Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “Il principe” di Stefano Adduci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

1.

La sigaretta scivolò dalle sue dita come un ricordo ai margini della sua mente.

Tentò di riprenderla ma finì a terra e si spense  come si spensero le sue le emozioni al ricordo del  passato.

Bestemmiò sottovoce e si guardò in giro per vedere se qualcuno lo avesse visto imprecare.

 Nessuno.

 Come al solito. Chiuse gli occhi e aspettò.

Non lo avevano notato. Come sempre.

 Non lo notavano mai  e lui tentava sempre di mantenere il profilo basso, ma non era assolutamente un problema per lui che a essere invisibile era abituato da anni.

La notte era silenziosa e tiepida, pensò.

Ora, fuori da casa, si sentiva finalmente libero.

Controllò ancora che nessuno lo vedesse e sputò sul suo stesso citofono. Raccolse la bottiglia di Nero d’Avola che aveva appoggiato sulla cassetta delle lettere  e si incamminò nel buio.

2.

 ANDREA

Andrea era nato nella Sicilia profonda 65 anni fa.

Iniziò a lavorare a 10 anni, annuendo agli ordini del padrone che gli ordinava di sbrigarsi, sempre.

Ricordò quegli anni.

 Il sudore della fronte  gli appannava la vista e la dignità. Accatastava, accumulava, impilava, rompeva  mattoni su mattoni.

 Il capo era sempre incazzato ai tempi. Lo aveva ancora ben presente, 50 anni dopo.

Non ricordava il suo viso, non ricordava la sua voce. Ricordava solo le piccole bolle di saliva cristallizzate quando lo sgridava, il raggio dei piccoli paracadutisti salivosi era direttamente proporzionale alla rabbia del capo e quando pioveva era meglio stare alla larga.

 Era sempre meglio non rispondere.

Mai.

Ci fu una volta a 12 anni in cui dopo 11 ore di lavoro “u’ padruni” gli chiese di pulire i bagni chimici.

Si impose nel diniego e il risultato fu un paio di ecchimosi sul volto  mentre la sua fisicità impregnava

 jeans da 12 lire. Non disse più nulla.

Fu così che imparò il silenzio.

 Tacere.

Tacere e far finta di nulla.

 Come quella volta in  cui il padrone lo fece quasi affogare nella buca del piscio . Ricordava esattamente la sensazione di mancanza d’aria, i conati di vomito repressi. E, quando era finito tutto, ricordava la vergogna delle lacrime miste al vomito.

Era il suo rigurgito di dignità.

Ingoiò e sopravvisse.

Capì che quello era il suo metodo di sopravvivenza

Finché, infine,  trovo lei.

3.

G.

In un sistema binario lui sarebbe stato lo zero e lei l’uno. Presi separatamente non avevano significato. Ma insieme avevano un orizzonte e quell’orizzonte glielo dava lei. Giovanna.

Era una ragazza atipica per la Sicilia del tempo. Odiava profondamente il modello di femmina contemporanea. Sottomessa e con il solo scopo di accontentare l’UOMO. Lei era DONNA in  tutto e per tutto. Bionda e bella, sensuale e con un fisico da ballerina del Bolshoi. Fragile fuori ma granitica dentro, Giovanna provava poche emozioni e quelle poche che sentiva si potevano elencare semplicemente con:

 Ambizione

 Rivalsa

 Odio.

Se Andrea  avesse mai potuto avere una scelta avrebbe optato per lei. Ma il fato fu capriccioso, e fu lei che prese lui.

 Lei aveva bisogno di lui.

 Giovanna odiava tutto di Castellammare, Catania, Sicilia. La mentalità e i modi di fare, i ruoli erano  definiti come un vestito confezionato su misura.

Dopo il matrimonio lei aveva preso molto peso col passare degli  anni e come il suo corpo anche le sue ambizioni e desideri.

 Le stava stretto il vestitino ora. Coniugò la mentalità del tempo e il suo ego prendendo con sé Andrea.

