Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “Una foto di Dagmar Hochová” di Crescenzo Zito

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Le Erinni sono dentro di me, arrabbiate e mai estranee a questo cuore che dall’infanzia scandisce solo dolore. Distinti spasmi si nutrono del cervello e divorano la mia lucidità che si annulla nella cefalea a grappolo.
Quest’ultima espressione scaraventa la mia testa di ca…ravaggio nel celeberrimo cesto, confusa ai frutti superbamente realistici.
L’emicrania, di cui soffro, afferra la scatola cranica come una tagliola e mi stringe la tempia fino a farla infuriare.
Io vorrei solo dormire invece sono costretto a guardare le nubi che si lasciano penetrare dall’aereo in cui mi ritrovo seduto.
Giungo, così com’ero partito, dolorante.
Nonostante ciò ammiro il cielo ceco, di un celeste stemperato di nuvoloni bianchi, mentre la periferia della città con le poche case sparse, anche queste a grappolo, mi ricordano le masserie della mia infanzia.
Qui, come allora, il tempo ha scolorito i colori. La crescita non é mai gioia, al limite, torpore primaverile, come la mia temperatura incorporea e ripenso a Napoli come un continuo sudario.
Lascio l’aeroporto in fretta, non parlo l’inglese, figurarsi il ceco, ho sul mio taccuino tutti i dettagli per raggiungere l’hotel dove provvisoriamente risiede Salvatore, un compagno di scuola, amico da sempre.
Leggo: “Lasciare perdere i taxi, prendere mini bus da sette otto persone, costano meno, ma fai attenzione al bagaglio ad ogni fermata, che fregano le valigie.”
Sono stato lasciato fuori dal Residence dal mini bus preso all’aeroporto, l’amico ha lasciato il mio nome alla reception, così sono salito nella stanza.
Ho lasciato la sacca in un angolo ed ho aperto lo zaino per prendere una mela, una bottiglia d’acqua e la personale farmacia ambulante. Tra le decine di scatole e tubetti ho tirato l’antidolorifico del caso che ho ingurgitato dopo aver masticato, in fretta e malamente, il frutto.
Mi sono disteso sperando, in questo modo, di tutelare la mucosa delle pareti dello stomaco, già irritate dai molteplici ripensamenti.
Ho chiuso gli occhi sul divano rosso, il cui colore si è fuso alla stanchezza. Un dormiveglia, quasi un’agitazione, interrotto da intime perturbazioni.
Sasà, dal telefono, mi scuote con saluti calorosi, una domanda e riabbasso, con le palpebre, la cornetta.
Al risveglio fisso un angolo di Praga attraverso due diaframmi: quello di sempre, le mie lenti da miope e quello della finestra a cui sono appoggiato.
Con disagio e ancora stordito esco per appropriarmi di vie mai calpestate. Le suole provano percorsi alternandosi alla ricerca di viottoli conosciuti soltanto attraverso la letteratura e, ancora una volta, verifico che la realtà ha troppi confini per me che vado oltre.
Cammino per strade invase da turisti. Una umanità decisa ad apprezzare un qualcosa di estremamente vago; qualcuno ricerca la storia che qui, come altrove, è soltanto stortura degli animi umani.
Questa città appare ai miei occhi come una seconda Venezia. Poco maleodorante, ma altrettanto asfissiante, e decisamente più colorata, anzi troppo pulita e ristrutturata.
Sui marciapiedi si inseguono file di hotel, alberghi, ristoranti, caffè e Boemia Glass: ricordini in finta porcellana, un vero orrore, per lo più italiano.
Amo troppo K e la sua città alfabetica per innamorarmi di ciò che resta della realtà che l’ha partorito.
Da lontano l’ingresso de il castello è spalancato, come cosce di prostitute pronte per essere penetrate da qualsivoglia straniero, purché generoso.
L’altura sovrasta tutti gli edifici e, tra le mura, s’intravede il paesaggio immutato nonostante l’inquinamento che respiro.
Nell’ex borgo cammino tra microscopiche botteghe d’artigiani. Attratto da una foto esposta su un cavalletto entro in un misto di studio fotografico e di galleria d’arte. All’interno, su pareti basse, diverse generazioni in bianco e nero.
Opere di Dagmar Hochová, fotografa con gli anni di mia madre e, come questa, a me prima sconosciuta.
Un bianco e nero bellissimo e spensierato nei gruppi di bambini e ragazzine. Sui fogli di carta chimica decine di corpi sorridenti che giocano o si confrontano.
Consanguinei si susseguono nelle diverse epoche, come se un incantesimo inaspettato avesse bloccati tutti agli stessi anni, quella della fanciullezza. Padri, figlie, zii, nipoti, madri, nonni e giovani spose; tutti coetanei ed immobili in questa età fugace.
In questo limitato abitacolo sono circondato dallo spazio infinito dell’adolescenza, che nella mia mente si materializza e si ravviva di colori moderni.
Foto per lo più di gruppi, tre, quattro fanciulli di un istante subito passato.
