Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2020 “Punto e virgola” di Silvia Roncucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Gli scrittori di oggi. Amano molto. Forse troppo. I periodi brevi. Di due parole. Massimo tre. Il coraggio di ricorrere all’ipotassi, magari abbinata a una corretta punteggiatura, alternando le virgole agli ancor più rari punti e virgola, ormai scomparsi a favore del punto fermo, viene dai più interpretato come un mezzo di espressione anacronistico, che li riporta indietro di due secoli. O di uno, a essere ottimisti.

Certe volte ho il sospetto che non siano abbastanza onesti da ammettere di non saper usare l’ipotassi. Che neanche sappiano cosa sia, l’ipotassi. Che temano si tratti di qualche malattia contagiosa.  «Sai che mi è successo?» «No, cosa?» «Mi sono preso l’ipotassi» «Ma che scherzi? E come hai fatto?» «Boh, forse ho letto un po’ troppa roba vecchia…» «Meno male che non si attacca» «Eh sì. Meno male». Ritornando alla punteggiatura: io non dico di scrivere dieci pagine di seguito fitte di caratteri che magari illustrino situazioni surreali in cui il protagonista si trova invischiato non si sa bene come e già di per sé non si capirebbe quel che succede con un uso corretto dei segni d’interpunzione figuriamoci se non ce n’è alcuno di virgole neanche a vederne punti manco per sogno lasciamo stare il punto e virgola che nemmeno più esiste vedi sopra tenendo il lettore non solo con il fiato sospeso ma pure facendogli prendere una sincope se non ti sbrighi subito a inserire qualche segno di punteggiatura proprio come sto facendo io ora e come farebbe con una sapienza che solo lui ha e dunque noi altri evitiamo per favore di imitarlo il buon José Saramago.

Ma se proprio di originalità vogliamo parlare, di incipit con frasette spezzate di due, più spesso una parola – e qui calzerebbe a pennello una diapositiva di Umberto Eco che si rivolta nella tomba come faccio io nelle peggiori notti d’insonnia – ne sono pieni gli scaffali di tutto il mondo. Dunque non mi pare siano sintomo di originalità. «Senti qua cosa ho scritto» «Leggi pure» «La tipa era lì… e non sapeva quanto avevo voglia di fottermel*, cazz*. Che ne pensi?» «Uhm… non saprei». Anche l’uso di parole volgari abbonda nei prodotti degli autori di oggi. Ma io a questa cosa mi voglio ribellare, fancul*. Perché non accetto che questi stronzissim* scrittori pensino di essere all’avanguardia usando le parolacce, cazz*. In quanto già certi fottutissim* autori di quasi cinquanta anni fa lo facevano, e che cazz*. E ora come ora, un Charles Bukowski, ad esempio, direbbe loro di andare tutti a farsi fotter*. Perché non sono per niente originali, sti stronz*. Mentre io direi loro di usarle pure le parolacce, ma quando ce n’è bisogno. Non come segni d’interpunzione. E che diamine (pardon: cazz*). Che dire poi di chi ama tanto esprimere un senso di sovrappensiero… vaghezza… indecisione… continuando a usare questi puntini di sospensione… che a me infastidisce vedere scritti nei messaggi sul telefonino… figuriamoci sulla pagina di un testo che vorrebbe essere letterario… che se li usa Céline va bene… ma tutti gli altri che non sono Céline devono farsene una ragione… tornare alle vecchia punteggiatura… che con tutti questi puntini… sembra che invitino il lettore a riempire uno spazio… con qualche carattere da aggiungere a piacere… che vi giuro l’ho visto di recente in un libro di uno stravenduto autore… l’invito a riempire gli spazi da lui lasciati vuoti nel testo… sto cerchiobottista che nasconde con la maschera di un falso altruismo verso chi legge la mancanza d’autentica ispirazione… «Dai senti questa, è davvero forte!» «Che aspetti, leggi» «Lui la guardò con i suoi occhi di brace, poi le strinse la mano come fosse un uccellino caduto dal nido. Bella no? E’ la vita romanzata di Cristoforo Colombo. Quest’anno cade l’anniversario della sua morte». «Sì… bella. Originale, soprattutto». Vogliamo parlare di tutte le espressioni ormai incrostate tra le piaghe delle letteratura che continuiamo a leggere, senza capire perché uno si possa ancora permettere di scrivere ‘occhi di brace’, ‘bianco come il latte’, ‘un brivido gli scorse lungo la schiena’, ‘quando lui la guardò lei si sentì avvampare’, senza essere sottoposto ad amputazione immediata delle mani affinché non gli venga più in mente di tracciare un qualsivoglia segno grafico su una tastiera, un foglio, una tavoletta ricoperta di cera? Passando ai temi, fermo restando che ognuno è libero di parlare di ciò che vuole, che conosce, che possa meglio incontrare il gusto del pubblico, una cosa su tutte puzza di mercificazione della letteratura: la scelta del tema in base alla moda o alle ricorrenze speciali. Ricorre l’anniversario della nascita dei tortellini? Bene, non mancheranno fiction ambientate a Bologna sulla storia di tortellini e della pasta fresca tutta, capi di abbigliamento sbarazzini tempestati di gnocchetti piuttosto che delle solite banali righe o pois, libri che spiegano l’origine dei ravioli con dispute tra puristi italiani e sostenitori del primato cinese, e romanzi d’amore dove i protagonisti, invece di passarsi fragole o panna da una bocca all’altra, prenderanno a morsi congiunti carnosi tortelli maremmani. 

