si accorse di colpo che quella era la prima parola che pronunciava da  quattro  giorni, la prima dopo aver agganciato il telefono ed aver promesso a Beatrice, l’avvocato che stava curando la sua pratica, una risposta.

La piccola valigia ai suoi piedi le faceva pensare a quanto fosse cambiata, a quanto fossero distanti lo zainetto verde e blu con la spalliera rigida, gli scarponi da trekking e i calzini di lana pesante. Ma fuori tutto era rimasto immobile, le montagne erano sempre lì, maestose. Isola aveva voglia di vero.

Il paese era avvolto nella luce prugna del primo tramonto che assaggiava da mesi. In città non si ha più tempo per certe cose, sono dettagli e si ammirano solo nei film “oh, ma guarda che bella fotografia, che direzione artistica, che spettacolo!

Isola respirò forte come per prenderne il coraggio, per rubarne l’audacia e poi si diresse verso la strada, di nuovo.

“L’albergo che cerca è a cinque minuti da qui” la donna la guardava con fare cortese e le indicava la via coprendosi gli occhi con una mano, puntando l’orizzonte. “Sempre dritto, oltrepassi il fioraio, la lavanderia e una volta arrivata davanti alla farmacia deve girare a sinistra, c’è un ristorante, e subito dopo l’albergo, in verità è gestito dalla stessa famiglia, perciò può entrare anche dal ristorante. Non può sbagliare.”

Isola si ricordò di aver letto che le donne danno indicazioni  colorate, fanno riferimento ai negozi, alla realtà, descrivono ciò che vedono mentre gli uomini si tengono più sull’astratto prima a destra, seconda a sinistra, cinquecento metri e poi di nuovo a destra.

Il paese era ancora illuminato e di certo non era lo stare per strada ad allarmarla, neppure un po’.

Questa volta, al contrario, la strada la rendeva serena. Camminava in cerca di se stessa, i pensieri scivolarono lontano attraverso il fioraio, la lavanderia, la farmacia poi alzò gli occhi e lesse STRADA DEL VINO  “perfetto” pensò Isola entrando nel piccolo albergo dove avrebbe dovuto dare, insieme al documento, anche altre spiegazioni.

Il mattino la accolse ridendo. Appese l’abito nero nel piccolo armadio di noce, dall’odore pulito. Indossò pantaloni comodi, una maglia verde e scarpe da tennis poi lasciò la camera tre, pareti ocra, aspetto caldo ed  accogliente.

Il paese sembrava sonnecchiare, Isola diede ancora una rapida occhiata alla cartina e poi iniziò a camminare  veloce, decisa, senza paura.

Oltre le case tutto sembrava ancora memore della passata stagione, i boschi all’orizzonte disegnavano un confine di luce verde, intensa. L’abbazia sulla collina e la vallata di filari pieni di frutti a disegnare geometrie scomposte e il rosso delle rose come romantiche lanterne, Isola respirò la vita, intensamente.

La cantina era stata ristrutturata e il viale polveroso lastricato di nuovo, tutto intorno erano stati sapientemente coltivati alberi di oliva. Il casolare dominava il vigneto.

“Buon giorno, benvenuta nella nostra Cantina, ci ha trovati con facilità?” indicò la cartina che Isola teneva in mano.

“Ho percorso la Strada del Vino, mi sono goduta il panorama. Sono venuta sul lago una sola volta quasi trent’anni fa e finalmente mi sono decisa a tornare” la voce, inaspettatamente, tremò.

“Allora ben tornata, qui siamo ancora abbastanza fortunati, il nostro vino ci aiuta a mantenere un po’ di verde e a far salire i prezzi delle nostre case alle stelle!” rise e poi con gesto rapido fece sedere Isola porgendole la mano:

“Mi chiamo Domenica e questo è il mio piccolo e grande tesoro” fece un gesto ampio che abbracciò le pareti di pietra. “Posso servirle la colazione?”

“Io sono Isola e non ho molti tesori ma prendo volentieri un caffè e una fetta di dolce alle rose, quello della casa” le strinse l’occhio e sorrise.

“Vedo che si è informata, bene bene bene, a qualcosa servono i soldi che spendiamo per tanta carta” rise ancora e sparì oltre il bancone.

Domenica era una donna energica e forte, lo si capiva dal suo sguardo vivace e da come si sentiva a suo agio con quei capelli rossi. Aveva mano grandi e piene di nodi. Era vestita con cura ma senza nulla di appariscente, era rassicurante.

Dopo la colazione le disse che nel pomeriggio avrebbero dovuto allestire un banchetto di nozze, seconde nozze, nulla di vistoso, poche decine di ospiti. Manzo, polenta e buon vino, ovviamente. Quattro ragazzi salutarono dal viale. “I miei due figli, sono i due più belli!”