 Non era bello, non era interessante ma era fedele e volenteroso. Capì in fretta come funzionava il suo giocattolo e, trattandolo male, seppe che lo avrebbe sempre avuto con sé. Un fedele alleato nella sua scalata al mondo che le era sempre stato negato. A lei che sapeva declinare nientemeno che rosa rosae, a lei che aveva fatto le magistrali, a lei che aveva una quarta.

A lei che era “G”.

Il matrimonio non era felice, era tranquillo. I loro litigi erano onde di lago fluttuanti  quando nel resto del modo erano cavalloni.

Si trasferirono al Nord, come tutti in quegli anni.

Andrea lavorava sodo e lei, con scuse assurde, arrotondava in modi che Boccaccio avrebbe inserito nel Decameron.

Doveva pur mantenere in qualche modo la pelliccia di visone.

Comprarono casa e rimase incinta.  Lui sorrise alla notizia, lei si compiacque fosse maschio.

Nacque infine il carnefice: Nicola.

Come lo zar

Il Principe, come la matriarca tendeva a chiamarlo.

Dopo averlo partorito, la regina chiese di essere avvolta nella sua pelliccia di visone.

Gli infermieri glielo portarono con sguardi tra il divertito e l’angosciato.

Fu così che N. venne al mondo e fu così che da quel momento che Andrea ebbe due padroni.

4.

IL PRINCIPE

Nato in provincia comasca il suo cordone ombelicale aveva accento catanese. Nicola era figlio unico, cosa di cui si rese conto in seguito, quando ogni suo desiderio veniva esaudito.

Ogni cosa volesse era teletrasportata al suo cospetto in pompa magna e con grandi annunci.

Divenuto adolescente il suo espansionismo interiore si trasmise al suo corpo. A 13 anni era già alto -“unoenovanta”- come diceva lui –. 

Iniziò a fumare e a bere alle medie.

All’ ITIS capì che era meglio vendere il fumo, piuttosto che fumarlo, in questo semplice modo avrebbe tenuto in pugno il peccatore.

Alla maggiore età incontrò la cocaina.

Si videro, si annusarono, si piacquero.

Come per il fumo la trafila fu la stessa. Solo che nel tempo i clienti erano cambiati.

Ora vendeva a medici, dentisti, notai, politici.

Un sagrestano anche.

Sapeva tutto di tutti. Era quello che voleva, era quello che G. gli aveva insegnato.

Arrivarono i soldi, arrivò una moglie affettuosa e due figlie.

non basta, principino” sentiva sua madre dire nella sua testa.

Decise dunque che era venuto il momento del salto di qualità. Di mettersi al pari di tutti i suoi clienti.

Le angherie non si i contavano ormai più. La paura era diventata il suo modo di essere amato.

Quanti ne aveva picchiati, quanti ne aveva soggiogati ricattandoli.

Ormai non ne teneva più il conto.

Arrestato per consumo, spaccio , se la cavò con gli arresti domiciliari.

Questo accrebbe notevolmente il suo delirio di onnipotenza.

Sicuro di fare solo un periodo di vacanza, il Principe iniziò pigramente a vivere tranquillo in casa.

Ovviamente le restrizioni non lo toccavano affatto, non appena i carabinieri lo lasciavano solo ricominciava il suo lavoro di import-export di sostanze esotiche e psicotrope.

Questo fino a quel venerdì.

5.

L’INCIDENTE

Alle 22 Nicola si affacciò alla finestra e controllò che i suoi angeli custodi avessero preso il volo.

Come tutte le sere di quei 4 mesi erano già andati.

Era il suo BatSegnale.

Corse in camera da letto delle bimbe che dormivano già e lentamente si avvicinò alla mensola, sulla quale, dietro a Stacy Malibù 2020 ( 300 euro, natale 2015), c’era il suo prodotto.

 Lo afferrò e si girò di scatto. Stringendo il sacchettino bianco digrignò i suoi denti gialli in un ghigno di trionfo.

