Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Fernanda” di Antonella Arbuatti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Mia nonna si chiamava Fernanda.

Quel nome sapevo che le era stato assegnato perché apparteneva alla prima donna socialista e attivista dei primi del Novecento o Ottocento, non ne sono sicura. Mi era subito sembrato strano dato che conoscevo l’ideologia politica della mia bisnonna, ossia la madre di Fernanda, la quale era stata prima fascista e poi democristiana ma, amia nonna, quel nome calzava a pennello. Era davvero un’attivista. Una “domina” o “matrona” come dicevano i latini; una signora impostata, elegante e bella nelle sue imperfezioni. Ha portato avanti il buon nome della sua famiglia, economicamente stabile, fino alla fine e ha vissuto sempre con la mente nel passato, ricordando il prestigio che tutti le davano. Fernanda ci ha lasciato un giorno di Aprile del duemiladodici. Nonostante il rapporto burrascoso che ci ha contraddistinto, quando se n’è  andata, è stato un brutto colpo per me. Davanti alla sua salma distesa le ho chiesto perdono. Ho rimesso a lei le mie colpe e mi sono trovata a darle ragione su tantissimi fatti accaduti. Quel suo carattere dispotico, distaccato, anaffettivo mi portava a un continuo rifiuto della sua presenza, mi portava a condannarla quotidianamente per il degrado della mia famiglia e dopo la precoce morte di mio padre e il caos che ne seguì, quasi che ero tentata di incolparla anche lì. Ho vissuto sempre con mia nonna e la mia famiglia. Il mio sogno più grande non era quello di diventare ballerina ma di vivere da sola con mia madre e mio padre. Invece c’era sempre lei. Per fortuna oggi direi.

Fernanda sembrava uno di quei profili femminili ritratti sui cammei, non tanto per la fisionomia quanto per l’impostazione, per la superbia di quelle nobildonne che sapevano di essere ammirate. Lei, infatti, era ammirata e adorata, soprattutto da mia madre. Tra loro esisteva una simbiosi talmente evidente che, sebbene avessero sempre voluto negarla, era impossibile non vederla. Quando litigavo con mia nonna, per mia madre erano coltellate continue che, purtroppo, riceveva ogni giorno.

: – Mamma! Stavolta non puoi dire che non ho ragione!- Marta era l’ago della bilancia e alla fine faceva un po’ per uno. Una volta vincevo io, una volta Fernanda. Da persone intelligenti quali eravamo, ci andava bene, non ci rivolgevamo più la parola per il resto della giornata e l’indomani si ricominciava. Durante le liti con mia madre, il mio anatema era sempre il solito:- Ricordati bene, un domani io non sarò Marta e tu non sarai Fernanda-. Mia madre non ribatteva mai e sicuramente faceva bene, perché, col senno del poi, posso dire “Ringrazio Dio per Fernanda e Marta”.

Nutrivo un rancore profondo misto a insofferenza per mia nonna e al tempo stesso un’adulazione e una tenerezza per mio padre. Tra i due persisteva una guerra fredda dovuta alla convivenza coatta e, in primis, alla subdola antipatia reciproca ma ben mascherata da un’eccessiva educazione e rispetto. La sentivo in cucina borbottare contro mio padre, mi scagliavo contro di lei come un cane che difende il suo padrone, le gettavo contro ogni tipo d’insulto e ingiuria e chiudevo il tutto con la minaccia:- Quando arriva papà gli racconto tutto, così fai le valigie e te ne vai finalmente!- Non sarebbe andata da nessuna parte, Fernanda, non perché non poteva ma perché casa era la sua e in tal caso saremmo stati noi ad andarcene. Tuttavia nessuno sarebbe andato da nessuna parte, né lei né noi: eravamo tutti troppo legati da un filo invisibile.

Sono cresciuta con gli stessi sentimenti immutati verso mia nonna e mio padre, magari più maturi, più intimi, più composti, senza scenate ma diametralmente opposti. Poi la vita compie il suo lavoro.

Mio padre se n’è andato precocemente un Lunedì di Febbraio, prima di tutti. Senza far rumore, in silenzio, come in silenzio ha nascosto i suoi segreti. Non ci ha detto “sto per morire” e non ci ha detto “ siamo pieni di debiti”. Ci siamo trovate tutte e tre sole. Abbiamo scoperto tutto poche ore dopo il suo decesso, avvenuto in casa.

Il Dio dei Padri ha fatto in modo che per la memoria del mio amato genitore, mia nonna, oramai ottantenne, avesse i segni della beata demenza senile, risparmiando così imprecazioni e “te l’ho sempre detto” a me e a mia madre. Saldammo tutti i debiti grazie a Fernanda, a testa bassa, mai disonorando il ricordo di mio padre.