Mi attrae la foto di una bambina che corre via dal mondo degli adulti, qui rappresentati da statici ma raccapriccianti manichini: un mondo ideale.
Più di tre generazioni congelate anche negli abiti. La moda, come la speranza, è stata annientata dal comunismo, che nel suo essere reale ha trovato la propria negazione. Ora, l’eterna condanna del capitalismo.
Implacabile, semplice e magica fotografia che annulla la sofferenza, il peso, gli anni e ci restituisce respiro bloccando la temporanea bellezza.
A terra, nell’angolo accanto alla finestra, scorgo una foto illeggibile per la quantità di polvere depositata. L’afferro e la rigiro tra le mani, poi con un soffio d’alito le ridò vita e, attraverso il vetro scheggiato, l’ammiro entusiasta e, contemporaneamente rammaricato di non averla scattata io. Questa foto mi appartiene e me ne approprio senza indugi, né ripensamenti economici.
Sono miei questi tre ragazzini appoggiati con la schiena ad un tavolo costruito con assi.
La scena è vista di lato e non frontalmente, la fotografa ed io che la fisso, siamo sulla stessa parallela, al loro livello emotivo.
Fisso per primo l’ultimo del gruppo, il bambino che si sporge verso l’obbiettivo mostrando tra i denti serrati un qualcosa che suggerisce, per la forma, un biberon da neonato, ma forse è solo un tappo di una bibita.
Il piede sinistro del ragazzino al centro è poggiato sulla gamba destra; ha alzato il braccio nel momento in cui lo scatto fotografico l’ha immortalato. Per questo la sua mano mossa ci svela la presenza di qualcuno o qualcosa oltre la cornice.
Il terzo, ovvero quello in primo piano, è tutto preso dal suo stesso corpo. Pensoso, ha il capo chino e fissa il torace gonfio, sembra proprio che stia numerando le sue costole ma, forse, gioca a trattenere il respiro…
…allo stesso modo, da bambino, per attutire i suoi colpi io andavo in apnea, ma non lacrimavo per dimostrare a me stesso che, nonostante le attenzioni brutali di mio padre, sarei diventato un maschio adulto. Dolorante, mi ripetevo mentalmente che non era colpa mia…
Il fanciullo poggia tutto il peso sulla mano destra, che è stretta all’angolo del ripiano su cui scarica tutta la gravità. Questo innaturale equilibrio comunica comunque leggerezza nel piede alzato e poggiato sulla gamba opposta.
I ragazzi adagiati al tavolo calpestano un prato d’erba, intorno, quasi a bloccare lo sguardo sui tre, grandi cespugli nel pieno della fioritura.
Un’atmosfera primaverile ma che suggerisce il bagnato dell’estate.
I tre giovani fauni hanno la pelle e i capelli ancora impregnati; poco lontano esiste un mare o un fiume, al limite uno stagno, senz’altro una pozza d’acqua gelida.
Da quale acque primordiali sono emersi?
Di certo io, soddisfatto per la foto appena acquistata, sprofondo nel mondo dei turisti per far ritorno all’hotel.
Una città così effimera al sole, di notte diventa un Mr. Hyde architettonico.
Gli insetti alati sono i veri padroni del luogo, s’infilano ovunque e, soprattutto, si ostinano a perseguitarmi.
La loro presenza è la materializzazione della trascorsa violenza che, anche qui, lontano centinaia di chilometri e dopo cinque lustri, ancora mi sodomizza. Ahimè, mi rivedo undicenne immobilizzato dal baco alieno che tesse su di me un lurido bozzolo.
Piango un passato e, per frenare la discesa agl’inferi, il pensiero si bagna in una lirica di Prévert e ritrovo un’eco struggente.
In ogni angolo, per terra e su qualsiasi sporgenza fissa, inusuali ragnatele.
Decine di blatte tra i marciapiedi calpestati dalle scarpe senza tacchi delle giovani prostitute, infreddolite nell’umido notturno, che irrigidisce anche il sesso avvinazzato di giovani mercanti, dal fisico accogliente e non tonificato.
Tutti biondi, anche i castani, a Praga.
Città mercenaria che non ricorda più il colore di K. Come mai la sua casa è sempre chiusa? E dov’è finita la Sua Città?
Negli alari che si scontrano con le mie ciglia socchiuse.
Come un convalescente che evita qualsivoglia forma batterica, io, esule dai luoghi turistici, evito il giorno per vivermi la notte.
Mi sposto con le movenze di un ratto, rasento superfici ed angoli, per non essere scoperto dalle ombre dei giganti di pietra.
All’albeggiare vago, anzi galleggio, come una mina alla ricerca del suo approdo esplosivo.
Le piazze vuote gridano il loro disappunto attraverso le bocche ignobili di ubriachi e sopra me lo sguardo severo e buio delle statue gigantesche.
Cariatidi straniate dal maquillage, Ercoli dai muscoli superbamente scolpiti e fieri della loro minuscola nudità, donne dai risvolti volteggianti e dai seni opulenti mentre i paffuti amorini dal sorriso beffardo e crudele, inquietano la mia anima solitaria.
Ovunque scappi non sarò mai troppo lontano dal senso di colpa di K, nonostante io, da decenni, continuo a ripetermi che non è stata colpa mia.

