Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2023 “Un’altra tempesta” di Paola Viezzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

… e questa è un’altra tempesta, annuncia la voce alla radio mentre la moka borbotta che il caffè è pronto. Me ne verso una tazza e accendo la prima sigaretta del giorno sulle note iniziali di Stormy Weather.

Don’t know why there’s no sun up in the sky…

Riconosco la tua voce, Etta James, sei la mia interprete preferita. Che ti posso dire: qui, a Trieste, da giorni la bora scura si è portata via il sole e la mia voglia di fare. Potremmo anche parlare del cambiamento climatico, però non a quest’ora.

Mi avvicino alla finestra e osservo il giardino lucido dei colori autunnali sotto la pioggia battente. Dovrei raccogliere le foglie cadute, potare i rami del rincospermo e del melo, seminare di nuovo l’erba, solo che non trovo mai il tempo e i vicini me lo rimproverano. Gli rovino la visuale e il buonumore, dicono. Si lamentano anche della musica troppo alta, degli infissi dalla vernice scrostata, del gatto che usa la loro aiuola come gabinetto… certo che anche la misantropia ha i suoi perché.

Incontro il mio viso sul pannello di vetro: piange gocce di pioggia a dirotto, le lacrime che non ho mai avuto. Spero solo che quei cerchi bui intorno agli occhi e le pieghe divergenti ai lati della bocca siano ombre di un riflesso, non una realtà.

Since my man and I ain’t together, keeps raining all of the time. 

Reiner adora i cieli grigi, uno scenario ideale per la sua testa fra le nuvole. Lui dice che gli ricordano la Germania materna dove vorrebbe tornare a vivere. Solo sei mesi fa passeggiavamo per le vie di Monaco e lui, zuppo di pioggia e di birra, cantava felice e stonato come una campana fessa That’s ammore. E io ci credevo.

Oh, yeah, life is bare.

No, Etta, la vita non è nuda: si veste e si traveste continuamente, l’importante è diventarne i sarti. Un anno fa frequentavo un’astrologa, Alma, una professionista seria che con le sue previsioni mi aiutava ad affrontare ogni novità. Reiner il cinico, però, mi prendeva in giro anche davanti agli altri, così ho smesso di consultarla. Lui non crede che stelle, pianeti e uomini facciano parte dello stesso complotto chiamato universo. Non lo capirà mai.

I just can’t get my poor self together, I’m weary all of the time.

So cosa vuoi dire, Etta: anch’io ho avuto periodi di stanchezza esasperante, quando frequentavo la facoltà di scienze politiche e uscivo con amici che parlavano solo di viaggi e sesso che non potevano permettersi. Una sera è arrivato Marco al nostro tavolo e ho conosciuto la libertà di essere ciò che ero. Dopo di lui ci sono stati Flavio, Denis, Alan,… non ricordo più la sequenza fino a Reiner, ma sono stati quindici anni a modo mio.

If he stays away, old rocking chair’s gonna get me.

Il tempo ci frolla, è vero. Io, però, non resterò a marcire aspettando una telefonata. 

Getto quel che resta del mio caffè nel lavello, fa proprio schifo. Reiner sa scegliere, con la sua spesa di nicchia; io vado al supermercato più vicino e riempio il cesto con l’eco della pubblicità nell’orecchio. Lui cucina sano e saporito con estro sicuro; io, allo stesso modo, scelgo il ristorante e i piatti pronti. In un solo punto convergiamo sempre: una buona arabica al mattino è oro in bocca.

Sarà meglio che mi spicci a trovare quell’oro al bar, sono già le otto e un quarto. L’agenzia apre alle nove e per arrivarci a piedi ci vogliono venti minuti. Devo anche fare una tappa in tabacchino e comprarmi le sigarette. Un gesto senza più sensi di colpa, ora che nessuno mi accusa di puzzare come la tabacchiera di Voltaire.

Ho provato a smettere diverse volte ma al terzo giorno crollavo, fumavo di nascosto e lui mi scopriva. I suoi silenzi accusatori, la mia rassegnazione infastidita. Fino a quando gli ho detto: io sono questo, prendere o lasciare. Sto ancora aspettando la risposta.

