Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “Il giorno del giudizio” di Mattia Sacco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

E mi fa male, male, male da morire senza…”

Il famoso cantante italiano non fece in tempo a concludere il ritornello che, come ogni mattina, esclusi fine settimana e festivi, da 2 anni a quella parte, la saettante mano di Luigi lo tacque.
La prontezza di riflessi nel chiudere la sveglia e nel prepararsi per andare a lavoro non rendeva  Luigi un uomo motivato, ambizioso e vitale. Anzi.
La sua professione di contabile gli aveva risucchiato gli ultimi residui di umanità, rendendolo una fredda e impersonale macchina calcolatrice.
La vita di Luigi, tra partite doppie e altri freddi calcoli, stava scivolando via inesorabilmente, orfana di emozioni umane.

” Sono 2 anni , ormai 2 anni”
Questa frase, al netto del tempo che passa, era diventata un rito quotidiano e ossessivo; esattamente come la sveglia, esattamente come Luigi. Ma c’era un motivo. C’era un motivo se Luigi si era ridotto ad una sagoma di carne, mossa unicamente da riflessi condizionati: Luigi soffriva di depressione cronica. Ma non lo sapeva.
Lui identificava quel dolore, che certosinamente cronometrava, con l’addio di Cinzia: la ragazza più importante della sua vita.
Un dolore così acuto e improvviso che, di colpo, aveva fatto dimenticare a Luigi quante ingiustizie e sofferenze avesse subito dalla società sin da bambino. Sofferenze, queste, molto meno acute, perché scandite nel tempo, e proprio per questo motivo più profonde.
In fondo, Cinzia, era servita proprio a questo; a proteggere Luigi da quell’ essere spietato chiamato società. Chiamato famiglia.
Una volta che il tappo venne via, però, tutto il marciume uscì fuori, più putrido che mai, investendolo in pieno.
Quella mattina, però, successe qualcosa, qualcosa di insolito…
Giunto al bagno, Luigi inizio’ a lavarsi i denti con lo sguardo fisso sullo specchio.
Improvvisamente, dopo almeno un anno, il suo riflesso smise di essergli indifferente.
Quella barba incolta proprio lo disturbava. Bisognava darci un taglio.
Rimossa minuziosamente quasi tutta la folta peluria nera che gli ricopriva il viso, ebbe un sussulto inaspettato quando si imbatte’ nei baffi: i suoi occhi furono catturati da quell’accessorio naturale che non aveva mai preso in considerazione. Neanche quando era felice. Neanche quando c’era Cinzia.
Decise, senza la benché minima titubanza, che sarebbero rimasti li, folti e neri : le uniche creature sopravvissute a quel disboscamento improvviso.

Uscito di casa, venne assalito da un attacco d’ansia soffocante, al confine con un attacco di panico, scaturito da quella nuova presenza sul suo volto, già carica di significato. L’ora del giudizio era vicina.

Domata l’ansia e rimosse le goccioline di sudore che avevano tempestato la  fronte prominente , si recò, con passo claudicante, verso il bar di Giovanna per la consueta prima colazione.
Giovanna la barista, era una donna di mezza età, formosa, dal temperamento istrionico e rinomata e temuta per la sua proverbiale schiettezza.
Chi meglio di lei avrebbe potuto inaugurare il giorno del giudizio?

In procinto di entrare dentro al bar, Luigi assunse un’ insolita postura eretta, oscurata, in parte, dalle spalle curve e strette e dal petto incavato. Aprì la porta.

Giunto al bancone ancora privo di clientela , Luigi si esibì in un saluto goffamente rumoroso. Giovanna contraccambio’ senza scomporsi, servendogli il solito cornetto semplice amaramente accompagnato da un caffè espresso senza zucchero.

La colazione, però, a dispetto delle aspettative di Luigi, seguì il solito corso: due scambi di battute formali e poco altro. I baffi non fecero breccia nel cuore della barista.
La desolazione accompagnò Luigi fuori dal bar, dirigendolo verso l’ufficio, sull’altro versante della strada.

