Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “Sangue e inchiostro” di Gianfranco Cambosu

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Uscì dal portone fischiettando, lieto che finalmente fosse tornato il sole. Il palazzo era uno di quegli edifici pallidi e con persiane verdi costruiti verso la fine degli anni Sessanta, abbastanza scalcinato e anonimo persino per i ladri, tant’è che il cancello rimaneva aperto anche la notte. Gli altri edifici all’interno del cortile gli facevano ombra e non erano diversi. Del resto, non lo era tanto neppure chi ci abitava. Solitamente si trattava di famiglie numerose, dove a lavorare non era necessariamente il padre, e se c’era una figlia appena appena intraprendente qualche soldo lo si racimolava sempre. Eppure lui neppure sapeva che cosa fosse esattamente una famiglia. A quanto aveva capito, era stato concepito nel buio di una stanzetta di quella stessa casa senza quadri alle pareti, in mezzo a polveri condominiali e blatte in subaffitto. A tenergli compagnia c’erano giusto le beghe degli ubriachi dal cortile e il ticchettio della Lettera 22. Soprattutto quella. Mentre ne pigiava i tasti, il padre rimaneva in assoluto silenzio, concentrato unicamente sulle parole scritte e su quelle da scrivere. Solo così per lui si poteva creare, e almeno una creatura, in fin dei conti, gli era riuscita bene. Ne aveva definito i gesti, i dubbi, le battute ricorrenti, un po’ meno l’identità fisica e le aspirazioni. Con il tempo – se ce ne fosse stato – avrebbe provveduto anche a quelle. Del resto del mondo il figlio non sapeva nulla, se non ciò che gli aveva descritto il padre. Venuto meno lui, il figlio si era scoperto tutti gli anni addosso, senza un sistema buono per calcolarli, perché ognuno era partito dalla testa di chi lo aveva generato e con lui era morto.

Superato il cancello e l’enorme tempio in costruzione da anni (una piscina comunale? Un teatro? Un centro commerciale?) che incombeva sul caseggiato, si avviò per lo stradone deserto, poi voltò l’angolo e si bloccò. Sul marciapiede opposto stava camminando l’ultima persona che si sarebbe aspettato di rivedere, anche se in realtà non l’aveva mai vista coi propri occhi. Comunque era lui senza dubbio: Marco Vichi. Quanto tempo era trascorso? Portava ancora i capelli lunghi, raccolti in una coda, che gli condonavano almeno dieci anni. L’ultima volta che suo padre lo aveva incontrato era stato a Firenze, in occasione di un festival letterario. Il suo nome campeggiava nella lista dei critici letterari più accreditati, perciò il padre lo rispettava e lo temeva al tempo stesso.

Allungando il passo, lo raggiunse nel cono d’ombra proiettato dalla colonna marmorea al centro di una piazza. Vichi si era fermato là per rispondere al cellulare, e aveva preso a gesticolare nervosamente.

«Vichi, Vichi!» gli urlò, come se quello fosse stato obbligato a conoscerlo.

Il critico letterario chiuse la conversazione e rimase immobile, i muscoli contratti in una smorfia di stupore o di fastidio.

«Vichi, non ti ricordi di me? Postriboli, Giancarlo Postriboli!»

Marco Vichi si rianimò al suono delle ultime sillabe, e le labbra si schiusero a un sorriso di circostanza. «Ah, certo, certo, come stai?»

«Bene, bene. Anche tu, a quanto vedo. Sempre con quella tua aria sbarazzina, eh!» Postriboli si guardò intorno con aria circospetta. Gli ultimi passanti erano stati risucchiati dagli ingressi dei vicoli come spifferi d’aria, malgrado la piazza fosse piuttosto grande. Il sole si era dileguato in un pertugio di orizzonte e chissà se sarebbe spuntato di nuovo. Dalla tasca dell’impermeabile che il padre gli aveva cucito addosso sin dal primo romanzo, Giancarlo Postriboli trasse un articolo di giornale stropicciato e glielo porse, indicandogli la fotografia al centro. Era la copertina di un libro. Nella didascalia c’era scritto “Il sogno di Postriboli”, l’ultima fatica letteraria dello scrittore Ocram Ihciv.

