Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2018 “Donna di Carta” di Valeria Di Tano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

In una piazza così affollata non può esserci pericolo, non può succedere qui.

Guardo verso l’alto, cercando di intuire, dal colore del cielo, se sta per piovere: probabilmente sì. Il grigio ha rubato il posto all’azzurro e le nuvole sono tutt’altro che candide e soffici, come nelle poesie: sembrano pezzi di stoffa stropicciata, stracci abbandonati e sporchi.

Qualche gocciolina mi bagna i capelli e con un gesto automatico sollevo il cappuccio dell’impermeabile.

L’acqua cade improvvisamente  a secchiate, le persone che mi circondano corrono, mettono i piedi nelle pozzanghere, schiaffeggiano l’acqua, schizzano senza badare agli altri, come storditi dalla sorpresa. Si muovono tutti a testa bassa, con le mani raggomitolate a proteggere telecamere e telefoni, mentre io invece cammino, perché non ho nessuna voglia di affrettare il momento della fine, anche se così attiro l’attenzione e non è di certo un bene, nella mia posizione.

Entro. La coda di turisti si è smaltita in pochi secondi: dal momento che non c’è un ingresso da pagare, tanti si sono rifugiati al riparo per sfuggire al temporale, e per la maggior parte di loro, come anche per me, questo è un posto al chiuso come un altro.

Fuori si è scatenata una tempesta silenziosa, senza tuoni, senza vento, proprio come quella che agita me e mi tormenta, senza lacrime, senza rumore.

È la prima volta che entro a Notre Dame, e come tutti gli altri visitatori strofino gli occhi con il dorso della mano, d’istinto, per schiarirmi la vista, per cogliere qualcosa nel buio in cui sono immersa. A poco a poco intravedo il perimetro, ma ci vogliono un paio di minuti perché riesca a distinguere i dettagli.

Sembra sia stato previsto un percorso obbligato perché all’interno fiumi di persone si rivolgono nella stessa direzione, calmi e ordinati, con l’andatura regolare e lenta tipica della curiosità priva di passione: riconosco gli impermeabili sgargianti, zaini e cappellini che si sono accalcati con me all’entrata, e che ora vagano, osservando ogni cosa con lo stesso interesse sciatto e imbambolato.

Con un gesto di sfida, imbocco il corridoio alla mia sinistra, contrastando la corrente di persone che mi urtano e mi schivano con aria infastidita. Stanno pensando che dovrei, come tutti, seguire le indicazioni delle frecce rosse, sarebbe più facile.

C’è odore di legno, cera e incenso, un misto intenso e pesante, che evoca pensieri invadenti, di storia, mistero e religione. È questo che si percepisce in modo quasi solido: severità, rigore fondato sulla paura, una spiritualità padrona e matrigna delle anime. La sensazione di essere schiacciati è amplificata  dal fatto che non c’è luce: ne penetra troppo poca dai rosoni colorati, troppo in alto per illuminare davvero; ci sono centinaia di candele accese, che si consumano quasi dolorosamente tra i bisbigli e i passi dei turisti, ma non bastano a ridurre l’atmosfera cupa e irreale.

Nonostante sia tutto così opprimente, qui mi sento ancora al sicuro. Ho smesso persino di guardarmi intorno, di cercare un volto noto tra quelli che incrocio, con il timore di riconoscere uno sguardo, un sorriso e di non vedere più nulla dopo.

Sono certa che da qualche parte qualcuno mi sta aspettando con la risoluta calma di chi sa che le cose vanno sempre come devono, come è scritto.

Se credessi in Dio questo sarebbe il momento giusto per appellarmi a Lui, invocare la sua clemenza, promettere, giurare. Ma non ho più interesse per il destino della mia anima da molto tempo, ormai, e soprattutto non sono abituata a chiedere perdono o implorare pietà.

Credo nei miei pensieri, nel mio corpo, nelle cose che posso ottenere con le mie forze, anche se stavolta non sono così presuntuosa da sperare di potermi salvare. Stavolta qualcuno ha scritto il mio nome nel posto sbagliato, e la mia ora è arrivata.

In ogni caso, adesso sono serena, rassegnata ma fiera. E impercettibilmente sollevo il mento, con un gesto di sfida che non si addice al luogo in cui sono.

Mi ci vogliono meno di venti minuti per completare la visita di Notre Dame, anche se non saprei descrivere quello che ho visto; in ogni caso ora è più importante che io finisca di raccontarvi la mia storia, non c’è tempo per altro.

Fuori la pioggia ha rallentato il ritmo e sento picchiettare sui vestiti piccole gocce dispettose ma non troppo fastidiose. Il mio albergo, per fortuna, è vicino.

Salgo in ascensore con una coppia straniera, che a prima vista mi sembra molto male assortita: lui è grasso, semplice e dimesso, lei sfoggia abiti eleganti e ha un aspetto curato in ogni dettaglio. Dal tono delle parole che si scambiano, sussurrando suoni simili a starnuti, capisco che si stanno domandando cosa ci faccio in albergo da sola, forse fanno ipotesi sui rumori che sentono provenire dalla mia stanza. La donna, più perspicace e maliziosa, ha capito e cerca di spiegare al compagno con cenni ed occhiate. Ridacchiano entrambi, forse sono ubriachi, di certo più felici di quanto avrei scommesso.

