Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2020 “Il profumo di felce” di Alessandra Montali

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Buio. Mi manca l’aria. Un grido mi fugge dalla gola. Mi giro intorno, il cuore che pulsa nelle tempie. Un lampione si accende e lo vedo, è proprio Matteo, in camice bianco e stetoscopio intorno al collo. Barcollando mi affretto a raggiungerlo.

“Matteo… come fai ad esser qui?” gli chiedo

“Non sei felice di rivedermi, a quanto pare.” Mi risponde con quell’aria scanzonata.

Mi affretto a ribattere: ”Ma certo che sono contento…ma tu… non eri morto?”

“Uff… Giacomo sempre delicato eh? Lo sai che non voglio sentire quella parola. Non sono morto, me ne sono andato.”

Mi ricordo che Matteo non pronunciava mai quella parola e non voleva nemmeno ascoltarla. Una sua stranezza.

“Ma se io sto con te ora, cosa vuol dire che anche io sono m… che anche io me ne sono andato?”

Lo vedo scrollare la testa e sorridere.

 “Ti stanno operando e sono venuto a farti compagnia, fifone come sei!” mi spiega.

Lo sento ridere e mi passa un braccio intorno alle spalle. Non capisco davvero cosa stia accadendo, forse è l’anestesia che mi sta giocando qualche scherzo. Qualsiasi cosa sia sono felice di essere con lui. Matteo è sempre stato il mio migliore amico, il fratello che non ho avuto. Ci siamo conosciuti alle elementari, io taciturno, pensieroso, lui immediato e solare. Io delicato, lui poderoso. Lui rideva sempre, io piangevo spesso, anche quando ridevo. Lui medico, io professore di Filosofia. Eravamo agli antipodi, eppure da quel primo giorno di scuola non ci siamo più lasciati, o meglio lui ha lasciato me, quattro anni fa. Se ne è andato in silenzio, lui che del silenzio non sapeva nulla.

“Mi sei mancato da morire, Matteo.” Gli confido.

“Ancora!?”

“Ah giusto: mi sei mancato da matti.”

“Ecco, bravo.”

Lo abbraccio e ridiamo. Riconosco il dopobarba alla fragranza di felce, il suo preferito.

Si accende un altro lampione e mostra la piccola piazza del nostro paese, con le panchine di legno e la fontana di pietra bianca. L’acqua scende dalla sommità e si tuffa nella vasca in piccole gocce fitte e iridescenti. Non ci avevo mai fatto caso a quanto fosse bella. Matteo mi dà un colpetto sulla spalla e mi fa sedere vicino a lui, sulla panchina. Restiamo in silenzio per alcuni attimi, la sua mano stretta nella mia.

 “Matteo devo farti quella domanda, ne dobbiamo parlare.”

Lo vedo annuire. Devo sapere perché abbia preferito morire da solo, raccontando ai suoi più cari amici che lasciava il lavoro all’ospedale per trasferirsi a New York per dirigere un importante centro di ricerca oncologica. Quella domanda è la mia ombra da quattro anni.

“Mi sono accorto di essere malato quando era troppo tardi. Ho capito subito che non ce l’avrei fatta e non volevo far vivere a nessuno il dolore di stare accanto a chi aveva i giorni contati.”

Non riesco a trattenere le lacrime e Matteo mi porge un fazzolettino di carta.

“Eccolo, il solito piagnone!” Mi canzona.

Immaginavo fosse quello il motivo, Matteo è sempre stato di un altruismo esagerato, non si risparmiava mai né per i suoi amici, né per i pazienti. Metteva sempre gli altri prima di lui.

Lui ride e anche io gli vado dietro: rido e piango. Mi asciugo le lacrime e noto che anche il fazzoletto profuma di felce.

Mi faccio serio e lo rimprovero :“Non dovevi andartene senza dirmi la verità. Io ero il tuo migliore amico e tu lo eri per me.”

“Conoscendoti avresti pianto per un mese intero, per quanto è durata la malattia. Non sarei riuscito a consolarti… Sapevo di una cura sperimentale a New York. Era l’unica, piccola speranza che mi rimaneva non potevo non provarci.”
“Sarei venuto con te. Avrei preso l’aspettativa dall’Università, non mi avrebbero fatto problemi e…”

“Giacomo, ti avrei ucciso di dolore. Ora basta. Inutile parlarne.”

