Premio Racconti nella Rete 2023 “La vita a colori” di Sabrina Porro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Una striscia di luce mi accarezza il viso come a volermi svegliare. I raggi del sole fanno capolino proiettando sull’armadio un reticolato luminoso che sembra preannunciare una giornata serena, contrariamente al forte maltempo dei giorni precedentemente. Prima di scostare le lenzuola, stiro le braccia e stropiccio gli occhi ancora impastati dal sonno, ed è lì che mi accorgo di non essere nella mia stanza: il letto è lo stesso ma il resto non coincide. Mi ritrovo in una camera con una tappezzeria scrostata, gli unici arredi sono un lavabo, delle tende di pizzo, una pila di fogli disegnati e una scatola di borotalco. Sembra una stanza d’albergo di altri tempi.
Mi alzo perplessa, ma non spaventata, come se la mia mente conoscesse il luogo da sempre. Apro la persiana, ma oltre al bel sole c’è solo un prato senza fine che si stende fino all’orizzonte. Mi pulisco il viso, spazzolo i vestiti nei quali mi accorgo di aver dormito, una sistemata ai capelli e abbasso la maniglia. Davanti a me si snoda un corridoio pieno di porte con delle etichette ormai illeggibili. Si riconoscono solo i colori :gialla, rossa, verde, blu e nera. Non si sente nessun rumore o vociare provenire dalle altre stanze. Inizio a curiosare cercando di orientarmi e capire se oltre a me ci sono altre persone in questo albergo alquanto magico. La porta gialla attira subito la mia attenzione in quanto è assai bizzarra: è piccola da folletti, per entrarci mi dovrei accucciare. “Perché no?!” penso , guardandomi in giro prima di intrufolarmi incuriosita. È illuminata, una radio continua a ripetere meccanicamente la stessa canzone, c’è un grande tavolo pieno di giochi di bambini sparsi per terra e sedie, alcune rovesciate. Ci sono giochi da tavola qua e là: delle banconote del Monopoli, i soldatini di Risiko marciano compatti e lo scheletro dell’allegro chirurgo se la ride di gusto. Lontano da tutti, in un angolo, un tavolo ordinato con tanti pastelli ben temperati, tanti disegni e macchie di colore su tutta la parete. E un’unica sedia più piccola e scomoda dalle altre. La mia mente inizia a pensare, sudo freddo e non sono più a mio agio, ho una brutta sensazione, quasi di paura, e corro a carponi verso l’uscita. Appesa al chiavistello c’è una chiave, lo chiudo serrandolo decisa e la butto via in un cestino che sembra messo lì apposta per l’occasione.
Riprendo fiato e un forte odore di muffa arriva alle mie narici…è la porta rossa, accostata. Entro nella stanza lasciandola aperta e mi ritrovo in un’ambiente disordinato e un po’polveroso, pieno di oggetti, cruciverba, tazze di caffè… sembra la sua casa… mi perderei per ore tra i ricordi. Stranamente non ci sono finestre , ma una lampada penzolante. Sopra al comodino la sua macchina che da piccola consideravo magica: metteva il filo, lo teneva saldo e girava la manovella trasformandolo in un gomitolo cosi soffice da affondarci. Se si formava un nodo e non riusciva a scioglierlo allora lo tagliava e con il suo punto invisibile riuniva i fili e riiniziava a girare. Accanto allo specchio c’è un vaso con dei ranuncoli, i suoi fiori . Apro il cassetto ma non c’è più niente che mi ricordi ancora lei. Mi invade una sensazione di nostalgia. Spengo la luce ed esco chiudendola dolcemente. La porta verde è invece chiusa a chiave e la serratura sembra bloccata. Provo a forzarla ma inutilmente, poi mi viene in mente di provare a utilizzare la chiave buttata nel cestino. Ritorno a recuperarla e dopo qualche minuto di lavoro, la porta è aperta. Ma quello che vedo mi lascia senza parole: la stanza è completamente vuota, non c’è nulla, niente finestre, niente tetto o pareti, solo un pavimento di legno scuso e nel centro un’aiuola fiorita. Dal cielo grossi goccioloni mi iniziano a bagnare gli occhiali, improvvisamente un acquazzone ha il sopravvento, ma io rimango lì, sotto la pioggia. E inizio a far delle grandi capriole, a ridere e ballare , a cantare a squarciagola e sono talmente felicemente stanca che mi abbandono in mezzo ai fiori e mi addormento. Quanto apro gli occhi, il cielo si è fatto buio, deve essere ormai notte, le nuvole hanno lasciato spazio alle stelle che la fanno da padrone. Mi pulisco dai petali e ritorno sui miei passi.