E così vale per l’anniversario di nascita morte e miracoli di Cristoforo Colombo, Michelangelo, Modigliani, Newton, Pascal, Totò, La Sora Lella etc. Permettetemi di aggiungere che, essendo una donna, ci sono due temi della letteratura femminile che a mio avviso andrebbero banditi. «Ho avuto un’ideona!» «Dimmi» «Visto che ti lamenti tanto di non riuscire a pubblicare, perché non scrivi un bel romanzo d’amore ambientato a Parigi? Aggiungi anche un po’ di roba alla famolo strano, e vedrai che successo!». «Toh guarda. Non ci avevo mai pensato». Il primo sono le storie sentimentali ambientate a Parigi. Dove un lui e una lei si incontrano a Parigi, poi vengono divisi dal destino a Parigi, inviati dallo stesso destino altrove – di solito a New York e/o Londra – per poi essere di nuovo riuniti dal loro prevedibilissimo amico destino proprio lì: a Parigi. Io Parigi la vieterei come sfondo per un romanzo. Va bene qualsiasi altro luogo, da Civitella Marittima (ridente località in cima a un colle in mezzo al nulla nella provincia di Grosseto), a Bahawalpur in Pakistan (trovato or ora per caso digitando ‘Asia’ su Google Maps e scegliendo la prima località che il mio occhio ha incontrato), al circolo polare artico (vuoi mettere una storia d’amore ambientata al circolo polare artico piuttosto che a Parigi? Con quel freddo c’è sempre una scusa per un bicchiere di vino, un abbraccio che ti scaldi, e il letto – meglio con la coperta termica – non può che essere il gradino successivo). Le donne legate, ossia la letteratura erotica dozzinale, sono il secondo. Non parlo dei testi erotici di autrici come Almudena Grandes o Anaïs Nin, da cui dobbiamo imparare tutti noi. Parlo delle donne che scrivono di altre donne che però non potrebbero scrivere un bel niente perché si ritrovano legate, imbavagliate, frustate, sodomizzate. Che se anche le loro storie fossero redatte con tutti i crismi, rimarrebbe il dubbio sull’opportunità o meno di parlarne. Noi donne ne abbiamo subite anche troppe nel tempo per poterci permettere di scrivere – e leggere – storie di donne che subiscono, che siano consenzienti o meno. Sul contrario, vale a dire se sia giusto narrare storie di dominatrici provviste di frusta e legacci vari, ma perché no mettiamoci pure una graticola, con cui martirizzare i loro compagni peggio fossero dei novelli San Lorenzo, mi riserbo il diritto di pensarci ancora un po’su. Detto ciò, non voglio di certo montare una polemica sterile e invidiosa sulla letteratura di oggi. Fortuna vuole che qualche tempo fa un amico fidato abbia pungolato il mio scetticismo fornendomi una lista di autori contemporanei degni di considerazione e che proprio ora stia leggendo lo splendido libro di uno di loro. Il signore sa benissimo cosa sia l’ipotassi, la punteggiatura, l’originalità dello stile senza cadere nell’egocentrismo o nell’incomprensibilità, l’equilibrio tra microstoria e macrostoria, l’arditezza di scegliere temi scomodi o poco frequentati. Complimenti a lui. Quanto a me che sto scrivendo questa facezia, Dio solo sa quanto sia forte il senso di inferiorità che provo. Ma è un dolore piacevole il mio, come quello di un allievo che ammira il maestro, sente il divario tra di loro e la voglia di accorciarlo lo sprona a migliorare. «Leggi questa ora» «Non ho voglia. Lo sai che leggere le cose altrui interferisce con la mia creatività» «E dai, senti…Cominciai ad amarla come un essere umano, come un groviglio miracoloso, unico e mutevole di colpe e virtù: parte bambina, parte donna, parte dea, non più affidabile di un righello moscio. Mi farei prendere a frustate per imparare a scrivere così» «Ah! Hai visto che anche a te piacciono le frustrate?» «E’ un modo di dire…» «Come no. Proprio un modo di dire». Che non si legga questa dichiarazione di goduria per la mia inferiorità come un’ammissione di masochismo; ciò non mi spingerà di certo a inventare la storia di un’autrice alle prime armi che si fa prendere a frustate con una gatta a nove code dal suo arciaffermato autore preferito mentre inneggia all’uso dell’ipotassi! E vi prego di non chiedermi di farlo… sarebbe troppo imbarazzante per me, visto che rientro nella categoria degli scrittorucoli a tempo perso borghesotti che lottano costantemente contro il fatto di esserlo senza riuscire a smettere di esserlo. Dunque non sono. Proprio tutti così male. Questi autori di oggi. Basta cercare. Tra gli scaffali. Magari abbandonare. Le strade battute. Fare la fatica. Di aprire un libro. Senza pregiudizi. Leggere le prime due pagine. Che si sapranno. Spiegare benissimo. Da sole.