Resto in silenzio. Era una fredda  mattina di febbraio di quattro anni fa quando accompagnai Matteo all’aeroporto. Aveva voluto che ci fossi solo io. Sembrava felice. Prima di raggiungere il cancello ci eravamo stretti la mano senza dirci una parola. Lo vidi andar via, poi si fermò e ritornò sui suoi passi, anche io gli andai incontro e ci abbracciammo.

“Abbi cura di Debora” mi disse prima di sciogliersi dall’abbraccio.

A ripensarci ora, in effetti, quella frase mi era parsa strana. Mi chiedeva di occuparmi della sua compagna dopo che l’aveva lasciata. Lei sarebbe stata disposta a trasferirsi in America pur di stargli accanto, ma lui l’aveva messa alla porta dicendole che la sua priorità era quel nuovo lavoro. Non voleva altro. Le ero stato vicino subito dopo la partenza di Giacomo per l’America. Dopo il lavoro passavo da lei e alcune volte capitava che cenassimo insieme. Una sera mi aveva chiesto di telefonare a Matteo, desiderava ascoltare ancora la sua voce. Avevo preso il cellulare e l’avevo messo in viva voce, erano le 23:00 in Italia, a New York le 5 del pomeriggio. Dopo vari squilli Matteo rispose, aveva la voce impastata di sonno, così si era giustificato. Poche parole, ci disse che lavorava molto, faceva tante ore e si sentiva parecchio stanco. Un attimo prima di salutarmi, Matteo mi chiese come stesse Debora. Rimasi stupito da quella domanda e a Debora le si riempirono gli occhi di lacrime.

“Ma allora ancora tiene a me!” mi disse appena riagganciai.

“Sembrerebbe proprio così.” Commentai. I battiti del cuore erano accelerati e brividi di freddo mi percorrevano la schiena. Ero in uno stato di allerta e non sapevo il perché.

“Non capisco. Qualcosa  mi sfugge in questa storia. Prenoto subito un volo per New York e parto il prima possibile.” Mi disse con tono deciso.

Feci di sì con la testa e mi dissi che era un’ottima idea.

Quando Debora arrivò a New York tutto si era già compiuto. Riportò il corpo di Matteo a casa e per  me nulla fu più come prima.

———

“Che mi racconti di Debora?” quella domanda mi fa sobbalzare.

“ Sta bene… cioè è da parecchio che non la vedo.” Mi fermo e lo guardo negli occhi.

“ E?”

“C’è stato un bacio tra noi, dopo che tu… Mi sento in imbarazzo, scusami.” Gli confesso abbassando lo sguardo.

“Non esserlo. Sarei felice se vi metteste insieme.”

“Sono mesi che non ci sentiamo. Non credo che ci sarà altro tra noi.”

Matteo e Debora stavano insieme da poco più di un anno. Si erano conosciuti in ospedale, lei è un’anestesista. Erano andati subito a convivere nella casa di lei, e tante volte quando si usciva tutti insieme Matteo la prendeva in giro dicendo che si era innamorato di Debora perché abitava vicino all’ospedale e quel nuovo alloggio lo preservava dal prendere la macchina e farsi tutto il traffico della città. Anche Debora rideva e diventava tutta rossa, poi Matteo le prendeva il viso tra le mani e le dava un bacio sulla fronte dopo averle soffiato via la frangetta.

Matteo affonda una mano tra i miei capelli ricci  e mi fa l’occhiolino.

Lo guardo: è sempre bellissimo, alto e ben fatto, i capelli scuri lunghi sul collo e gli occhi grandi e blu. In comune tra noi solo l’altezza, ancora ricordo il professore di latino al liceo che, quando ci vedeva in piedi, ci chiedeva: ”Ragazzi che aria fa lassù da voi?”

“Tra poco ti risveglierai, l’operazione è finita.” Mi annuncia dandomi una pacca sulla schiena.

Le mani iniziano a  tremarmi. Hanno finito di rimuovere quella massa che era emersa dall’ecografia alcuni giorni prima. A breve avrei saputo la verità.

