Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Cane Nero” di Federico Pacciani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Era svenuto di nuovo. Narcolessia, gli avevano detto, ma nessuno era riuscito a scoprire il motivo profondo né la causa scatenante. Succedeva e basta, in una situazione qualsiasi. Questa volta aveva rischiato di rimetterci le penne. Stava cercando un libro in particolare nella libreria di casa e si era alzato sulle punte per raggiungerlo, quando sentì venirsi meno e per istinto tentò di aggrapparsi a qualcosa. Si era svegliato poco dopo, sepolto dai volumi ma fortunatamente non sotto il legno massiccio del mobile. La sua ragazza aveva fatto bene a insistere per fissare la libreria alla parete, pensò guardando il romanzo che teneva in mano. Era proprio quello che cercava. Cane Nero. L’Autore lo guardava a sua volta dalla quarta di copertina con il suo sguardo severo e le braccia conserte. Il suo idolo. Finalmente lo avrebbe conosciuto di persona.

Data la situazione aveva smesso di guidare e per questo motivo si trovava in autobus, anche se non era molto piacevole svegliarsi al capolinea un giorno sì e l’altro pure. Quella mattina, era un sabato di primavera e faceva caldo, riuscì a arrivare a destinazione senza incidenti. Si stava dirigendo al festival letterario che si svolge ogni anno in città e non aveva trovato nessuno disposto a fargli compagnia, d’altra parte neanche lui amava molto quel carrozzone e cercava sempre di passare quella fatidica settimana in altri lidi. Però questa volta aveva fatto un’eccezione per il creatore della sua saga di thriller preferita. La loro preferita, a essere onesti. Aveva conosciuto Anna a una festa e senza l’aiuto di quei libri non sarebbe mai scoccata la scintilla. La mattina seguente stavano ancora discutendo su chi fosse il personaggio meglio riuscito, dopo aver passato tutta la notte insieme a parlare di Cane Nero, a citare interi brani a memoria e a innamorarsi.

Il teatro comunale era gremito. Si sedette nel posto numerato e attese. Se solo Anna fosse qui, pensava guardandosi attorno. Si domandava se anche per tutte quelle persone si trattasse di un evento atteso per anni, con la sua stessa impazienza. Probabilmente no. Anche se era sicuro che c’erano altri fan sfegatati quanto lui in cerca di un autografo o di un selfie da mostrare come trofeo. Aveva ancora il libro tra le mani. Lo aveva portato con sé con l’intenzione di chiedere all’Autore una dedica speciale per lei, in occasione del loro anniversario. Quello sarebbe stato il suo regalo. Ma ecco che si spegnevano le luci.

Tutto era buio. Anche il palcoscenico. Si sentirono passi sul legno della scena. Poi un faro illuminò un uomo vestito di nero. Era Lui. La sua voce riempì la sala.

C’era una volta un uomo che possedeva un grande gregge di pecore alle porte della città. Il suo nome era Cane Nero.

Alla fine dell’estate, Cane Nero andava a prendere uno dei suoi feroci pastori che stavano a guardia del bestiame e lo conduceva nel capanno dietro all’ovile. L’animale lo seguiva scodinzolando fiducioso. Poco tempo dopo Cane Nero usciva dalla baracca con una nuova pelliccia.

L’odore del sangue rimaneva nell’aria per settimane ma l’estate successiva nessuno si ricordava più dell’accaduto, che puntualmente si ripeteva. Cane Nero lo faceva più per abitudine che per vera necessità, anche se indossava la pelliccia durante tutto l’inverno.

Col passare del tempo il sacrificio divenne quasi una tradizione, un momento di passaggio da una stagione all’altra. Un rituale che serviva a scandire il trascorrere degli anni. Che lo faceva sentire vivo.

Cane Nero era mio nonno. Cane Nero vive dentro di me.

Cane Nero sono io.

Tornò l’oscurità per qualche istante e iniziarono gli applausi. Poi la luce inondò di nuovo il teatro, il giornalista che avrebbe condotto l’intervista si presentò e cominciò con la prima domanda. 

Il pubblico seguiva rapito lo scambio tra i due, come gli spettatori di una partita di tennis, ma lui non riusciva a restare concentrato, tra i ricordi che lo sopraffacevano, la paura di addormentarsi e l’ansia per il compito che lo attendeva alla fine dell’incontro. Non riusciva a godersi il momento ma era deciso a resistere, aspettando la ricompensa di una stretta di mano con quell’uomo. L’intervista si avviava alla conclusione, era arrivato il turno delle domande del pubblico. Il suo posto però era vuoto perché si era già avvicinato al banchetto firma copie.

La fila era lunga ma lui era tra i primi. La prima in assoluto, una bella ragazza, si era lanciata dietro al piccolo tavolino e stava facendo una diretta video su qualche social con il suo telefono all’ultimo grido, senza curarsi troppo dell’espressione strafottente dello scrittore. Poi toccò a un giovanotto occhialuto dai movimenti lenti e precisi, un aspirante romanziere in cerca di consigli. Seguirono una donna di età indefinibile, esperta di gialli e di festival, un vecchietto con il cane, una coppia evidentemente in crisi e un’altra decina di cliché ambulanti. Dopo ogni firma l’assistente dell’Autore scattava una foto istantanea con la sua polaroid per immortalare l’incontro tra artista e seguace, una trovata di marketing molto azzeccata: dopo ogni omicidio Cane Nero infatti fa la stessa cosa, collezionando i volti delle sue vittime. Ogni vero fan non vedeva l’ora di averne una.