-Papà!-

Si voltò di scatto e d’impeto fece per avvicinarsi alla bimba che lo chiamava  ma per la sorpresa inciampò e cadde.

Il tempo rallentato gli permise di vedere il luogo d’atterraggio. La cassapanca dei giocattoli.

80 centimetri all’impatto.

Avrebbe certo potuto mettere entrambe le mani per proteggersi, ma una delle due reggeva qualcosa che la piccola non avrebbe dovuto vedere.

La bamba, cazzo, la bamba.  Se rompo il sacchetto sono fottuto.

 Sono fottuto.

Sono 1000 euro di roba

50 centimetri all’impatto.

Mi reggo solo con la destra. Celafaccio celafaccio. Mi salvo e la mocciosa non vede un cazzo

20 centimetri all’impatto

Non posso far tardi, mi aspettano. Devo consegnare, cazzo. Stavolta m’inculano.

10 centimetri all’impatto

La consapevolezza di essere anch’egli un burattino  gli squarciò la mente quasi più a fondo dell’idea dello spigolo della cassapanca che stava per penetrare  nel suo cervello, direttamente dalla tempia sinistra.

L’impatto

L’ultimo sguardo su sua figlia, sveglia e spaventatissima. Poi, il silenzio.

Sipario, applausi e silenzio.

Buio.

  •  

3 SETTIMANE DOPO

Aprì gli occhi lentamente e li roteò.

Avrò preso un colpo d’aria, ho gli occhi appiccicosi cazzo.

Si guardò intorno. Era in soggiorno e la televisione stava mandando in onda un servizio sulla castrazione dei maiali. Riconobbe il presentatore con la coppola. Era melaverde.

Sembrava tutto normale . che cazzo è successo…ho pippato troppo a sto giro. Ho combinato un  casino, dove cazzo sono gli sbirri.

Ottenuta una minima di lucidità tentò di alzarsi. Il bisogno di pisciare era più forte del bisogno di capire.

Fu inondato  dal concetto dei bisogni primari.

Bagnaticcio ritentò di alzarsi.

Cristodio. Quanti cazzo di grammi ieri. E i soldi. I soldi dove sono?

Si alzò, ma non successe nulla.

Riprovò sudando.

Ancora e ancora. Non si muoveva nulla.

Sentì poi qualcosa di caldo appoggiarsi sul suo mento. Capì in un paio  di minuti che era la sua bava.

Un trip malato. Questo è un trip malato. Basta bamba e basta tutto.

Dove cazzo è papà? Dove sono tutti?

….quindi con lo spago legate alla base i testicoli del maiale, stringete forte mi raccomando.” diceva l’uomo in televisione con un cappello buffo.

Vi ammazzo tutti, giuro che vi ammazzo tutti

Tentò ancora con forza di liberarsi e di muoversi . Nulla. Non riusciva a vedere neanche nulla al di sotto del suo petto. Non sentiva nulla.

“…con un coltellino poi seguite la linea che separa un testicolo dall’altro, con un colpo secco..”

Provò allora ad urlare ma ancora nessun risultato.

A lui che era abituato a comandare, il suo corpo stava disobbedendo.

“…estraete poi i piccoli testicoli semplicemente strizzando. Ecco fatto.”

Quindi la porta si aprì.

“Papà!” disse.

Ovviamente Andrea non sentì nulla, ma vide le bolle uscire dalla bocca di N. e sorrise col vassoio in mano.

7.

 SETTIMANE DOPO.

N. Aveva capito la sua situazione ma non l’aveva accettata. Per nulla.

Paraplegico. Sono paraplegico. Un cazzo di rottame. Un sasso.

Erano quasi le 16, quindi a momenti Andrea gli avrebbe servito le fette biscottate con la marmellata della falsa copia della Zuegg.

 “veniva 2 euro a sboccetta,e mica sono ninne le sbocce” sentiva dire il padre nella sua testa

cristo ancora sta merda. Son trent’anni che lo sa, odio la fottutissima marmellata. Odio la cazzo di marmellata tarocca che sa di bigbabol marce.

