Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Tra le pieghe del divano” di Silvia Taccagni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

La chioma di due alberi, il tetto di un palazzone, un lampione acceso, questo era tutto quello che vedeva al di là del vetro della finestra. Non riusciva a scorgere altro, sprofondata, come un uccello nel nido, in quel divano, di pelle color polvere, invecchiato sotto il suo peso. Non ricordava da quanto tempo si era trasferita definitivamente tra tutti quei cuscini, ma aveva stampato bene in mente il motivo che l’aveva spinta a fare quella scelta. Quel giorno era andata in banca e, mentre era in fila che attendeva il suo turno, attraverso la vetrata che dava sull’esterno vide passare per strada una mamma che spingeva un passeggino e pensò alla sua di madre, che non aveva più visto da quando era piccola. E, nonostante sapesse che era stata quella brutta malattia dell’anima che l’aveva costretta ad allontanarsi dai propri affetti, col tempo si era convinta che sua madre se ne fosse andata perché non tollerava il difetto fisico che lei aveva fino da quando era nata.

Sentì la rabbia salirle dalla pancia fino alla punta dei capelli. Era tanto tempo che non si sentiva così; in passato le era capitato spesso, ma poi aveva lavorato molto su se stessa e aveva trovato il suo equilibrio, fino ad oggi. Ora però quel disagio era tornato ed era più cattivo e insidioso di prima. Si guardò attorno e le sembrò che tutti la stessero osservando. Non sopportò un minuto di più quegli sguardi e uscì di fretta. Si diresse subito a casa e fu allora che iniziò il suo processo di fusione con il divano; vi si sedette e non se ne distaccò più, se non per i bisogni primari. Ma oggi che era tutta indolenzita, non riusciva a sonnecchiare e pensava. Pensava a suo padre che ora non c’era più, lui che le aveva sempre detto che il suo difetto non si notava neppure, che era impercettibile, come un moscerino in mezzo ad uno sciame di api.

Distolse lo sguardo dalla finestra e si vide riflessa nel vetro della libreria ed ebbe pena per quella donna spettinata e appesantita dai chili di troppo. “Non è possibile e neppure giusto ridursi così” pensò. Per un attimo desiderò alzarsi da lì. Poi tese l’orecchio e quello che senti la inquietò; il silenzio tutto intorno saturava l’aria e non lasciava spazio ad altro. Ebbe la sensazione di essere sola da sempre.Poi guardò la foto sul tavolino; i due che la fissavano erano lei e suo marito, quando ancora erano felici.Era tanto tempo che non lo vedeva e, sprofondata tra le pieghe di quel divano, non lo aveva più pensato.Se ne era andato un giorno che era particolarmente arrabbiato perché non sopportava più quella situazione.Ora il pensiero del suo uomo che l’aveva abbandonata proprio quando lei aveva più bisogno la fece talmente infuriare che decise che era finalmente giunto il momento di muoversi da lì e le parve di avere la forza necessaria a farlo. Poggiò le mani sul divano, cercando di darsi la spinta giusta.

Nel frattempo iniziava ad albeggiare ed un raggio di sole entrò dalla finestra. Colpì la parete di fianco a lei, proprio nel punto dove era appesa quella foto; lo scatto di una mamma con in braccio un bambino. Non ricordava che fosse lì e non ricordava chi ce lo aveva messo. Non ricordava nemmeno chi fosse la mamma e il bambino le era indifferente. Poi improvvisamente si riconobbe in quella donna e capì che il bambino era suo figlio. Ricordi vaghi e annebbiati; il suo nome doveva essere Simone, ma non ne era certa. E, mentre si sforzava di ricordare, le vennero in mente le grida di suo marito che provenivano dal bagno, quel giorno di due anni prima. Ma quelle non erano urla di rabbia, bensì di disperazione. Si rivide, come in un film, alzarsi a fatica dal divano e seguire la voce del marito. Una volta entrata nella stanza lo vide in ginocchio con le mani nei capelli. Guardava con occhi spalancati e atterriti di fronte a sé. Rivide se stessa abbassare lo sguardo e lì, nella vasca da bagno, che galleggiava a faccia in giù, immobile, c’era Simone, il suo bambino. Ora ricordava tutto; lei aveva lasciato da solo suo figlio per andarsi a sedere sul suo divano e lui era annegato. Era per questo che suo marito l’aveva lasciata. Adesso, attanagliata dai sensi di colpa, si sentiva tremendamente impotente per non essere riuscita a tenersi stretto quello che di più bello aveva.

In quel preciso istante decise che era arrivato il momento di ricacciare indietro i fantasmi del passato; doveva abbandonare quel divano e trovare suo marito per chiedergli perdono. Si era fatto giorno; il sole illuminava la stanza. E, mentre cercava di tirarsi su da lì, si vide di nuovo riflessa nel vetro della libreria e rimase disgustata e non perché era spettinata o appesantita dai chili di troppo. Si lasciò ricadere di nuovo tra le pieghe del divano, accovacciandosi più che poteva, decisa a non muoversi più da lì. Con la luce del giorno le parve fin troppo evidente il suo difetto fisico; quel piccolo e insignificante difetto, ma per lei così tremendo che, per ironia della sorte aveva un nome così delicato, Strabismo di Venere.

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2 commenti »

  1. Bellissimo racconto. La vita così come è.

  2. E’ un racconto molto breve, ma anche molto denso. Mi è piaciuto: il tema che hai scelto è decisamente impegnativo da affrontare, ma hai saputo dosare le parole e mantenerti leggera. Mi è piaciuta anche molto l’immagine della protagonista fusa tra le pieghe del divano, come a creare un “unico organismo”. E’ un’immagine che rende ancora più forte il senso di pesantezza e annullamento. Complimenti!

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