Entrando in ufficio avvolto da un manto di scoramento, cerco’ insistentemente lo sguardo dei colleghi, con scarsissimi risultati.
Quasi nessuno si accorse del suo ingresso, eccetto due colleghe con cui aveva spesso lavorato insieme, le quali, dopo aver accennato un saluto con il capo, tornarono alle loro ripetitive mansioni. La giornata lavorativa trascorse e si concluse in un nulla di fatto. I baffi passarono completamente inosservati.
Luigi era affranto. Ora non restava che la famiglia, da cui si sarebbe recato a cenare quella sera stessa.

Erano le 8 e mezza di sera: Luigi dopo essersi concesso una doccia rigenerante e dei vestiti informali per l’occasione, si diresse, a passo spedito, verso casa dei suoi, distante circa un chilometro.

Durante il tragitto la sua mente viaggiò per sentieri tortuosi:

” Con Giovanna e con i colleghi non c’è mai stato alcun tipo di confidenza e intimità. È legittimo che si siano astenuti da giudizi. Ma mamma e papà non hanno scuse. Devono emettere un giudizio.”

Giunto a destinazione, suonò il campanello. Dopo qualche istante la porta si spalancò. La potente luce all’ingresso irradio’ la sagoma ingobbita del padre.

” Ciao Luigi, ben arrivato. Tua madre è in cucina che sta finendo di apparecchiare.”

Con nessun occhio di riguardo per i baffi, lo accompagno’ in cucina, dove la madre e una tavola freddamente apparecchiata lo attendevano. Luigi pregava che anche qualcos’altro lo attendesse.

La madre, a differenza del padre, lo saluto’ con più calore, regalandogli un abbraccio, ma del giudizio tanto atteso neanche l’ombra.

Si sedettero intorno al tavolo e cominciarono a mangiare degli spaghetti conditi con del ragù pronto.
La madre, per niente attratta dalla sua opera culinaria, inizio’ a fargli qualche domanda sul lavoro, mentre il padre, ipnotizzato dagli spaghetti, iniziò ad ingurgitarli a capo chino, evitando qualsiasi forma di comunicazione.

Luigi, in preda allo sconforto, si sporco’ volutamente i baffi di sugo, per poi pulirli con movimenti plateali. I genitori non batterono ciglio.

Dopo circa un’ora la porta si chiuse alle spalle di Luigi, che in compagnia dei suoi baffi si abbandonò ad un pianto dirompente e prolungato.

Ritornato a casa con le scorte di lacrime esaurite, si fece cadere a peso morto sul letto, iniziando a contemplare il soffitto.

Dopo circa mezz’ora si alzò di scatto e con espressione mai così risoluta e decisa si diresse in direzione della cassaforte situata in salotto.

Digitato il codice segreto, la cassaforte si aprì. Dentro erano contenuti tutti i risparmi di una vita. Risparmi accuratamente accumulati nel tempo con l’obiettivo di pagare il mutuo ventennale della casa dei suoi sogni. La casa sua e di Cinzia. Sogni destinati a rimanere nel cassetto per l’eternità.
Ma a Luigi ,di quei soldi, ormai non importava assolutamente nulla.
Ciò che lo indusse ad aprire la cassaforte fu un oggetto riposto sul lato destro. La sua pistola P38.
La afferrò con decisione. Era carica.
Si diresse in balcone, il suo unico balcone, e guardando l’orizzonte con occhi rabbiosi e vendicativi, urlò con tutta la forza che aveva in corpo.
” I baffi non vi hanno distolto dal vostro egoismo, ora vediamo se una pallottola in gola vi lascerà ancora indifferenti.”

Premuto il grilletto senza esitazione, la pallottola gli trapasso’ la gola, mettendo la parola fine a una vita che non era riuscita a liberarsi, fino a quel drammatico momento, dalle catene dell’indifferenza e dell’anonimato in cui era sempre rimasta intrappolata.

Su una cosa Luigi, suo malgrado,  ci aveva visto lungo: era stato proprio quello il suo giorno del giudizio.

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1 commento »

  1. Hai reso perfettamente l’idea di tutte quelle persone che , quotidianamente, galleggiano nell’indifferenza altrui. Frustrazione, rabbia, forse anche qualche senso di colpa per non essere stati all’altezza di una società che schiaccia tutti, figuriamoci i più sensibili.
    Mi e’ piaciuto; è una tematica da affrontare perchè non anneghi nell’ indifferenza totale.
    In bocca al lupo!

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