Come profetizzato dalle sue previsioni Andrea entrò in camera reggendo con il sorriso, la sua “merenda”

Non ce la faccio. È la cinquantesima merenda del cazzo, non ce la faccio. Come fa a non sapere che odio la marmellata. Controllo tutto il fottutissimo giro della bamba nel raggio di 20 chilometri e questo mi fa mangiare merda. Come fa?

Lo guardò in viso e incontrò solo un sorriso pieno e soddisfatto.

Cristo questo è scemo proprio. Aveva ragione mamma cazzo, questo è andato di testa.

Come cazzo può succedere questo porcaputtana?

Dopo che a 15 anni  quella stessa merenda gliel’aveva sputata in faccia.

 Dopo che a 20 gli aveva ficcato interamente il barattolo di marmellata  in bocca.

Aveva ancora ben impresse nella mente la sua mano che ficcava in gola del padre il barattolo di marmellata e le sue lacrime uscire sodomizzando il suo muro di dignità.

Questo è proprio un coglione, cristo.

Pensò di rigetto a sua madre, al suo faro. Lei non avrebbe commesso questi errori. Lei era Agrippina e lui Caligola.

La reazione emotiva provocò uno spasmo, questo e la gravità fecero cadere l’accumulo di acqua nell’occhio di N.

Pianse e mentre se ne accorse Andrea lo notò.

 Il suo ghigno si allargava come si spandeva la goccia della lacrima sulla sua guancia.

  • capì tutto.

Suo padre se la stava godendo.

8.

MESI DOPO

Da un mese N. stava tentando di parlare.

G.  e Andrea lo videro come un miglioramento delle sue condizioni e ora quando era in forma il Principe riusciva anche a  dire “mmmma”

Evento che per  G. fu di grande effetto. Iniziò già a riprogrammare gli eventi con alla base un figlio sano.

Andrea quando la vide piangere, realizzò di non averla mai vista commuoversi.

Le capacità di recupero di N. furono impressionanti. Dopo un altro mese sentenziò “ mdaaaa”.

Erano le 16 e come al solito, Andrea aprì la porta con  sguardo trionfante con il suo trofeo di marmellata. Era la sua gioia giornaliera. Era il suo alzare la coppa di fronte a uno sconfitto. Sapeva bene quanto N. odiasse il tutto. Ed era proprio per questo che era più puntuale di una cagata post caffé\sigaretta.

Era la sua dolce rivincita. Lo curava in tutto e per tutto.

Lo lavava, gli  cambiava i vestiti e gli cambiava i pannolini quando lo sfintere del Principe cedeva al suo controllo, anche perché G. era sempre troppo impegnata.

Una volta era per il raduno delle tessitrici di Sicilia a Milano, un’altra per una raccolta fondi per i caduti di guerra  (cosa che G. malinterpretò, in effetti oggettivamente N. era un caduto)

9.

Andrea servì le sue fette  biscottate con la marmellata come al solito.

Aveva il cazzo barzotto.

Ormai era l’unica eccitazione della sua vita.

 Appoggiò il vassoio sul tavolo e  oltre al rumore di questo ne sentì chiaramente un altro.

 “ merda”

Si voltò di scatto verso il viso di suo figlio che impassibile  come sempre lo fissava.

Silenzio.

Il  ticchettio dell’orologio di  bronzo sulla parete scandiva il tempo lentamente.

Era leggermente kitsch ma Andrea riconobbe fosse a tema con le goccioline di sudore freddo che iniziarono a scorrergli sulla schiena, piano piano.

“Me…dda”

Ora Andrea udì chiaramente.

DIO, ERA COSCIENTE; CAPIVA TUTTO.

Andrea, sconvolto e felice, stava per abbracciarlo ma  N. emise un altro suono, accompagnato dalle solite bolle e bava.