“Oh comme elle est triste
Triste triste notre enfance
La saison des pluies est finie
La saison des pluies recommence.”
-Prévert-

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26 commenti »

  1. Spaparanzata al fresco inizio a leggere il tuo racconto e, già dalle prime righe mi vedo comparire quelle furie delle Erinni e il Caravaggio…e mi dico: ” addio quiete “…e mi metto seduta composta. È un racconto che scivola sotto agli occhi il tuo, Crescenzo ( o Zito? 🙂 ), ma non tra i più ” facili ” di questa edizione. Devo dire, però, che è valsa la pena sollevarmi dal torpore estivo per leggerlo: è struggente nel contenuto e delicato nella forma. CCemigliori tra quelli letti sino ad ora. Complinenti e in bocca

  2. Grazie per la lettura e per le belle parole.
    Il racconto, come anche l’altro dal titolo “una breve lettera” fanno parte della stessa raccolta dal titolo: La ferita.
    Per me è un romanzo fatto, non di capitoli, ma di racconti; nel senso che ognuno di questi è completo e ha il giusto respiro per vivere da solo.
    In ogni storia ritroviamo lo stesso protagonista che racconta in prima persona, incontri o fa considerazioni sul suo vivere. Purtroppo tutto ciò che vive, è penalizzato dalla violenza subita da piccolo.
    Il mio protagonista, solo nell’ultimo incontro riuscirà a liberarsi dell’ingombro del passato che aveva condizionato il suo diventare adulto.
    Da quell’incontro in poi vivrà più sereno e consapevole.
    Della violenza resterà solo il ricordo della sofferenza provata, come una ferita ricucita che non sanguinerà più, anche se resterà il segno della cicatrizzazione.
    Grazie ancora.
    P.S.
    Difficile lettura in che senso?

  3. In bocca al lupo, naturalmente 😉

  4. Chi non non conosce o non ha mai conosciuto il senso di colpa di K? Se esiste, beato lui!
    Bellissima la descrizione della foto, l’ho vista davanti ai miei occhi, nitida e narrante una realtà precisa, puntuale.
    Ho apprezzato molto in questo racconto la narrazione essenziale, che non si perde in inutili parole, ma che va dritta in un unico senso, trascinando il lettore dentro la pagina.
    Bravo.

