Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “53 Minuti” di Raffaele Sesti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

“Quanto è durata la mia vita dottore?” chiese Matteo al dottor Miriani.
“53 minuti” rispose il medico posando il blocco degli appunti sull’elegante scrivania.
“Merda, ma è sicuro? Voglio dire magari si è distratto e gli è scappato qualche minuto.”
“Lo escluderei.”
Matteo ancora sdraiato sul lettino, fissava in silenzio il soffitto dello studio.
“A cosa pensi?” gli chiese il medico.
“Penso che per raccontare i miei 35 anni mi sono bastati 53 minuti…è un bel po’ su cui pensare.”
“Nient’altro?”
“Si, penso che per oggi abbiamo finito, grazie dottore.”
***
“Capisci?” chiese Matteo ad Andrea indaffarato con pipette, accendini e una sostanza poco lecita,“diavolo, mica mi aspettavo una cosa del genere! Voglio dire, ci metti più tempo te a preparare quelle schifezze che io a raccontare la mia vita”.
Nessun commento.
“Oh, hai capito cosa ti ho detto?” continuò con un tono a metà strada fra il disperato e l’incazzato.
“Amico non capisco un’accidente di PSI-CAZZOLOGIA, cosa vuoi che ti dica?”
“Non è questione di psicologia, è questione che quello che ho fatto nella vita non ha riempito nemmeno un’ora. E guarda che non ho tralasciato molti dettagli.”
“Accontentati di averne una da raccontare.”
L’amico finì quello che stava preparando con grande cura, pulì il tavolino da pezzetti di tabacco e erba e poi sistemò con precisione studiata tutti i suoi strumenti sul piano di truciolato svedese.
“Insomma cosa vuoi da me?”chiese Andrea incrociando le braccia sopra la pancia.
“Dimmi che devo fare.”
“Che ne dici di prendere due birre, sederti qui e con la nostra comune amica, parlare della caducità delle cose?”
“Vaffanculo Andrea!”
“Hey.. ma che modi sono?”
“Quella roba ti sta fottendo il cervello, non c’è più da fare un discorso serio con te, guarda che qui non..”
“Ecco la soluzione” lo interruppe l’amico illuminandosi in volto, “FOTTERE! Ti do il numero di una che dovrai toglierglielo di mano per rivederlo.”
Si alzò di scatto per recuperare il cellulare perso in quella che lo stesso Andrea definiva una confusione organizzata.
Matteo lo guardò rovistare fra i cuscini del divano, poi sotto pile di vestiti sporchi e se si fosse trattenuto ancora un po’ lo avrebbe visto cercare persino dentro il frigorifero. Invece se ne andò senza salutare.
***
Da qualche giorno Giovanna, la mamma di Matteo, vedeva il figlio molto strano (viveva ancora con i genitori nonostante molti gli facessero notare che era diventato grande da un pezzo).
“Cos’hai?” insisté dopo che fu rientrato da lavoro. Aveva inutilmente tentato di parlare con lui del più e del meno ma dalla bocca del figlio erano uscite solo vaghe risposte.
“Niente”.
“O insomma, non sono mica nata ieri?” gli rispose lanciandogli addosso il cencio con cui stava pulendo la balaustra.
“Sono giorni che sembri un cadavere che cammina, non parli con nessuno e tratti male anche papà.”
“Perché, ti importa ancora qualcosa di lui?” le rispose con voce piatta (e molto teatrale).
Giovanna era una di quelle donne che vogliono avere l’ultima parola su tutto ed esigono la ragione su ogni questione, soprattutto quando non ne hanno affatto. Se disgraziatamente ti mettevi contro di lei avevi la quasi certezza di uscirne sottile come una frittella e con l’autostima di un ranocchio in una pozzanghera melmosa. Il “quasi” era esclusivamente ad uso e consumo di Matteo, perché quando i litigi erano fra lei ed il marito Giorgio, allora il vincitore era scontato.
“Che vuoi dire?” chiese Giovanna: Il tono era quello della guerra.
“Quello che hai capito. Lo vedo bene come lo tratti.”