Mia nonna l’ha seguito tre anni dopo. Ho subito creduto che due persone come loro, insieme, avrebbero protetto me, mia madre e Fernanda, mia figlia.

Eravamo rimaste in due per oltre quattrocento metri quadri di casa. In quella casa così grande per un periodo mi rifiutavo di viverci: c’erano angoli, sedie e luci, che se accese, mi gettavano nello sconforto; le presenze più ingombranti e importanti non mi giravano più intorno. Mi sentivo esposta ai quattro venti, in balìa della tempesta, vulnerabile, una facile preda di sciacalli che la vita avrebbe messo sul mio cammino. Con il tempo mi era rimasta chiara una cosa: mia nonna era stata fondamentale e anche mio padre lo aveva capito.

Ricordo una litigata, l’ennesima con Fernanda. Mia madre non mi aveva difeso e me n’ero andata di casa. Mio padre mi chiamò per tentare una mediazione ma inutilmente. Ero irremovibile. Prima di chiudere mi disse:- Ringrazia sempre tua nonna, ricordatelo. Se un domani ti volessi sposare solo lei, potrebbe consentirtelo.-

Rimasi senza parole. –Ma che cavolo dice?- pensai tra me, mentre buttavo fuori il fumo della millesima sigaretta. Poi tutto mi si rivelò davanti dopo la morte di mio padre.

E’ stata mia nonna a permetterci di continuare a vivere con dignità, ha sanato i debiti, ha tolto le ipoteche e ancora continua.

Quando conobbi il padre di mia figlia, lo considerai un trampolino di lancio, l’occasione da cogliere al volo e soprattutto la personificazione dell’indipendenza che sognavo da sempre. Non avevo tempo per farmi prendere dalla tristezza di abbandonare mia madre e lasciarla sola in quella casa; non avrei mai fatto quel grande errore di portarmi dietro anche lei nella mia nuova casa. Volevo e pretendevo che un eventuale figlio sarebbe cresciuto esclusivamente con i genitori, senza altre presenze che avrebbero potuto annebbiare la sacralità dei due ruoli.

Trovammo un piccolo appartamento, non molto lontano dalla casa di mia madre. Inconsciamente volevo mantenere quel famoso cordone ombelicale che è stato sempre lo stemma della nostra famiglia.

Il padre di mia figlia è stato l’inganno più grande della mia vita.

Era un uomo piacevole e piacente, aperto, dinamico, simpatico, sempre pronto a fare festa e di grande compagnia. Dopo varie relazioni opprimenti era stata una boccata d’aria fresca a pieni polmoni. Il tempo ha mostrato i gravi problemi che si portava dietro. Era un’alcolista, un soggetto fragile mascherato da un’aggressività verbale che faceva male ogni volta che mi urlava contro. Era un ossessionato dal sesso e da tutte le sue forme promiscue. Era un traditore e un cocainomane.

Mi ritrovai incinta.

Quando seppi che era una femmina, il suo nome era già pronto: Fernanda. Decisi di chiamarla così. Alla domanda sul perché avessi scelto questo nome così “particolare” o “antico” rispondevo sempre allo stesso modo:- Perché mi piace molto- e chiudevo ogni possibilità di replica. La verità era che questo nome, sia per me sia per mia figlia, aveva la funzione di un amuleto. Saremmo state protette nel corso dei nostri anni insieme. E così è stato.

Fernanda è nata il tredici Febbraio. Il mio stesso giorno e il mese di mio padre. Non credo assolutamente fosse stato un caso che lei avesse scelto questa data.

Dopo la nascita di mia figlia, il padre è peggiorato. L’ammontare di doveri, il compito di genitore, il mio cambiamento di ruolo, da compagna attiva a madre iperprotettiva, i soldi destinati alla bambina e non più ai suoi vizi, tutti questi fattori l’hanno trasformato. Non riusciva a sostenere la vita di famiglia: le pappe, i cambi pannolino, i bagnetti, le notti insonni, i raffreddori, la febbre, i vaccini, gli antibiotici ed esorcizzava il tutto con una bella quantità di alcool, ogni giorno. Ritornava a casa da lavoro ubriaco, ogni volta vivevo il suo rientro con angoscia che cercavo di nascondere a Fernanda con un finto sorriso plastico. Puntualmente mi aggrediva verbalmente davanti a nostra figlia se gli sbattevo in faccia il suo stato, balbettava le sue solite motivazioni “sono stanco, non ho fatto niente, sto benissimo” e passava agli insulti. Quante volte ho sopportato, ho ingoiato rospi su rospi tanto da riempire uno stagno intero, ho pregato tutti i Santi per un aiuto, ho fatto finta di diventare una Winx che faceva magie per non lasciar intendere nulla a Fernanda. Non potevo permettere che il mio sogno irrealizzato di vivere soltanto con i miei genitori non fosse concesso nemmeno a mia figlia. Sono andata avanti fino ai suoi tre anni poi è arrivata la resa ed era inevitabile.