Ora una grande luna luminosa troneggia sulla porta blu: mi ritrovo su promontorio, in lontananza si vede il mare, c’è una brezza constante e l’aria è frizzante. Una folata di vento mi fa sollevare e inizio a galleggiare nell’aria , fluttuo circondata da stelle brillanti, pianeti, polveri e miliardi e miliardi di puntini, mi sento leggera, faccio a gara con i gabbiani, gli aerei, sempre più su…ma qui in alto non c’è ossigeno, è come se il cielo, la galassia e le stelle stessero crollando sopra di me. Mi dà un passaggio una stella cadente e in men che non si dica mi riporta nella realtà. In fondo al corridoio l’ultima porta…l’unica già spalancata ,come se la usassero spesso …c’è un neon con una luce a intermittenza con la scritta :” La luce non va cercata fuori, ma accesa dentro”. Aggrotto la fronte perplessa, chissà il senso, troppo complesso in questo momento pensare. Una leggera nebbiolina esce dalla stanza offuscando la vista. La porta è molto diroccata, c’è anche qualche ragnatela e lumaca lungo lo stipite: è la porta di un giardino, che è un po’selvaggio ma molto rigoglioso, con un sentiero di ciottoli , coperto dalle erbacce e una panchina in pietra, alberi da frutto e rampicanti che crescono un po’ovunque, un gatto furtivo ed un piccolo stagno verdastro con ampie macchie di vegetazione, ranocchie e ninfee. L’aria è umida, la luce crepuscolare, ancora un po’screziata dai riflessi purpurei dell’alba che giocano con le foglie. Ai margini, si scorgono un roseto da un lato, e dall’altro un capanno degli attrezzi in legno, malandato con un’altra porta ben tenuta che odora ancora di vernice, anche se senza colore e senza etichetta. Mi avvio verso il sentiero, la sensazione è piacevole, ma leggermente inquietante, ho un po’freddo e mi sento improvvisamente sola. Accelero il passo, attratta dalla luce che filtra dal capanno.
La porta da vicino è ancora più lucida, quasi ci si specchia. Mi appoggio e si apre automaticamente ingoiandomi. —— Sto galleggiando e accanto iniziano a passare come in un rullino di una diapositiva oggetti della mia vita passata: il ciondolo a cui tenevo tanto, il libro che stavo leggendo ancora aperto, il tuo profumo preferito, schivo le bottiglie di vino e i relativi silenzi, le foto con immagini di volti amici, sento ancora i loro odori, sapori, impronte e nomi che li hanno resi importanti ma chissà da quanto tempo smarriti in un cassetto, in un armadio, in una scatola in cantina, smarriti dal ricordo e dalla vista… le immagini diventano sempre più fitte ,come una pioggia di parole e fotografie, è un continuo schivarle…sono stanca… Sto cadendo Sto sognando O volando verso una nuova vita ? ——- Poi la gravità torna …precipito nel vuoto… Mi sveglio di soprassalto. Sono sudata, il cuore batte come se avessi corso chilometri e chilometri. Tutto mi è sembrato reale, ho perfino avvertito l’impatto sulla poltrona. Guardo l’ora sul cellulare, sono solo le 22. Ho gli occhi aperti ma non si può dire che sono sveglia. Il sogno gironzola intorno ancora per un po’, mi fa il solletico alle palpebre prima di ritirarsi a malincuore, lasciandomi sulle labbra una frase: “Non smettere di sognare, solo chi sogna può volare “
Fin dall’inizio si percepisce che si tratta di qualcosa di onirico, magico, ecc… Credo meriterebbe un’altra struttura e una costruzione che faccia leva su quest’aria di mistero che lo pervade fino all’ultimo lasciando il lettore con una fine sospesa in cui ricercare il senso del tutto.