Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “Ovunque” di Fabrizio C. Carta

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Ci sono domande che nascono per caso, altre fatte con un intento preciso.

Poi ci sono quelle che non andrebbero mai fatte e in questo bar afoso mi ritrovo a dover rispondere proprio ad una di quelle.

Fuori piove, è un pomeriggio d’estate e sono in compagnia di un’amica. Si parla del niente e di tutto e chissà perché si è sentita in dovere di chiedermelo.

«No, non lo sento da un bel po’…», rispondo mentre cambio posizione. Accavallo le gambe e il ginocchio fa traballare il tavolino in ferro battuto. Se avessi risposto con una frase fatta, del tipo “non mi va di parlarne”, sono sicuro che avrebbe dato il via ad un’altra serie infinita di domande. In certi casi la soluzione più scomoda è quella che ti salva dall’imbarazzo. Sbagliavo.

«Ma è successo qualcosa?», chiede con tono preoccupato. I suoi occhi sono sereni e vorrei tanto vedere il mio sguardo. Non mi rendo conto di essere un fascio di nervi fino a quando non vedo il pugno chiuso sbiancato dallo sforzo.

«No, semplicemente non so che fine abbia fatto…».

Non voglio essere scortese ma se continuiamo su questo argomento so che lo sarò. «In realtà non so neanche il momento esatto in cui è scomparso. Semplicemente, il giorno dopo, non c’era più…e così quelli a seguire…». Mi costringo a sorridere, mantenere un tono di voce calmo e rilassato ma è difficile. Ho caldo, le pulsazioni sono aumentate e la sala sembra ogni secondo più piccola. Nascondo possibili smorfie delle labbra dentro il bicchiere di tè ghiacciato ma la piccola pausa non le impedirà di concludere la sua arringa di domande. Le vedo assemblarsi nella sua mente mentre mi studia. Se mi conoscesse bene cambierebbe argomento, mi lascerebbe in pace con una battuta insulsa e perfetta. Peccato che lei mi conosca bene e che conoscesse anche lui, ed è per questo che indaga rispettando i miei tempi. In realtà lei mi conosce così bene che sa che ci sono pensieri ai quali, ogni tanto, ho bisogno di dar voce.

«Non prenderla male, eravate amici. Se tu fossi arrabbiato con lui lo capirei, credimi. Darebbe fastidio anche a me se fossi nella tua situazione», dice accarezzandomi le dita e un un masso si schianta sul mio stomaco. Lascio là la mano, deglutisco e non ascolto il cuore che batte. Mi gir  la testa, il turbine di pensieri nascenti mi sta innervosendo e rattristando.

Eppure, mi sento in dovere di difenderlo. Almeno questo glielo devo.

«Non sono arrabbiato con lui. Penso di non esserlo mai stato. È un ragazzo che non ama seguire la corrente delle vite altrui. È risicato a crearsi un suo modo personale di vivere, fatto di sbagli e cadute ma alla fine si è sempre rialzato. Mi è stato vicino e si è fatto amare da persone che non avrebbe mai conosciuto senza un piccolo aiuto. Per me ha fatto tanto ma non gliel’ho mai detto, a lui non importava sentirselo dire, credo…», mormoro sempre più avvilito anche se l’ultima frase si discosta dalla realtà. A lui piaceva ricevere complimenti o certezze ma non le richiedeva mai se queste non arrivavano. Sembrava pensasse alla tranquillità delle altre persone e lo vedevo, lo percepivo che ci rimaneva tale ma era un disturbo che affiorava dalla sua espressione in pochi istanti di agonia. Il tempo che si concedeva per essere umano, un po’ fragile, un eterno bambino alla ricerca di attenzioni eppure così maturo da sforzarsi di non pretenderle. La sua filosofia di vita è sempre stata quella del quieto vivere ed è una delle ragioni per cui non ho mai fatto nulla per ritrovarlo. Sono elucubrazioni mentali che non mi va di dire a voce alta, le tengo per me e aspetto le ultime – spero – domande in proposito.

«Quanto tempo è passato? Da quanto non lo senti?», domanda sfilando una sigaretta dal pacchetto, operazione che anticipa un cambio di scenario.

«Lasciami pensare… è difficile…». Ho gli occhi pesanti e la voce ha un’intonazione distorta, carica di lacrime ingoiate. «…quattro anni, credo»

«Dio…», mormora lei. «È tantissimo… ma non scrive più in nessun social?»