Una domenica di fine estate portò Fernanda in pellegrinaggio in tutti i bar del centro, fino a sera, quando oramai il suo serbatoio era pieno e traboccante di alcool. Ho preso quattro cose, quelle essenziali, e ce ne siamo andate da mia madre. Lui è rimasto solo, con il suo vizio e le sue sgualdrine. Mentre attraversavo la piazza, incrociai gli occhi di un passante che mi gettò un’occhiata veloce e superficiale, ma mi sentii spogliata, smascherata, come se quello sconosciuto avesse capito tutto ciò che stavo vivendo. Spingevo quel passeggino pesante come una zavorra, con due o tre sacchetti della spesa appesi, contenenti le cose di prima necessità per la bambina, perlomeno essenziali per affrontare le prossime sei o sette ore.

Fernanda aveva assistito alle scene pi brutte che nessun ambino avrebbe mai dovuto vivere. Suo padre si trasformava quando era punto su vivo: insultava, urlava, sbraitava e poi piangeva; versava quelle lacrime così finte che qualche volta credevo avesse negli occhi un piccolo meccanismo generatore di lacrime.

Suonai il campanello nonostante avessi ancora le chiavi, mia madre mi aprì. Si trovò davanti me e tutta la mia angoscia e poco pi sotto la tranquillità di Fernanda che aveva preso tutto come un gioco. Le raccontai ogni cosa, non mi risparmiai nulla, non feci caso che anche mia figlia era lì, in braccio alla nonna. Fortunatamente la sua tenera età le aveva risparmiato la comprensione delle problematiche del suo amato genitore. Non avrei pi perdonato, non lo avrei più giustificato dalle sue colpe e dai suoi inganni.

Ci stabilimmo da mia madre e lentamente riuscimmo a conquistarci quella tranquillità che era un nostro diritto; guadagnammo i nostri spazi, non senza problemi perché mia madre aveva ereditato quella supremazia e padronanza del territorio tipico di mia nonna, ma arrivammo alla pace. Il mio punto debole era la notte, non tanto per l’acuirsi delle mancanze, quanto per l’affollarsi di pensieri, dubbi e ricordi che sopraggiungevano improvvisamente come un ufficiale giudiziario che suona alla porta di poveretti ancora ignari di tutto. Una notte riuscii a prendere sonno. In quel poco tempo che chiusi gli occhi, sognai mia nonna. Io e mia madre eravamo nello stesso letto mentre lei si trovava nella stanza accanto. Sentivo mio padre tossire forte, sembrava stesse male, ma mi preoccupai subito per mia nonna. Scesi di corsa dal letto e la raggiunsi, invitandola a venire con noi, di là. La trovai seduta sul letto intenta a infilarsi un paio di scarpe che non avevo mai visto; mi guardò e mi disse:- Ecco, sono quasi pronta. Sto venendo con voi. Sempre vengo con voi.- Mi svegliai con la bocca asciutta, appena sudata, mia figlia dormiva profondamente e guardai il soffitto.

Quel sogno era più vero della realtà. Ho compreso subito l’intento di Fernanda: aveva avuto il permesso di lasciarmi una sicurezza, di garantirmi la sua presenza e comunicarmi che non ci avrebbe abbandonato.

In poco tempo dalle finestre arrivò la luce del giorno; era un’alba rivelatrice, un chiarore che mi permise di vedere con nitidezza quello che erano stati i miei anni passati. Avevo combattuto contro i veri e propri mulini a vento, ero certa che le mie convinzioni fossero verità assolute e invece la vita, molto spesso, fa disgregare certezze come castelli di sabbia.

La mia lotta aveva compiuto un cerchio perfetto, mi aveva portato a destinazione nel punto da dove sono partita. Avevo finalmente raggiunto la mèta. Gli attori del mio spettacolo erano cambiati, tuttavia i ruoli erano rimasti gli stessi ma invertiti. C’erano sempre tre donne: la nonna, la madre e la figlia che il tempo ha fatto muovere e alternare come in una partita di scacchi. Tutto quello che avevo ostinatamente rifiutato nel corso degli anni, è stato la mia salvezza e il fatto di essermi trovata a chiedere aiuto alla mia stessa vita passata, è stato la prova del mio sbaglio.

Mia nonna si chiamava Fernanda e mia figlia anche.

Mi voltai verso di lei e la sfiorai:- Dormi ancora, è presto per alzarsi- le sussurrai- con questo nome che hai, dovrai combattere e proteggere chi ami, ogni giorno. Riposati e conserva le tue forze, ti chiami Fernanda-.

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1 commento »

  1. Buona lettura a tutti!
    Spero che sia di vostro gradimento. Lo spero tanto!

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