Avrò fatto bene?

Oh I can’t go on, can’t go on, can’t go on, everything I have is gone.

Infilo le scarpe, il piumino e le cuffie bluetooth per godermi gli ultimi istanti della canzone. Cerco l’ombrello in giro per la casa: sparisce ogni volta che ne ho bisogno, come Reiner. Non a caso lo ha comprato lui. Gli avevo detto che era un regalo di cattivo augurio.

Eccolo lì, accanto al radiatore del bagno, più brutto che mai col suo pied-de-poule bianco e beige. Prima o poi lo dimentico da qualche parte, promesso.

Mi lascio tentare dalla ringhiera di legno verniciato e scivolo fino al piano terra, giusto qualche scalino. Nessuno mi dice che sono infantile, che i quaranta sono in agguato insieme al cancro ai polmoni, che devo tenere i piedi a terra e i bronchi ventilati. Apro la porta d’ingresso e un refolo mi colpisce con uno schiaffo bagnato. Potrei fare ancora dietrofront e mettermi in malattia per un giorno, ma non è da me. 

 Cerco di aprire l’ombrello mentre calpesto lo sgargiante tappeto autunnale del giardino, fino alle scale che scendono in via Crispi. Niente da fare, oggi è bloccato. 

Stormy stormy, stormy weather…

Ciao Etta, la tua canzone si dissolve nei rumori della città mentre io affronto gli elementi. Una passante minuta mi viene in soccorso invitandomi sotto il suo spazio fiorito. So di piacere alle donne perché sono alto, atletico e ho i lineamenti decisi di Rade Šerbedžija, un divo del cinema balcanico il cui viso, in Italia, è più noto del nome.

Passiamo di fronte al teatro Rossetti e percorriamo viale XX settembre sotto una pioggia di foglie e acqua. Malgrado il dolore al collo, resto curvo sotto l’ombrello che la mia benefattrice regge a braccio teso, solida e certa come la statua della libertà. Si chiama Anna, è polacca e mi dice, con una spruzzata di orgoglio, che fa la panettiera in Cavana; ama l’alta moda italiana e le dispiace di non potersela permettere. Le rispondo che lei porta il vestito più bello, quello della generosità.

Se solo Reiner potesse vedere quanto l’ho fatta contenta… lui che mi critica per il mio repertorio di banalità sociali senza capire come siano confortanti per i cuori semplici, che sono tanti.

Arrivati alla fontana di Giano, in fondo al viale, saluto Anna frettolosamente per cercare riparo sotto il portico. Lei mi insegue e mi tira leggermente per la manica. Con una modesta luce di speranza nei grandi occhi di un celeste fuori posto in una giornata così sorcina, mi chiede se mi serve una donna delle pulizie. Sorrido, resto possibilista e accetto il suo numero di cellulare scritto sul retro di uno scontrino che di sicuro perderò. 

Nel sottoportico rimbomba la voce della città: accelerazioni e frenate di veicoli nervosi per il tempo e il traffico, echi vicini e lontani di sirene della polizia e di un’ambulanza, scalpiccio umido accompagnato da corti intrecci di parole in italiano, sloveno, greco, albanese, che gli urli dei clacson mettono a tacere. Lo percorro fino in fondo e mi fermo al semaforo, in attesa del verde pedonale. Faccio un ultimo tentativo inutile di aprire l’ombrello. Provo a sorridere alla ricerca di un altro passaggio ma incontro solo sguardi astratti. Mi rassegno all’acqua per non disturbare le loro solitudini.

Finalmente il via. Scendo dal marciapiede e vedo che dall’altra parte di via Carducci c’è un ombrello uguale a quello appeso inutilmente al mio braccio. Sta proteggendo due persone.

Chi è? Un ospite occasionale per salvare la piega dei capelli?

No. Conosco quello sguardo.

Mi fermo in mezzo alle strisce pedonali, di fronte a Reiner, bloccandogli il passo. Cade la pioggia sul loro ombrello, sul mio corpo, smorzando i loro sguardi accesi di allegria ma non la fiamma che mi brucia nello stomaco.