“Tuo padre fa sempre il contrario di quello che gli dico, non è capace di fare una e dico una cosa fatta bene.”
“E tu non dirgli più nulla, cavolo! Lo hai rimbambito: non fare quello! Non fare questo! Fai solo discorsi cretini! Oh, ma chi credi di essere?”
“Io non gli ho mai detto certe cose!” negò Giovanna
“Guarda che ci vivo qui, non è che qualcuno me le racconta. Non hai nemmeno la franchezza di ammettere cosa sei diventata in questi anni.”
Sua madre cercò di ribattere ma il figlio fu più veloce di lei.
“Un’isterica che pretende di comandare tutti, fossi stato papà avrei già divorziato da non sai quanti anni!”
Questa volta la donna accusò il colpo, lasciò perdere la balaustra e si diresse in cucina; per la prima volta Matteo la vide abbandonare il campo di battaglia.
“E ti dirò di più” continuò frapponendosi fra lei e la porta del piccolo bagno che aveva voluto rifare per poi lamentarsi che non serviva, “per tutti questi anni hai cercato di fare la stessa cosa con me!”
“Con te?” chiese sbigottita sua mamma.
“Si, con me! Sono costretto a raccontarti cazzate ogni volta che esco altrimenti non fai altro che rompere perché vado troppo lontano o perché torno tardi o per checazzoneso!”
“Ma io lo dico perché sono..” provò a replicare Giovanna.
“E nel farlo sei anche subdola: non farmi preoccupare mi raccomando” adesso Matteo imitava la madre con una voce stridula che francamente non aveva, “perché non stai in casa che di preoccupazioni ne ho fin troppe! La butti sulla compassione verso la mamma”
Adesso Giovanna tratteneva a stento le lacrime.
“Non è vero! Si, qualche volta mi preoccupo un po’ troppo ma lo faccio per te per..”
“Per me?” sbottò Matteo con gli occhi spalancati dalla sorpresa e l’indice piantato nel suo petto, “ lo fai per TE! Lo fai perché vuoi sempre il controllo di tutti fregandotene di quello che vogliono gli altri. Ti ricordi quando andai a Berlino?”
“Adesso cosa centra?”
“Due giorni prima di partire non volevo più andare. Mi avevi talmente ricoperto di paure che ero convinto che quella città aspettava solo me per rapinarmi, stuprarmi o farmi a pezzi! Lo sai cosa mi ha chiesto il dottor Miriani l’ultima volta?” le chiese.
Giovanna scosse la testa.
“Di raccontare tutto quello che ho fatto nella vita fino ad ora. E lo sai quanto ci ho messo per raccontare la mia vita? 53 schifosissimi minuti!”
“E’ colpa mia anche questo?”
“E’ ANCHE colpa tua: mi hai sempre detto cosa NON fare e mai cosa posso fare”
“Perché devi trattarmi così?” urlò di getto Giovanna in lacrime, “se ho sbagliato è solo perché mi preoccupavo per te. Sono tua madre, come puoi pretendere che non lo faccia?”
“Te vai oltre le preoccupazioni. Poi, che cavolo di preoccupazioni hai? Te ne accorgi di quello che succede nel mondo o hai davvero l’arroganza di credere che sei la più sfortunata del pianeta?”
“Dopo tutto quello che abbiamo passato dici così?”
“Appunto, ABBIAMO, io e papà compresi, non solo te.”
Lei provò a rispondere che se avesse avuto i suoi di anni invece che quei pesanti 68, le cose sarebbero state diverse anche per lei.
“Non è questo il punto. Il punto è che il tuo è terrorismo psicologico!”
“Oh senti” il tono di Giovanna aveva ripreso ad aumentare, “non ti permetto di parlarmi così.”
“Fai come cazzo ti pare, d’ora in poi per quanto mi riguarda le cose cambiano” aggiunse Matteo ponendo fine alla discussione.
***
E di fatto cambiarono.
Era passata circa una settimana quando rientranto da lavoro, Matteo trovò suo padre in lacrime seduto sulla poltrona di sala.
“Babbo, che c’è? Stai bene?”
Giorgio riuscì solo a scuotere la testa e a portarsi le mani al viso crollando in una nuova crisi di pianto.