Per quanto riguarda la mia professione, esistono in ogni lingua parole esplicite che potrebbero dissolvere ogni dubbio, mi pento di non conoscere la loro e di non avere alcuna voglia di fare conversazione.

Entro in camera come al solito, con la sicurezza di chi è abituato a frequentare stanze d’albergo, spazi stretti e falsi, senza personalità e fantasia.

Per stasera non ho clienti.

Mi spoglio distratta, senza badare ai gesti che compio: eppure, li ho studiati così bene che anche di fretta, senza attenzione, senza pubblico, sono movimenti seducenti.

Penso per un attimo che avrei dovuto prendere appuntamenti: sono bella stasera, con gli occhi pieni di luce e desiderio. Mi attraversa la mente il pensiero che se fosse un uomo potrei provare a conquistarlo o almeno a scardinare i suoi piani: tante volte ho manipolato, convinto, confuso gli uomini, per ottenere i miei scopi.

E forse è questo il punto: il Creatore si è stufato della mia perfezione, della mia arroganza. Non sto parlando di un dio, ma di colui che ha da sempre tra le mani il mio destino, la persona che mi ha dato la bellezza, il fascino, l’intelligenza, che mi ha reso quella che sono. L’unico uomo che non mi ha mai chiesto né sesso né amore, l’unico che ora mi importerebbe sedurre perché è il solo che potrebbe salvarmi.

Ma credo di essere diventata troppo ingombrante anche per lui, ha bisogno di sacrificare me, una volta per tutte.

Lo conosco: so che non lo farà di persona, manderà qualcuno al posto suo, perché è abituato ad agire così, senza nessun coinvolgimento. Spietato.

Mi fido sempre del mio istinto, sento che accadrà stanotte, e in quel momento voglio essere perfetta: indosso una camicia da notte profondamente scollata che lascia intravedere le mie forme, un tessuto talmente lieve ed impalpabile che ne fa addirittura trapelare il calore. Spazzolo i capelli lunghissimi, mi accarezzo una spalla, avverto il contatto con la pelle che tanti hanno sfiorato: riconosco la sensualità del gesto e l’eccitazione che provoca.

Un uomo sa essere prepotente quando stringe un corpo che ha pagato: troppe volte ho chiesto di allentare la stretta, troppe i miei lamenti sono stati interpretati come inviti ed incitamenti, troppo spesso alla fine, sotto quelle carezze pesanti, la carne si è sciolta come burro, e io mi sono persa negli abbracci di uomini di cui non conoscevo nemmeno il nome.

Ma non sono ipocrita, in fondo mi piace: è una professione per la quale serve preparazione, tecnica, esperienza. E io faccio bene il mio lavoro, chiedete in giro.

Il suono del telefono che tengo nella borsetta mi fa trasalire, è la conferma che il momento è vicino. Smette di suonare appena lo afferro, non controllo neanche da dove proviene la chiamata, perché ora non ha più importanza.

Potrei trovare il modo di scrivere da qualche parte il nome del mio assassino. Ma io morirò comunque, e devo fare la mia parte fino in fondo, ormai.

So già tutto: mi troveranno stesa a terra, in una posa elegante e composta, senza dolore né rabbia sul viso, niente che corroda i miei lineamenti perfetti. La camicia da notte scivolerà lungo le spalle abbandonate, stringerà il mio corpo in un ultimo abbraccio di seta. Dopo tanti pettegolezzi, tante chiacchiere, dopo essere stata al centro di scandali, minacce, rivelazioni  e ricatti sarò, ancora una volta, sulla bocca di tutti.

Sarà un’uscita di scena memorabile, me la deve, merito almeno una morte impeccabile.

Quando ne faranno un film, il mio ruolo sarà interpretato da una attrice bellissima, che chiederà un compenso da record per il suo cameo. Guardandola, pensate a me, per un attimo, a quanto di vero e concreto c’è anche in una donna fatta solo di carta e parole.

Qualcuno ha appena bussato alla porta. Devo aprire, anche se così scoprirò il volto di chi mi ucciderà. Non posso più evitarlo.

Se siete troppo sensibili, voltate pagina ora. Siamo solo all’inizio del giallo e da qualche parte, seduto ad una scrivania dozzinale, alla luce di una lampada di design, uno Scrittore ha deciso che il mio personaggio è costretto a morire, perché il suo protagonista possa indagare.

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3 commenti »

  1. Complimenti, scrivi benissimo ed è un vero piacere leggerti. Le sensazioni della protagonista del racconto passano rapidamente al lettore attraverso un uso essenziale, a volte crudo, della parola, ma mai banale. Il racconto scorre via velocemente, fino alla scoperta finale di un personaggio pirandelliano in cerca d’autore.

  2. Grazie Les, per me si tratta del primo commento che ricevo alla mia prima prova di scrittura in un contesto di questo genere. Non ti nascondo che le tue parole mi hanno emozionata. Grazie davvero.

  3. Mi associo a Les UBU, Valeria, padroneggi la penna alla perfezione rendendo la lettura avvincente e piacevole; la fine del racconto, poi, è deliziosa.

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