Matteo mi prende le mani tra le sue.

“Hai paura?”

Annuisco. Lo vedo alzarsi e andare verso il lampione, lo seguo con lo sguardo, poi mi alzo anche io e gli vado dietro. Si mette l’indice sul labbro e mi intima di fare silenzio. Sembra stia ascoltando qualcosa, tendo l’orecchio, ma non capto altro che il silenzio. Ogni tanto mi sorride, poi esplode in un grido di gioia.

“Matteo che c’è?”

“Ho ascoltato cosa si stavano dicendo i chirurghi che ti hanno operato. Tutto a posto. Hanno già fatto l’esame istologico: è benigno. Non dovrai fare né chemio, né radio, il piccolo tumore è finito nella spazzatura del giorno.”

Non dubito delle parole del mio amico, lo abbraccio piangendo. Ci stringiamo forte e sento Matteo singhiozzare insieme a me.

“Mannaggia a te e alle tue lacrime, Giacomo. Sei riuscito a far piangere anche a me.” Mi porge un altro fazzoletto e uno lo tiene per sé. Con la mano chiusa fa finta di darmi un pugno in faccia. Ridiamo tirando su col naso.

“Ora devo andare.” Mi dice in un sussurro.

Mi aggrappo al suo camice.

“Matteo, non posso restare con te e tu non puoi venire con me.”

“Non puoi fermarti ancora un po’?”

Lo vedo scrollare la testa e il solito sorrisetto ironico prende il sopravvento sulla commozione.

“Ti ho appena detto che non morirai.” Mi ribadisce.

“Hai pronunciato anche tu quella parola.” Gli ribatto.

“Lo vedi? Mi stai rincoglionendo, Devo proprio andare.”

Ci abbracciamo piangendo di nuovo.

Non voglio mandarlo via e come un bambino voglio essere rassicurato :”Mi passi a trovare ogni tanto?”

“No, Giacomo. Sono venuto qui, perché sapevo che eri spaventato, ma tra poco ti sveglierai e sarà tutto finito. Starai bene.“

Mi mordo il labbro inferiore, ho il viso bagnato di lacrime, continuo a tenerlo per il camice e solo adesso mi accorgo di quanto sia fredda la stoffa.

“Sentimi bene. Non farmi arrabbiare. Ricordati che non voglio vederti per i prossimi cento anni e tu non fare cazzate e non venirmi a cercare prima del tempo. Chiaro? Hai ancora tanto da vivere, amico mio, sii felice.” Mi mette le mani sulle spalle e mi spinge via. Lascio andare i lembi del suo camice.

“ Togliti dai piedi, piagnone” Mi ordina ridendo mentre una luce improvvisa fa sparire prima il lampione, poi  le panchine, la fontana e per ultimo Matteo. Allungo la mano e qualcuno me la stringe.

“Matteo?” chiedo con un filo di voce.

“No, sono il dottor Andrei. Si sta svegliando dall’anestesia, mi sente?”

Gli faccio cenno di sì. Ho il viso bagnato e il dottore mi sta asciugando gli occhi e le guance.

Mi dice che sono cinque minuti che piango, ma che non ho motivo per farlo perché l’operazione è riuscita, la massa è stata tolta ed è benigna. Mi dice che continuerò a vivere.

Per un attimo credo di rivedere il mio amico e sbattendo gli occhi gli dico :”Grazie Matteo, è come mi avevi detto tu.”

Poi ritorno a dormire.

Dopo due giorni di degenza mi dimettono, mi sento bene, ho solo i punti che mi tirano un po’ quando mi piego, ma sarà solo questione di una settimana. Controllo di aver preso tutto dall’armadietto e dal comodino. Non posso chinarmi, quindi metto dentro la mano e col palmo tocco il pianale del cassetto. Sento qualcosa di morbido, lo prendo e mi accorgo che è un fazzoletto stropicciato. Lentamente me lo porto al naso e lo annuso: sa di felce.  Le gambe mi diventano di burro e sono costretto a sedermi sul letto.

“Matteo.” Sussurro e chiudo gli occhi per percepire meglio quella fragranza..