Devo fare qualcosa.

Prendo il mio ombrello e lo aggancio al braccio del suo nuovo amico. Finalmente mi sono liberato di quell’oggetto. Ora è meglio che non li guardi in faccia e che mi sbrighi a raggiungere l’altro marciapiede.

Ce l’ho fatta. Ora mi dirigo verso piazza San Giovanni. Le mie gambe procedono svelte ma io sono ancora fermo su quelle strisce pedonali, con l’ombrello in mano. Lo vorrei indietro, sì, ma ormai è tardi.

Chissà se l’altro saprà farlo funzionare.

Gocce di pioggia e lacrime si mescolano sul mio viso senza più identità. Vorrei sciogliermi, farmi acqua e scivolare nella canaletta fino a scolare sotto terra. In questo momento il mio posto è lì.

Entro nel primo bar che incontro e vado diretto al bagno. Mi passo una salvietta sulla faccia e sul collo, mi asciugo un po’ i capelli sotto il getto di aria calda. Entra uno dei baristi: senz’altro un viso simpatico, ma sono rughe quelle ai lati della bocca? No, sono le pieghe profonde di chi affronta la fatica di sorridere alla vita ogni giorno. Vediamo cosa mi raccontano i suoi occhi: sono a mandorla, dorati al centro e grigi all’esterno; soli nella tempesta.

Si presenta come Roberto e dice di avermi visto alla Jotassassina, un locale dove vado spesso ultimamente. Io non me lo ricordo, eppure fingo di riconoscerlo. Non c’è motivo di negargli questa cortesia.

Anche lui è cortese: vuole prestarmi l’ombrello e mi propone un aperitivo serale per restituirglielo.

Accetto e ci guardiamo con un vago sottinteso.

Sarà in arrivo un’altra tempesta?

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14 commenti »

  1. Lettura scorrevole, un racconto che prende fino alla fine. Inizia muovendosi sulle note di una canzone, in un crescendo ricco di particolari ,intenso e profondo.

  2. Bello si sente quasi la musica di sottofondo! Tutto molto vivido. In bocca al lupo

  3. Uno dei più bei racconti che mi sia capitato di leggere in questo concorso. Mi piace soprattutto come affronti il dolore del protagonista, con delicatezza ma anche con un tocco di ironia che non guasta mai. Complimenti.

  4. Grazie Adelaide, Laura e Alberto per le vostre parole gentili e in bocca al lupo anche a voi!

  5. Racconto molto bello, scritto con stile asciutto e coinvolgente dalle prime righe; blues, fumo di sigaretta, malinconia e ironia in una mattina di pioggia a Trieste

  6. Brava, brava,brava! E’ il più bel racconto che ho letto finora. Scorre liscio, quasi velluto e la storia si dipana con semplicità e realismo. Hai saputo creare l’atmosfera giusta utilizzando le frasi della canzone che spezzano il racconto ma contemporaneamente legano tra loro le parti e le riflessioni alleggerendo il dolore. Complimenti davvero.

  7. Grazie per le tue belle parole, Antonella. Una fortuna avere lettori come te!

  8. Bel racconto, intrigante e coinvolgente, come il protagonista!
    Complimenti.

  9. Wow, un racconto davvero molto bello, c’è tanta narrazione, prende, ti coinvolge ed è anche scritto molto bene. Complimenti!

  10. Molto bello, introspettivo e scritto bene, con le giuste pause e delle immagini costruite bene. Conosco Trieste e sono riuscita a vederla. In bocca al lupo!

  11. Bellissimo, scritto davvero bene e denso di sensi e sensazioni. Bravissima, Paola!

  12. Bellissimo racconto, mi è piaciuta l’idea della canzone che accompagna il racconto e la voce della protagonista. Ho sentito anche poesia in questo testo. In bocca al lupo!

  13. Grazie Nicoletta e Manuela!

  14. Grazie Romina e Sonia! Cercherò e leggerò I vostri racconti!

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