Domenica istruì i quattro ragazzi sul lavoro da sbrigare; la sua voce doveva averli spaventati più di una volta, vista l’attenzione che le prestavano, ma si intuiva la bontà negli occhi, il rapporto speciale che avevano, così intenso.

“Quando ho deciso di occuparmene io, di questo casolare, non potevi entrare senza un grosso casco in testa e senza il terrore che saresti uscita di qui solo con l’aiuto di una squadra di pompieri…cadeva a pezzi!” girò la lunga chiave nella fessura dorata e poi con un colpo sordo la porta della cantina si aprì lasciando che l’odore di umido, di legno, di frutta, di vino e di sacro sorprendesse Isola, incantandola.

La zona per la degustazione lasciava intravedere la cantina vera e propria alle spalle. “Ho dovuto fare tutto da sola, organizzare i lavori, seguire gli operai, cercare i soldi…ovviamente creare tanti debiti…grazie al cielo i miei figli mi hanno sostenuta ed aiutata ma sono diventata lo stesso un uomo, altrimenti sarei caduta, sa cosa voglio dire, questo mondo è a misura di maschio, anche se siamo noi a costruirlo e a mandarlo avanti!”

Isola fece molte domande, era nata curiosa e assaporò tutto quell’amore per le radici, per ciò che siamo; si ricordò di quell’unica volta che con suo padre aveva condiviso qualcosa, di quando lui le parlò della vendemmia, della spremitura, delle botti, proprio dentro quella stessa cantina, trent’anni prima.

“In questa stanza si entra solo dopo tre anni dalla vendemmia, ma questa è la stanza più bella” rise di nuovo ”qui la fatica lascia spazio all’orgoglio, qui si fa la storia!” indicò i cartoni sigillati con lo stemma della cantina e tante bottiglie, piene di nobili bollicine.

 

Isola era seduta al tavolo, assaporava i profumi del vino, guardava oltre la staccionata, pensava a Beatrice e a tutti quei fogli da riempire.

Un uomo si fermò davanti a lei e le sorrise. Stava fissando le sue mani, con occhi invadenti. Isola sentì suonare forte il proprio personale allarme. Un altro uomo aveva capito e forse sentiva già  il diritto di conquistare quella terra di nessuno, quell’isola di un mondo nuovo dalla quale strappare i frutti e gettare via il resto.

“Sono un mezzo uomo che forse diventerà una mezza donna e voglio solo finire il mio vino” ritrasse le mani e continuò a guardarlo negli occhi, meravigliata di se stessa, tremante.

Lui prese un foglio e scrisse veloce poggiandosi sul palmo della mano poi le passò il biglietto e un sorriso intenso e vero:

Osservo molto perché sono sordo, mi piacciono le sue mani, mi scusi.

Falso allarme.

Loading

6 commenti »

  1. Un racconto che mi è molto piaciuto. Il tema del ritorno e quello della rinascita ben descritti, un personaggio che cerca fra incertezza e volontà il suo nuovo spazio vitale, e che deve costruirlo e difenderlo giorno per giorno. Ho trovato molte somiglianze, mi è sembrato un altro primo giorno molto simile al mio. Sono contento di essere il primo a commentarlo e a complimentarmi.

  2. Tema delicato trattato con delicatezza. E trovo bella e simbolica la scelta del nome. Questa è una bella storia che vale la pena leggere perché parla di un modo di esistere come essere umano che credo sia tra i più difficili e complessi. Isola ha tutta la mia simpatia.

  3. In effetti ha ragione Marco Floridia: il tuo racconto è molto bello e potrebbe essere la prosecuzione naturale del suo, altrettanto prezioso… Isola non rivela da dove arrivi e non si sa dove vada. Ci è dato di coglierla in un breve momento e solo grazie a un falso allarme si svela in parte a noi. Una parentesi vivida e piena di suspance.

  4. Sono molto colpita dal tuo racconto, Marina. Bella la sensazione di mistero che aleggia intorno alla tua protagonista (mi piace tantissimo il nome Isola!), e che si apre in uno spiraglio solo alla fine. Allo stesso tempo, però, lo si può leggere anche al di là della situazione individuale che lasci intravvedere: come ricerca di un punto di approdo e di conforto, che ha carattere universale e in cui ognuno può a suo modo riconoscersi. Complimenti!

  5. Isola e il sordo, entrambi alle prese con le proprie insicurezze, sono personaggi interessanti di questo racconto, in cui il crescendo di non detto ha un epilogo inaspettato, graffiante come lo sono le cose reali.

  6. Ho letto con piacere questo racconto, la descrizione accurata e a tratti poetica
    dei luoghi e della campagna. Un viaggio che la protagonista compie alla ricerca di se stessa
    e del proprio vissuto.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.