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26 commenti »

  1. Ma insomma! Usare la parola ipotass* in un sito dove ci sono racconti per bambini! Dove andremo a finire? Queste sono cose brutte, e non è vero che non si attaccano: io l’ho presa al liceo da una studentessa che sembrava innocente e invece era piena di subordinate e congiuntivi! Mi hanno dovuto portare dal medico che mi ha prescritto cinque anni di partite allo stadio in curva a orecchie ben aperte. E dicono che non si guarisce piu’, rimane in forma subdola e latente. Quindi bambini attenzione: non accettate punti e virgola dagli sconosciuti!  : )
    Bravissima Silvia: felicemente scritto, originale e divertente!

  2. Facezia originalissima. Pungente. Sarcastica. Autoironica… che fa riflettere con il ‘sorriso sulle labbra’ sulle caratteristiche i modi gli stili i temi ecc ecc di certa letteratura contemporanea che inonda gli scaffali delle librerie biblioteche case editrici ma non sono proprio tutti così male questi autori di oggi bravissima Silvia basta cercare tra gli scaffali magari abbandonare le strade battute fare la fatica di aprire un libro senza pregiudizi leggere le prime due pagine che si sapranno spiegare. Benissimo. Da sole.

  3. Grazie Marco. Ho il timore che l’ipotassi sia una di quelle malattie che, quando le hai prese, non te le toglie più di torno nessuno. Che ci vogliamo fare? Se scopri una cura, fammela conoscere! Saluti e buona scrittura 🙂

  4. Cara Silvia, non si fa! Critica l’assenza di punteggiatura sopprimendo la stessa e inducendo il lettore ad un colpo di fiato che ad un tratto si esaurisce e… E poi tutto il resto!!! Scherzi a parte, mi è piaciuto molto: ironico, autoironico, saggio e furbo. Questi sono gli aggettivi che mi vengono subito in mente. Forse anche “panoramico”, riassumendo un panorama letterario molto attuale ;). Complimenti e Benvenuta nella rete!

  5. Criticare* (benedetto correttore)

  6. Bello, divertente e, concordo con Silvia, furbescamente autoironico. Molto divertenti anche i commenti.

  7. Mi fa piacere che questo racconto umoristico dia vita a commenti altrettanto umoristici :). Ora aspetto qualche osservazione/critica costruttiva/consiglio. Grazie!

  8. Davvero carino, arguto e divertente. L’unico appunto che mi sento di fargli è che non rispetta molto la “forma” del racconto. Magari potrebbe fare da spunto per una storia vera e propria, inserendo per esempio un dialogo tra due aspiranti autori che si incontrano?

  9. Grazie Tatalla, si infatti non si tratta di un racconto nel senso stresso, con la classica situazione iniziale, modifica dell’equilibrio, ritrovamento del nuovo equilibrio. Sui dialoghi ti do ragione, ne ho già scritta infatti una versione più lunga dialogata. Grazie!

  10. Molto originale, pungente e ironico! Però ora sono troppo curiosa… la storia d’amore in quel di Civitella Marittima… ce la racconterai? Naturalmente in un crescendo di ipotassi… Brava Silvia!

  11. Grazie Claudia, potrebbe essere interessante ambientare una storia d’amore e morte a Civitella Marittima, la vicenda di una novella sventurata Pia dei Tolomei vittima del violento marito Nello Pannocchieschi, signore di Maremma. Ci penserò! Eros e thanatos sono temi che tirano da sempre, no :)?