Gli sembrò che N. lo stesse guardando fisso, si appoggiò al tavolo e suo figlio con somma fatica ripeté

“tu…..me…dda….(gorgogliare indistinto) tu…. me…dda…”

Fu in quel momento che A. decise cosa fare.

In un attimo la diga del Vajont della sua mente crollò all’improvviso.

Lo shock della rivelazione lo fece indietreggiare sino al divano. Crollò lì sopra.

E proprio in quell’attimo entrò G., lo vide.

“ma che cosafailosedutoche nicohabisognodiattenzioniètuofigliopercaritadiddio  seiunammerdacomesempre” disse la matrona.

D’istinto Andrea si alzò immediatamente ma all’affermazione seguì una sberla a mano aperta e G. aveva le mani grandi.

Andrea incassò bene.

Come incassava  bene le angherie che lo accompagnavano de 60 anni. Era abituato  ad prenderle da anni, la botta fu più psicologica che fisica e lo sbalzo lo fece finire indietro di un buon metro.

Il secondo pugno non era necessario ma contribuì a farlo finire seduto sul figlio paraplegico.

Rumore di bolle accompagnarono il suo sedersi.

“sta ridendo” pensò Andrea, “sta ridendo cazzo.”

Rimase seduto e sorrise.

Lo sguardo gli finì sulla sua bolla da muratore, lo strumento di lavoro che usava per determinare il parallelismo di superfici determinò l’incrociarsi dei loro destini. Era giusto lì per terra di fianco alla sedia del figlio,  l’afferrò e con tutte le sue forze lo sferrò sul viso della moglie che stava per andare in strike per la terza volta.

Non perse sangue G., ma crollò a terra con un tonfo.

Lo sforzo per rialzarsi dal figlio, a 65 anni provocò perdite gassose dal suo sfintere.

Ho scoreggiato su mio figlio

Si voltò, ma N. aveva il solito sguardo perso nel nulla. Sembrava essersi calmato.

Si avvicinò lentamente al suo amore steso a terra e, con delicatezza ed estrema cura, le  legò con il suo nastro adesivo  prima i piedi e poi le mani.

La trascinò su una sedia di plastica da due soldi e la fece sedere. Passò con pignoleria lo scotch intorno alla vita, evitando di toccarle in alcun modo il seno. Nella sua mente era ancora terreno proibito.

Un rivolo di sangue stava scendendo dalla sua tempia fino alle labbra e fu in quel momento che si riebbe. Iniziò ad urlare stridula.

In mezzo alle sedie dei due c’era Andrea che inebriato da sensazioni mai provate si avvicinò alla radio che comprò nell’85, unico lusso concessogli da G. negli ultimi 35 anni.

Inserì la sua unica cassetta nel mangianastri. Era una cassetta con la versione di “ vitti na crozza”.

Fece partire il nastro e si rilassò, tutto fu più limpido nella sua testa.

Vitti na crozza supra nu cannuni

Fui curioso e ci vossi a spiari

G. continuava a urlare e Andrea infastidito usò ancora la sua bolla.

Idda m’arrispunniu cu gran duluri

Murivi senza un tocco di campani

La la lero

La lero la lero

G. finalmente tacque. Andrea si voltò verso il figlio, sorrise ancora.  I suoi occhi  che sembravano quelli di un cane braccato ed erano gonfi di lacrime potenziali gli facevano capire che era totalmente cosciente di ciò che stava capitando.

8.

 IL PRINCIPIO DELLA FINE

N. vide di fronte a lui suo padre con un ghigno che non aveva mai visto sul suo volto.

In mano aveva il coltello con cui affettava i salumi fatti in casa ogni domenica, per lui e mamma.

Lo fissava e lentamente si stava avvicinando.

N. urlò nella sua mente vedendo la madre legata dietro suo padre.

Cristo papà

Andrea vide il figlio agitarsi anche se in realtà era più fermo di una vittima della Medusa. Ma dall’ espressione sul viso e degli occhi intuì il panico e la paura nel suo ex aguzzino.