  5. Già Antonella, chi non conosce sensi di colpa?

    Il racconto, come anche l’altro dal titolo “una breve lettera” fanno parte della stessa raccolta dal titolo: La ferita.
    Per me è un romanzo fatto, non di capitoli, ma di racconti; nel senso che ognuno di questi è completo e ha il giusto respiro per vivere da solo.
    In ogni storia ritroviamo lo stesso protagonista che racconta in prima persona, incontri o fa considerazioni sul suo vivere. Purtroppo tutto ciò che vive, è penalizzato dalla violenza subita da piccolo.
    Il mio protagonista, solo nell’ultimo incontro riuscirà a liberarsi dell’ingombro del passato che aveva condizionato il suo diventare adulto.
    Da quell’incontro in poi vivrà più sereno e consapevole.
    Della violenza resterà solo il ricordo della sofferenza provata, come una ferita ricucita che non sanguinerà più, anche se resterà il segno della cicatrice.

  6. Sono d’accordo con Gloria, trovo questo racconto molto intenso ma non facile. Anch’io sono scivolata insieme al protagonista nel dolore del ricordo, attraverso una magnifica evocazione di Praga e del suo celebre autore. Le descrizioni opulente, barocche, suggestive scavano in profondità anche nell’animo del lettore.

  7. Grazie per la vostra lettura così accurata e per le belle parole.
    Il racconto, come anche l’altro dal titolo “una breve lettera” fanno parte della stessa raccolta dal titolo: La ferita.
    Per me è un romanzo fatto, non di capitoli, ma di racconti; nel senso che ognuno di questi è completo e ha il giusto respiro per vivere da solo.
    In ogni storia ritroviamo lo stesso protagonista che racconta in prima persona, incontri o fa considerazioni sul suo vivere. Purtroppo tutto ciò che vive, è penalizzato dalla violenza subita da piccolo.
    Il mio protagonista, solo nell’ultimo incontro riuscirà a liberarsi dell’ingombro del passato che aveva condizionato il suo diventare adulto.
    Da quell’incontro in poi vivrà più sereno e consapevole.
    Della violenza resterà solo il ricordo della sofferenza provata, come una ferita ricucita che non sanguinerà più, anche se resterà il segno della cicatrizzazione.
    Grazie ancora.
    P.S.
    Non facile in che senso?

  8. Buongiorno Crescenzo Zito, perché ” non facile ” il tuo racconto, mi chiedi? Perché la motivazione dalla qualle scaturisce e si disperde è forte, innanzitutto. Poi, perché leggerlo richiede una certa concentrazione ed un minimo di cultura generale ( che tu dai, generosamente, per scontata ma che non tutti hanno).Tu ci indichi le porte per entrare ma il lettor e deve avere già la chiave dentro la propria testa per poterlo fare. ” E lo costringe ad impegnarsiv un pochettino. Ecco.Questo, però, fa si che tutto diventi più bello e stimolante e prezioso. Il tuo modo di scrivere mi ricorda vagamente quello di Joyce e mi piace moltissimo

  9. È doloroso questo inghiottire, troppo forse,per una sola lettura, lentezza lentezza e il gusto sublime forse sarà nutrimento…o digiuno .
    Bravissimo!

  10. Viaggiare non cancella il male di vivere, ma ne svela risvolti particolari. Ho provato la stessa inquietudine del protagonista, dunque complimenti.

  11. Grazie per le tue parole.

  12. Sono contento che sia riuscito a farti arrivare il sentimento del protagonista. Grazie

  13. Un bel racconto, scritto col mal di testa, mi verrebbe da dire dopo aver apprezzato i cambi di registro, l’alternanza delle descrizioni alle sensazioni, delle allusioni alle parti più esplicite, della dimensione altra alla vita quotidiana. Mi è piaciuto tantissimo, il viaggio per cercare qualcosa che non si lascia, che non ti lascia, i luoghi e le vite che si incrociano e si parlano attraverso oggetti…ce n’è per tutti i gusti. Senza nemmeno fare paralleli, questo senso di colpa che è dominante nonostante sembri in sottofondo, è descritto (forse termine non troppo appropriato ma passamelo) in maniera lucida e quasi scusandosene. Nella mia personale top 25

  14. Sono stata subito soggiogata dal ritmo incalzante, una specie di incantazione ipnotica. Stile molto personale. Uno dei più bei racconti letti. Complimenti.