  12. Cara Silvia, ho riso molto leggendo il suo sfogo. Grazie.
    E d’altronde, come darle torto. Io l’ipotassi l’ho presa proprio a Parigi: ero rimasta legata e faceva un gran freddo!

  13. Grazie Claudia per il commento. Ma insomma, anche tu farti legare nuda a Parigi… che idea malsana hai avuto! A Civitella Marittima fa più caldo, è pure vicino al mare: avresti dovuto farti legare lì…:)

  14. Divertente, apparentemente “leggero”, invece è ricco di spunti di riflessione, è colto.
    Mi chiedo, però: che libri leggi? 😀

  15. Ciao Antonella, come avrai capito il mio ‘racconto’ non vuole essere criticone, ma dire qualcosa di vero e qualcosa di esagerato per ottenere un effetto umoristico! Io leggo di tutto, alternando classici e moderni. Di recente ho letto Francesca Melandri e subito dopo di nuovo Céline e poi Rosella Postorino a cui ho fatto seguire Kurt Vonnegut (di cui ho citato un passo nel racconto, senza menzionarlo) e poi un noir di Gigi Paoli e ora sto leggendo Claudia Durasanti. Credo che si debba leggere di tutto per farsi venire ‘il gusto giusto’, soprattutto mai scordarsi dei classici, ma neanche disdegnare i moderni. Concordi?

  16. Il racconto mi è piaciuto sia per i contenuti che per il modo in cui è scritto. Concordo con gli apprezzamenti che ti hanno fatto nei commenti sopra, per cui non mi ripeto.
    Personalmente i periodi brevi mi piacciono, specialmente come usa Aghota Kristof. Naturalmente rimango affascinato anche dalle spire di Saramago.

  17. Grazie per il commento Giuseppe. I periodi brevi piacciono anche a me, quando servono. Un romanzo di soli periodi brevi mi snerva (e mi fa venire il singhiozzo), mentre uno di soli periodi lunghi mi stanca (e mi fa venire la tachicardia). Non ho mai letto Aghota Kristof (ma si chiama davvero così? O vuole assonare con l’Agata giallista?), però ora che mi hai messo nell’orecchio questa pulce me la vado a spulciare!

  18. Cosa dirti se non quello che gli altri hanno già detto? Un racconto davvero molto originale, ironico, divertente. Un testo diverso, che effettivamente fa riflettere sulla scrittura in generale e sulla propria, con un occhietto un po’ più critico, in particolare. Brava Silvia!

  19. Un flusso di pensiero che dimostra quanta libertà conceda la scrittura quando la si sa padroneggiare bene come fai tu. Ottimo lavoro, complimenti.

  20. Hai una bella scrittura, nascondi dietro l’ironia un messaggio tutt’altro che banale… ; , .
    Ammetto che quando hai citato Civitella Marittina, dove ho lavorato, hai catturato ancora di più la mia attenzione.

  21. Messaggio per Marcello: scherzi a parte, Civitella Marittima è proprio un bel paesino, tranquillo, isolato e dove si magia e si beve pure bene (consiglio il vino Montecucco a tutti i lettori e gli scrittori, che si sa, alcool e scrittura vanno a braccetto). Messaggio per Monica: purtroppo nel copiare il testo dal mio documento alla pagina del concorso non hanno funzionato alcuni a capo, quindi ci sono momenti in cui il testo sembra molto più flusso di coscienza di quanto non sia, comunque grazie per i complimenti!
    Buon lavoro a tutti.

  22. Un racconto divertente da leggere, che è anche un’arguta invettiva contro la cattiva scrittura. Specialmente quella che si risolve in uno sterile tentativo di imitare più grandi maestri. Molto utile per stimolare, in chiunque scriva o voglia approcciarsi alla scrittura, un sano momento di autocritica. Da leggere, rileggere e farne tesoro 😉

  23. Grazie Giada, troppo buona! Peccato che l’impaginazione del racconto faccia un po’ troppo ‘flusso di coscienza’ quando non volevo che lo fosse. E vabbè, starò più attenta la prossima volta!

  24. Ottima scrittura, si legge con il sorriso soprattutto nella prima parte, dove ho adorato le “critiche” descritte con lo stile citato in quel momento. Un racconto sagace, colto e pungente al punto giusto, complimenti!

  25. grazie Davide, troppo gentile!

  26. Qui la punteggiatura è tutto, ed è un ritmo continuo che tieni fino alla fine, una lettura serrata che conquista, brava davvero!

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