“Dimmi qualcosa Cristo Santo, che cazzo è successo?” continuò Matteo
“Tua mamma..”
“Mamma cosa?”
“… se ne è andata.”
Matteo si portò le mani alla bocca in un gesto disperato, gli occhi talmente spalancati dalla paura e fissi sul padre da rischiare di farli cadere.
“Non.. Oddio.. mamma è morta” disse prima di correre in cucina a vomitare.
Nella concitazione del momento proprio non sentì Giorgio cercare di dirgli che la madre non era morta: lo aveva lasciato dopo 40 anni di matrimonio.
***
“Come ti ha lasciato?”
Matteo e il padre erano seduti sul divano tentando di dare un senso in tutta quella confusione (suo padre alternava momenti di calma a momenti di pianto isterico).
“Poco dopo che te ne sei andato stamani.”
“Così dal nulla?”
“Mi sono svegliato alla solita ora e..” si interruppe per soffiarsi il naso, “ e quando sono sceso l’ho trovata seduta al tavolo di cucina con due valige pronte vicino alla porta.”
“E cosa ti ha detto?”
“Solo che tutti questi anni sono stati un lungo sbaglio ignorato.”
“E basta?”
“No, ha detto che gli hai fatto un gran male. Poi è arrivato il taxi e se l’è portata via” riuscì a dire Giorgio prima di scoppiare di nuovo a piangere. Quando si calmò un poco aggiunse disperato:
“Cos’hai fatto Matteo? Cosa diavolo hai fatto?”.
***
Giovanna aveva raccolto tutte le sue cose in un paio di valigie e lasciato il cellulare e il tablet che Matteo le aveva regalato nel tentativo (vano) di modernizzarla un po’, sul tavolo di cucina proprio per comunicare meglio ciò che nell’immediato futuro sarebbe apparso ancora più chiaro: non cercatemi.
Quando Matteo si rivolse alla polizia dopo che fu ormai chiaro che quella della madre non era solo una reazione esagerata certo, ma passeggera, fu con non poca sorpresa che scoprì che lo stavano aspettando.
Fu il vice questore Leone (anche lui vittima di abbandono del talamo nuziale) a comunicargli che la madre era passata giorni prima per lasciare un foglio redatto e firmato davanti a lui stesso in cui affermava che l’allontanamento dalla famiglia era volontario e che la decisione era stata presa nel pieno delle sue facoltà mentali.
“Quindi figliolo, non c’è nulla che possa fare” disse il vice a Matteo che sedeva di fronte a lui in una sedia anonima e fredda.
***
Passarono mesi prima che Matteo decidesse di tornare a parlare con un dottore. Secondo Andrea la soluzione ai suoi problemi era ancora una sola: FOTTERE, ma per sua stessa ammissione lui non era un tipo molto sveglio.
Che fottere non fosse la soluzione lo capiva bene Matteo ma tornare dal dottor Miriani dopo quello che aveva scatenato con la sua domanda del cazzo, era fuori discussione. Una collega gli parlò di un certo dottor Palandri che decise di chiamare solo quando la sua ragazza, meno sensibile di quanto avesse immaginato, lo lasciò con la stessa rapidità della madre.
Gli disse che era cambiato.
Lui provò a farle notare che con sua mamma sparita e il padre in un grave stato depressivo, un cambiamento ci poteva stare, ma lei disse che quello non c’entrava, che lui era cambiato ad un livello superiore (???). Questo fu ciò che disse ma quello che NON disse fu il nome dell’altro uomo.
Il dottor Palandri aveva una voce profonda, a tratti graffiante da cantante country. Parlarono per un pò, al medico piaceva avere un quadro preliminare del paziente prima di fissare un appuntamento. E poi quel Matteo Federici sembrava un ragazzo gentile.
Fu anche per questo che rimase molto sorpreso quando improvvisamente, il ragazzo mandò a quel paese lui e tutta la categoria medica per poi sbattergli il telefono in faccia.
In fondo il dottor Palandri gli aveva solo chiesto di raccontargli la sua vita.