«No. Tutto si è fermato. La sua collezione di mezzi d’informazione al mondo ha avuto lo stesso istante di silenzio. Tutto si è fermato. Nessuna foto, nessun commento, nessuno scritto da parte sua. Solo rari messaggi di saluto da amici che col tempo è riuscito a coltivarsi nonostante le sue scarse aspettative di successo. In realtà sbaglio anche in questo. Lui raramente cercava d’instaurare un’amicizia con qualcuno, non gl’interessava. Aveva una filosofia personale sulla gestione delle vite altrui. Non si vergognava di essere un solitario e pensava di non essere in grado di entrare nel cuore delle persone… sì, si sbagliava completamente. Con la sua carica artistica e un pizzico di cinismo ben dosato, quando non esplodeva in maledizioni lanciate contro il mondo intero, lui era gentile, disponibile e affascinante. Ammaliava inconsapevolmente con le poche parole che riusciva a dire prima di rendersi conto di essere al centro dell’attenzione e rintanarsi nel suo silenzio che trovavo in alcuni casi buffo e intollerabile in altri. È riuscito dove tanti di noi continuano a fallire. Si è liberato di quelle catene moderne per farsi fagocitare dal mondo e da ciò che offre. È così che me lo immagino le rare volte in cui penso a lui». La guardo, sperando capisca che deve smettere d’infierire ma non riesco a dire “ti prego, cambiamo argomento”. Penso che continuando a parlarne possa dar corpo a qualcosa da far esplodere lontano da qui e liberarmi da quest’oppressione nata nel giro di pochi minuti.

«E i suoi lavori?», domanda all’improvviso, come se si fosse ricordata della passione su cui ha dato anima e corpo. Ora posso sorridere sincero e rispondere tranquillamente.

«Li ha pubblicati utilizzando uno pseudonimo ma so che sono suoi perché conoscevo i titoli e perché li ho comprati e riletti. E mi sono commosso tra quelle pagine non tanto per il contenuto ma per lo sforzo che ha fatto per rispettare i suggerimenti che gli sono stati dati…»

«Beh, almeno è vivo… è già qualcosa», afferma senza traccia di coinvolgimento e questo mi disturba. Aspetto che assapori il suo succo per ribattere. Dev’essersi accorta della mia espressione perché abbassa gli occhi, scusandosi per l’uscita poco carina.

«In tutto questo tempo non ho mai pensato fosse morto e non perché ho visto una traccia di lui nella realtà. Per un periodo l’ho pensato anche io e tra la rabbia e la tristezza ho maledetto tanti giorni. Ma poi ho ripensato a lui, alla tenacia con cui riusciva a liberarsi dei suoi fantasmi e all’ inconsapevole attaccamento alla vita, nonostante “morte” fosse la sua parola preferita. Mi piace immaginarlo da qualche parte nel mondo, anche se lui ambisce all’immensità dell’universo nella sua adorabile visione estremista di una realtà che trascende le regole della fisica. Sono certo che è da qualche parte, nascosto in qualche antro erboso a scrivere o scattare foto e disegnare qualsiasi visione si manifesti nella sua mente, collezionando pensieri e inventando scenari. Lo immagino col suo zaino, i suoi tesori tecnologici, quaderni e matite impegnato ad elaborare scenari fantastici e creare storie velate di tristezza e ma foderate di speranza. Capisci perché non sono arrabbiato con lui?»

«Beh, a sentirti parlare non posso darti torno ma… il fatto che non coinvolga nessuno in tutto questo… che non coinvolga te… non ti far star male?»

«No»

«Accidenti che risposta secca», esclama sorpresa.

«È la verità. Potrebbe esser interpretato come menefreghismo ma penso a lui come un vincitore che in passato si è fatto sfuggire tante cose perché ancorato ad ossessioni che, lo ammetto, per capirle mi sarei dovuto sostituire a lui…». Sento umido caldo sul pollice, lo guardo ed è macchiato di sangue. Stiamo superando i limiti e forse dovrei dire basta. Inventare una scusa plausibile e lasciarla andare. Necessito d’aria e di un luogo neutro, solo per me. Fuori piove e ho paura anche di quelle gocce minuscole. Ed ecco che affiorano alla mente piccoli ricordi disegnati su carta leggera. Piccoli gesti, frasi gentili, lacrime troppo dolci versate in momenti fraintesi. La bellezza della sua risata spontanea e comica, i suoi borbottii, i suoi sguardi truci quando una parola detta da un terzo lo disturbava fino all’odio immediato. La sua fantasia, la sua voglia di essere qualcuno, l’impegno nelle grandi e piccole cose. La sua crociata contro il valore accademico. A modo suo è sempre stato un anarchico. Per lui crescere era sbattere ripetutamente la testa contro i muri fino a quando gli avvenimenti successivi non gli davano ragione e anche in questo caso non nascondeva il trionfo delle sue scelte. Un atteggiamento insopportabile per una giuria estranea ma ai miei occhi, superando il momento di rabbia, faceva di lui una creatura particolare…amabile… e così mi arrendo ai miei limiti e li supero perché tu…

«Cosa?», domanda lei, destandomi da un luogo in cui spesso trovo rifugio quando il caos della vita è insostenibile.