Si sentì potente, si sentì forte.

Era ubriaco di quelle sensazioni mai provate.

L’erezione che premeva contro i suoi jeans da 10 euro gli fece capire che era eccitato. Molto.

Gesù, erano anni che non succedeva

Controllò con mano incredulo, era tutto reale, stupito sollevò lo sguardo che incontrò quello del figlio.

Checazzofa, checazzofa, stocoglionedimmerda.

 Mamma svegliati, svegliati cristo, questo è fuori. È partito.

Il risultato fu un espressivo “brlbbbrl, bbbl bb”

Gli occhi di Nicola erano puntati sulla madre, la sua protettrice. Avrebbe voluto proteggerla.

Ironico. Visto che G. di protettori non ne aveva mai avuto bisogno.

In quel momento la puttana di Cismare riprese lucidità e quello che le si parò davanti agli occhi fu suo marito con un coltello in mano che si avvicinava lentamente verso il figlio.

Le scappò un urlo strozzato, non era da lei perdere il controllo.

Andrea la sentì e si voltò. La squadrò e infine sorrise con amore, dolcemente.

E’ lo stesso sorriso con cui mi ha chiesto di sposarlo, è tutto a posto, lo controllo. Lo controllo ancora.

Con quello stesso sorriso il suo amore si avvicinò al figlio e  penetrò con il coltello appena sopra il cuore, millimetro dopo millimetro, guardando quel cocktail di stupore (due terzi) e di paura (un terzo) che sua moglie stava mostrando.

Sapeva di non stare colpendo un punto vitale, ma era quello che gli serviva.  Andrea aveva visto un sacco di puntate di melaverde.

Ma G. non sapeva.

Lo ha ucciso. Ha ucciso il mio Principe. La mia vita.

Iniziò a gemere.

-C’hai fatto? Che? Che? Cosa? Sei nuddu! Sei nuddu miscatu cu nnenti”- vomitò G. che odiava parlare in dialetto.

Lei che aveva fatto le magistrali.

E mentre N.si accasciava suo padre lo abbracciò e lo baciò in fronte, cullandolo. Gli asciugò poi la bava dal viso e all’orecchio sussurrò qualcosa.

Il nuovo carnefice si dedicò ora alla moglie che paonazza aveva le lacrime agli occhi. Il suo famoso eloquio era svanito nel nulla lasciando spazio solo a singhiozzi.

“…incipe…’io principino…”

Si avvicinò all’amore della sua vita e la fece tacere, come aveva immaginato per anni, passandole il coltello orizzontalmente sul collo.

Come in melaverde

G. morì pensando il suo principino morto ma era vivo e Andrea lo sapeva.

E si voltò per gustarsi lo spettacolo del Principe che guardava la regina di cuori cadere.  Per guardare gli occhi di quel figlio che lo aveva sempre disprezzato e degradato.

La lacrima che scorse sul viso di Nicola stava per farlo recedere dalle sue decisioni.

“me…dda…” sbavò fuori il figlio.

No…doveva farlo. Non poteva più evitarlo. Lo abbracciò e con lo stesso coltello lo penetrò dritto nella nuca, con somma dolcezza.

“ti voglio bene” sussurrò al figlio morente.

Pianse Andrea mentre la lama lacerava i nervi, vene e ogni catena che legava N. a quest’inferno.

Il Principe si sgonfiò tra le sue braccia come sua madre e lui lo accompagnò.

Poi esausto si sedette sul divanetto della taverna.

Masturbandosi, pianse.

Fu la sega meglio riuscita della sua vita.

Festeggiò poi bevendo una bottiglia di Nero d’Avola che G. gli aveva sempre proibito.

Si accese una sigaretta e salì le scale con la bottiglia.

I suoi carnefici erano uno di fronte all’altro. Fece un lungo sorso e in segno di commiato sollevò la bottiglia.

Aveva sistemato tutto.

Se ne andò.

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