  15. Crescenzo Zito, ho dimenticato di dirti nel mio commento che mi piace molto l’idea della struttura del tuo romanzo La ferita. Molto.

  16. Questo stile diretto e al tempo stesso prezioso e non lineare ha certamente fascino!

  17. Bello. Dolente e introverso, malgrado (o forse proprio per questo) i riferimenti concreti ai luoghi. In scena, la difficile dialettica tra le vite letterarie e quella che individualmente attraversiamo. Alcuni lampi davvero preziosi come “Padri, figlie, zii, nipoti, madri, nonni e giovani spose; tutti coetanei ed immobili in questa età fugace.”.
    Complimenti. Una sola stonatura, ma evidentemente ascrivibile a gusto personale: “qualsivoglia”, proprio non mi piace, soprattutto in un contesto stilistico accuratamente sorvegliato.

  18. bell ritratto di un epoca e di una tragedia, complimenti!

  19. Crescenzo,per il tuo racconto ho provato un misto di curiosità, attrazione, forse a tratti disorientamento. Quest’ultimo ovviamente non è una nota di demerito, e penso che fosse anzi solidale all’inquietudine in cui la voce narrante galleggia istante dopo istante.
    Ad ogni modo, l’ho trovato interessante e ben scritto. La terra straniera, la gioia dei turisti che accentua la solitudine dolorosa del protagonista e lo sprofonda ancora di più nei fantasmi del suo passato, è rappresentata con sapienza e vividezza d’immagine. Hai offerto il moderno ritratto non solo di una città, ma di un “luogo dell’anima” che fa risuonare, ed entra in relazione, con quello dell’amato K.
    Non so se sia per mia suggestione (per aver letto gli altri commenti), ma mi pare che si capisca l’appartenenza del racconto a un disegno più ampio. Sarei curiosa di leggere anche gli altri.

    Tra parentesi, grazie anche per avermi fatto conoscere Dagmar Hochová, fotografa decisamente affascinante! La descrizione che ne fai le rende assolutamente giustizia 🙂

    Complimenti dunque, e in bocca al lupo!

  20. Una poesia in prosa! Il tuo stile è meraviglioso, fatto di parole evocative e di immagini di inchiostro. Ho visto la foto nitidamente nella testa, ho camminato per la città con il tuo protagonista e ho sentito il suo senso di colpa a tratti togliermi il respiro. Complimenti! E grazie per queste straordinarie sensazioni.

  21. Mi scuso per coloro che non ho ancora ringraziato, ma soltanto per mancanza di tempo, in verità sono stato davvero felice nel leggere i vostri commenti.
    Felice perché io scrivo per regalare emozioni e le vostre righe mi confermano che sono riuscito a fare breccia nel vostro animo.
    Un grazie a voi tutti

  22. Ho letto un’altra volta il tuo racconto Crescenzo, perché sono rimasta davvero perplessa nel non vederlo tra i vincitori. Rileggendolo l’ho apprezzato forse anche di più perché ne ho assaporato meglio alcuni dettagli che, evidentemente, avevano bisogno di una seconda lettura. Capisco che il contenuto sia particolarmente forte e in contrasto con le scelte della giuria che hanno preferito generi più leggeri, credo però che il tuo racconto sia davvero notevole. Non posso fare a meno di ribadire che la descrizione di Praga, città letteraria e città turistica al contempo, sia bellissima.

  23. Crescenzo cercherò il tuo nome in ogni libreria nella quale entrerò. Adessp che ti ho scopertp non ti mollo 😉

  24. Crescenzo cercherò il tuo nome in ogni libreria nella quale entrerò. Adesso che ti ho scopertp non ti mollo 😉

  25. Crescenzo,
    entrambi i tuoi racconti sono straordinari, la tua bravura è per me difficile da descrivere, sono rimasto stupito che questo non sia stato compreso completamente.
    ti auguro tutto il successo che meriti che è tanto tanto tanto.

  26. Ringrazio tutti per le belle parole in merito ai miei racconti. A giochi finiti ringrazio tutti voi con un arrivederci…

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