«Cosa, “cosa?”», chiedo trasecolato.

«Hai mormorato “tu…”», m’informa interrogativa.

«Oh! Scusa, mi sono distratto un attimo e io…», dico senza prendere fiato mentre raccolgo la tracolla per uscire immediatamente da qui prima che accada il peggio. «Si è fatto tardi, devo andare», le dico lasciando la mia parte del conto. «Ci sentimi più tardi, va bene?»

Lei mi guarda e sembra aver capito poco o tutto ma mi lascia andare senza accuse inutili e per questo la amo ancora di più.

«Pensi lo rivedrai mai più?», azzarda come ultima domanda di commiato. Sorrido, afferro l’ombrello rosso lasciato nel porta-ombrelli all’ingresso; la guardo nuovamente e con un’alzata di spalle mi rifugio sotto una pioggia battente.

Cammino lentamente su una strada affollata, le gocce cadono a rallentatore dalle stecche in metallo dell’ombrello. Ne catturo una sulla punta dell’indice e la osservo da vicino. Sei nella pioggia di tutto il mondo. Sta piovendo dove sei tu? Angoscia, malumore e nostalgia. Si alza il vento e anche lui è un portatore di ricordi. Tendo l’orecchio curioso di sentire la sua voce ma tutto parla di lui solo nella mia testa. Non resisto, da tempo non mi capitava di pensarci e ora le mie difese sono del tutto abbassate. Cammino stando attento a non urtare gli astanti ma non è questo che m’interessa. Ciò che ora voglio fare è liberarmi dal peso accumulato nell’ultima mezz’ora. Getto l’ombrello e inizio a correre, veloce, sferzando la pioggia fresca e risalendo il pendio che porta alla foresta ad ovest della città. Corro e le foglie che mi frustano mi fanno sorridere ma allo stesso tempo aggiungono un altro tassello di malinconia nell’anima. Raggiungo la cima della collina, uno spazio roccioso che si estende sopra il baratro che separa terra e oceano. Il sole è immenso, le nuvole bianche si diramano e la pioggia smette di piangere. Faccio un passo in avanti, stringo i pugni e urlo il tuo nome con quanto più fiato ho in gola, sperando che le correnti portino l’eco della mia voce ovunque tu sia. Ho il fittone, mi brucia la gola e sono infastidito da questo abbandono alla drammaticità che non fa per me. M’innervosisco perché sono venuto meno ad un senso caratteriale che non sento mio. Guardo il sole, riprendo i miei passi quando sento il telefono vibrare. Un sorriso sboccia sulle mie labbra,  non credo in queste cose ma le coincidenze esistono e mentre sfilo il cellulare dalla tasca per un attimo spero di sbagliarmi e il secondo dopo sono pieno di aspettativa. Leggo il nome sul display e la magia si dissolve nel giovane crepuscolo. Rispondo, ascolto ciò che ha da dirmi il nome sbagliato in questo frangente.

«Si, ci vediamo più tardi», rispondo allegro e chiudo la comunicazione.

Mi do dello stupido per aver solo pensato che dall’altra parte ci fosse lui, ma così non è stato e non penso che mai più accadrà.

Mi volto un’ultima volta verso l’orizzonte e rido perché il mondo è piccolo e ovunque tu sia, un giorno, ci rivedremo per dirci “Ciao”.

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3 commenti »

  1. Ciao a tutti!
    Come Voi partecipo a questo concorso per farmi conoscere attraverso le parole, unico strumento a mia disposizione per parlare di me e dei miei trascorsi.
    Sì, perché tutto ciò che scrivo ha un fondo di verità e radici in terreni calpestati tempo addietro.
    “Ovunque” parla di due ragazzi e di un’amicizia a senso unico, poiché l’amore certe volte porta ad allontanarsi dall’oggetto del desiderio, con coscienza e dolore ma con la speranza di salvare gli attimi trascorsi in ricordi eterni.
    Non voglio aggiungere altro e rimango in attesa di un Vostro riscontro, soprattutto negativo nel caso ci fosse… dopotutto siamo qui per migliorarci.
    Vi saluto e buona lettura!

  2. Il ” non risolto ” che si mantifesta OVUNQUE e, aggiungerei, per sempre. E’ scritto bene. Bravo Fabrizio

  3. Grazie Gloria per il commento. Sono consapevole della sua semplicità ma è uno spaccato di vita a me molto caro.

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