 

Raffaele Sesti

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11 commenti »

  1. Caro Raffaele
    Ho letto di getto il tuo racconto, pensando via via a situazioni simili familiari e non, desiderosa di arrivare al finale. In effetti capisco il tuo protagonista, ma purtroppo, in alcuni casi, la psicologia/psichiatria é necessaria o semplicemente opportuna. Linguaggio forte ma efficace e d’altronde contemporaneo. Bravo!
    Lucia

  2. Ciao Raffaele, sembra di vedere e sentire i tuoi personaggi, li hai tratteggiati in modo molto chiaro e convincente, anche i dialoghi sono credibili. Racconti con maestria della sottile ipocrisia di chi controlla gli altri con la scusa di proteggerli, ma anche di quanto possano far male le parole… Bel racconto, bravo! Paola

  3. 53 minuti regala alcuni minuti di godimento puro. Bello il ritmo dei dialoghi, realistico il loro tono, efficace la resa della psicologia dei singoli personaggi e del clima di quella casa, di quelle vite. Un racconto che ha una marcia in più. Bravo !

  4. Una semplice domanda all’inizio del racconto che si ripresenta alla fine. Come se il ragazzo avesse finalmente chiuso il cerchio, un cerchio praticamente vuoto, contenente solo 53 minuti. Finalmente Matteo lo riempirà, ma a modo suo, ora che ha analizzato l’intera sua vita e non ha più bisogno di uno strizzacervelli.
    Molto molto bravo Raffaele, sono d’accordissimo su tutto con Paola e Ugo.

  5. “Quanto è durata la mia vita dottore? chiese Matteo al dottor Miriani.“53 minuti” rispose il medico posando il blocco degli appunti sull’elegante scrivania” Quanti di noi dopo aver letto “53 MINUTI” inizieranno a cronometrare il racconto della propria vita? Un bel racconto che ci induce a riflettere sul valore da attribuire al tempo, non solo nel “fare qualcosa di significativo” ma anche nell’essere sensibili al mondo umano che ci circonda. Bella la figura della madre, la prima a prendere coscienza del “nido è vuoto”, la prima a capire che deve aprire le sue braccia al mondo per tornare a vivere.

  6. Costruzione circolare, buon ritmo, ma secondo me, sono i dialoghi il suo punto di forza. Reali e incalzanti, soprattutto la litigata madre figlio. Bel racconto.

  7. Raffaele,

    ma lo sai che dopo averti letto ho provato a supporre quanto tempo mi servirebbe per raccontare la mia vita?

    Evito di svelarti il risultato :-).

    Al di là di questo, il racconto frulla veloce ed accalappia l’attenzione del lettore con il suo fascino ermetico ed un’invidiabile impostazione dei discorsi diretti.

    Inoltre, il tuo lavoro contiene, a mio avviso, una caratteristica che rende “speciale” un racconto breve: prendere le mosse da un fatto (apparentemente) insignificante per poi svilupparlo fino a renderlo fattore condizionante dei destini dei protagonisti e degli altri personaggi che gravitano attorno a loro.

    Riuscire a rendere una cosa simile è una capacità non da tutti.

    Bravissimo.

  8. Bravo, bravissimo Raffaele! Sono letteralmente sprofondata nel ritmo del racconto, costruito perfettamente e narrato con eccezionale vivacità.
    Bella l’idea di una maturazione improvvisa di Matteo, che in un solo colpo comprende l’essenza del suo rapporto con la madre e si fa carico di azioni che, forse per la prima volta nella sua “vuota” vita, implicheranno conseguenze importanti.
    Una bella lezione su quanto possano essere ambivalenti, e ambigui, gli effetti delle decisioni subitanee e sprovvedute.
    Complimenti davvero!

  9. Bel racconto, che si fa leggere volentieri e sa scatenare emozioni e pensieri. Complimenti!

  10. Arrivo sicuramente tardi… Un gran bel racconto così attuale nello stile oltre che nei contenuti e nelle situazioni , che farebbe leggere anche chi non legge altro che “La gazzetta dello sport”.

  11. Io invece che tardi , come Anna, arrivo tardissimo…be’ ,fifty three non è poi così male come tempo.e poi il tempo è relativo , è quel che ci mettiamo nel ns tempo che gli dà importanza , un secondo magari da’ senso alla vita più di quasi tutta la vita,.. Un bel ritratto di famiglia ‘scoppiata’ quel che ci fornisci, anche con umorismo nero , direi.Io comunque credo alla analisi interiore, ed il tuo protagonista, secondo me ,non vuole crescere, infatti non sa manco ‘fottere’, come dici tu.Che vita misera,gli aspetta! P.s. Son qui a chiedermi quanto potrebbe durare l’Histoire de ma vie….mi sa tre. Senza il cinquanta.

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