Esco dall’ospedale e prima di ritornare a casa passo al cimitero. L’aria tiepida e il sole rendono il mio passo leggero, percorro il vialetto, giro a destra e poi a sinistra, salgo lo scalino e trovo Debora che sta mettendo fiori freschi nel vaso. Ci guardiamo perplessi.

“Ciao.” Ci diciamo all’unisono.

L’aiuto a mettere i fiori, ogni tanto le nostre mani si sfiorano. Ho la mente svuotata, non riesco a formulare un pensiero, né una preghiera. Usciamo insieme dal cimitero e ci avviamo al parcheggio.

“Come stai?” Le chiedo.

“ Un po’ meglio e tu?”

“Anche io.”

Rimaniamo a guardarci per alcuni istanti, poi lei distoglie lo sguardo per frugare nella borsa alla ricerca delle chiavi. Torna a guardarmi dopo averle prese.

“Giacomo… se non hai da fare stasera potremo cenare insieme… se non hai altro da fare…giusto due spaghetti per chiacchierare un po’”

Il cuore mi sale alla gola e la mente ritorna alle parole di Matteo.

“Molto volentieri, Debora. Alle otto stasera?”

La vedo annuire con un sorriso. Ci sfioriamo le guance con un bacio e ce ne andiamo.

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16 commenti »

  1. Straordinario racconto fantasy. Tiene col fiato sospeso fino all’ultima parola. Brava!

  2. Grazie Gaetano per il tuo commento! Felice ti sia piaciuto!

  3. Complimenti Alessandra, una bella storia di amicizia che continua oltre la morte. Tutti vorremmo rincontrare un amico o un parente che non c’è piu’ e l’idea che hai scelto è perfetta. Il racconto è scorrevole e trascinante fino alle fine, anche commovente. In bocca al lupo.

  4. Brava Alessandra, mi piace la tua storia. Mi piace pensare che i nostri cari ci sono ancora e ci proteggono.

  5. Grazie Marco, questo racconto è arrivato di getto così. Anche a me ha commosso quando lo scrivevo e tuttora quando lo leggo. Grazie ancora per il tuo commento.

  6. Grazie Pasqualina per aver lasciato un tuo commento. Felice che questa mia storia ti sia piaciuta.

  7. Racconto interessante. Mi ha fatto venire in mente il film “”Tous les soleils” di Philippe Claudel, il titolo italiano dovrebbe essere ” Non ci posso credere”, bellissima anche la colonna sonora.
    Ciao.

  8. Un racconto veramente bello e toccante. C’è profumo di speranza, quel profumo di felce cosi intenso e persistente che pervade tutta la storia. Complimenti anche per il titolo così azzeccato ed evocativo. Piaciuto moltissimo.

  9. Equilibrio perfetto nella costruzione e una positività di contenuti che rincuora e solleva l’umore… Ci vuole una grande sensibilità e un tocco speciale per trattare il tema della malattia e dell’amicizia senza scivoloni retorici… Bravissima Alessandra!!

  10. Grazie a Piero Orlando per il suo commento. Ho una forte curiosità di vedere il film di cui mi parla. Mi metterò a breve sulle sue tracce.

  11. Grazie Monica per le tue parole, Mentre lo scrivevo mi sono emozionata e commossa, perchè come per ogni cosa che si scrive, c’è sempre un piccolo riferimento a se stessi.

  12. Patrizia Birtolo, tesoro cara, che bello trovarti anche qui. Grazie per le tue care parole. Ho bisogno di speranze, sempre. Non si deve mai interrompere la speranza e questo profumo ne è la prova. Ti abbraccio.

  13. Di solito non mi commuovo leggendo, ma il tuo racconto …
    Complimenti.

  14. Grazie Roberto. La commozione è un forte sentire, onorata che tu l’abbia percepita.

  15. Sono venuta or ora a leggere il tuo racconto vincitore, Alessandra! Purtroppo questo anno non sono riuscita a leggere e commentare quanto avrei voluto. Bellissimo, commovente, ben scritto! Tanti complimenti e benvenuta tra i vincitori! Vedrai che ti piacerà questa grande famiglia
    🙂

  16. Che bella amicizia! Mi piace l’idea, tutto nell’arco di un’anestesia, ma non è un sogno, la vita che continua

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