Il momento tanto agognato era arrivato. Per prima cosa si strinsero la mano. Non poté fare a meno di fissarlo dritto negli occhi per quell’attimo in più del dovuto. Spiegò che aveva portato da casa una copia della prima edizione del romanzo d’esordio per chiedergli una firma per la sua ragazza e comprò l’ultimo libro uscito affinché lo autografasse per lui. Lo scrittore sorrise con aria sardonica e eseguì la richiesta. Non posso crederci, pensò in quel preciso istante. Il battito accelerava e quasi si commuoveva, ma rientrò in controllo di sé giusto in tempo per evitare il collasso. Non si addormentò e si risistemò alla bell’e meglio in vista della foto ricordo. Si misero in posa e il ragazzo cliccò. Dopo un attimo la cartolina uscì dalla polaroid, come la lingua di un’iguana.

Il piccolo quadrato si colorava senza fretta. Preso dalla smania iniziò a sventolare la fotografia, come fanno i bambini per velocizzare la cosa. Anzi come facevano, ai tempi dell’analogico. Adesso si intravedevano figure sfocate, tipo dei fantasmi in via di manifestazione. Però c’era qualcosa di strano. Che scherzo è questo, si chiese tra sé.

«Che scherzo è questo?» disse di nuovo a voce alta. Quasi urlando. «Chi è?».

«Cosa intendo dire? Siete voi» disse l’assistente con fare perplesso.

«Questo non sono io!».

«Non capisco, mi scusi».

«Dimmi cosa vedi in questa foto».

«Vede lei accanto al Maestro, signore».

«Non è possibile!» Gridò in faccia al giovane malcapitato. «Se questa è un’altra trovata pubblicitaria del cazzo…».

Si stava creando un capannello di gente attorno a lui. «Cosa sta succedendo qui? Cos’è questo trambusto?» chiese un addetto alla sicurezza.

«Ragazzo, che problemi ci sono? Ti ho fatto due firme come mi hai chiesto, in cos’altro posso esserti d’aiuto?» l’Autore si era alzato e si stava avvicinando a lui. Le altre persone arretrarono.

«Maestro, non mi piace essere preso in giro. Glielo dica. Dica la verità. Chi è ritratto qui?» disse sibilando, quasi con le lacrime agli occhi.

Lo scrittore prese la polaroid tra le mani e la avvicinò agli occhi. «Fammi vedere… Mmmh… Hai perfettamente ragione, neanche io amo essere vittima di tiri mancini. E odio ancora di più perdere tempo. Tieni la tua foto e sparisci!».

Prese la polaroid e corse verso l’uscita del teatro, sbattendo contro le persone che intralciavano la via. Attraversò l’atrio che cadevano le prime gocce di pioggia. Per strada continuò a correre. Correva a più non posso, senza voltarsi mai indietro. Entrò nel labirinto di vicoli della città vecchia. Non ce la faceva più. Dovette fermarsi per riprendere fiato. Stava appoggiato con le mani sulle ginocchia. La testa china. Non capiva cosa stesse succedendo e aveva le vertigini. Si adagiò su una panchina e osservò ancora la fotografia. La pioggia aumentava. La carta si stava bagnando. Questo non sono io, ma com’è possibile?, pensò rimettendosi la foto in tasca. E se non era lui, chi era quello? In quel momento avrebbe voluto addormentarsi ma non funzionava così.

C’era un solo posto dove voleva andare e senza rendersene conto si trovava a due passi da lì. Si ricordò del libro e prese a camminare rasente ai muri per non prendere altra acqua. La strada si allargava su una piazza, sulla quale si affacciava un parapetto dalle spesse mura di pietra. Al centro si apriva un cancello. Lo superò. Camminò sulla ghiaia per pochi metri e si fermò. «Anna, ce l’ho fatta. Ecco il tuo regalo». Tirò fuori il libro e lo poggiò sulla lapide. 

Lesse a voce alta l’iscrizione sul marmo: «Anna Stein. 14/04/1992-20/09/2016». Si sedette a terra davanti alla tomba. L’ombra di un sorriso gli apparve sul viso. Aveva gli occhi bagnati ma dalla pioggia, non più dalle lacrime.

Si voltò distrattamente a destra e notò un fatto curioso. La pietra accanto riportava la stessa data della morte di quella di Anna. Non sapeva se fosse la norma ma l’ordine cronologico aveva una sua logica. Il tentativo di dare un senso a qualcosa di insensato. Strano che non ci avesse fatto caso prima. Poi guardò la foto del defunto. Il mondo smise di girare.

Quella era la sua faccia. Anche nome e data di nascita corrispondevano. Il sorriso triste lasciò il posto a una risata isterica. Si guardò alle spalle e poi girò su se stesso, ma non c’era nessuno. «No, veramente, se è uno scherzo, è di pessimo gusto…» disse a mezza voce rivolto alle tombe. Fece qualche passo indietro e cadde a terra.

Il custode lo trovò poche ore dopo che dormiva addossato alle lapide di Anna.

«Signore, si svegli! Mi sente?» gli disse scrollandolo.

Non rispose ma aprì le palpebre.

«Come sta? Riesce ad alzarsi?».

Ancora niente.

«Ma lei chi è? Come si chiama?».

«Io sono Cane Nero».

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2 commenti »

  1. Molto bello, complimenti

  2. Avvincente… bravo!

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