«Te lo ricordi, Vichi?»

Quello scosse la testa a significare un no, non mi pare.

Postriboli non si scompose e di nuovo si guardò intorno. Non c’era davvero nessuno, nemmeno l’ombra di un gatto. Era possibile rimanere da soli in una piazza così grande?

«Davvero non ricordi?»

Marco Vichi sbuffò e adocchiò il Rolex al polso.

«Sì lo so, si è fatto tardi» lo precedette Postriboli con un tono sgarbato. «Anche allora era così, ricordi?»

Vichi si rannuvolò. «Temo che tu mi stia attribuendo cose strane,» disse quello con un fare un po’ goffo «cose che non mi appartengono. A dire il vero, non sono neppure sicuro di conoscerti.»

Postriboli lo fissò come un predatore al termine della sua caccia. «Non sei sicuro di conoscermi? Prima, però, hai risposto al mio saluto.»

Vichi tentò invano di focalizzare quel volto. Davvero non gli diceva nulla.

«È inutile, scusa, che strabuzzi gli occhi: la mia faccia non ti dirà mai nulla. Però dovevi averla in mente quando mi hai insultato.» Prima che l’altro potesse fiatare, gli lesse la prima parte dell’articolo. A uno scrittore come Ocram Ihciv che definisce il proprio personaggio “scimmione” io non posso che dire “hai ragione”. E infatti Postriboli dà l’idea di uno scimmione fuggito da una giungla. Anche Ocram Ihciv, però, dovrebbe far rientro in una giungla: quella degli scrittori inutili che tormentano i critici letterari. Perché da lì proviene…Firmato Marco Vichi.

Vichi spalancò la bocca come se quell’articolo dovesse ingoiarlo, e prese un bel respiro. «Che ne so, io? Ne ho scritto di recensioni in trent’anni di carriera e…»

«Vedi,» lo interruppe Postriboli «delle volte voi critici avete una sola esigenza: imbrattare una pagina di giornale o di rivista con una lunga teoria di masturbazioni mentali, e pazienza se per farlo dovete sporcare il nome di uno scrittore e del suo personaggio. Che cosa ve ne frega, in fondo?»

Vichi avvertì un disagio fortissimo. Quella piazza vuota non gli preannunciava nulla di buono. Guardò l’altro negli occhi e accennò un saluto, ma la calibro nove che comparve in quel momento nella mano di Postriboli gli paralizzò il respiro.

«Cerchiamo di ragionare» balbettò il critico, con le mani che gli tremavano.

«Ragioniamo pure mentre ti rinfresco la memoria. Io sono stato il protagonista di molti romanzi di Ocram Ihciv. Sono stato un commissario di polizia stimato da editori e lettori, finché non ti sei messo di mezzo tu coi tuoi attacchi e col tuo stile denigratorio. Nel giro di un anno mio padre, Ocram Ihciv, si è trovato senza più un contratto, con le case editrici che gli sbattevano le porte in faccia.»

Vichi si sentì come un bambino sperduto. Perché quella maledetta piazza si era trasformata in un deserto? Eppure un tempo era affollata di gente, critici letterari come lui, editor, correttori di bozze, persino qualche lettore svogliato. «Senti,» reagì con stentato vigore «noi critici questo dobbiamo fare, l’hai detto tu stesso. Niente di personale…»

«Niente di personale» lo scimmiottò Postriboli. «Che frase abusata! E tu saresti un critico letterario, uno che vive di parole? Beh le parole, la vita stessa mi sono state tolte a causa tua. Da un giorno all’altro Ihciv si è trovato il deserto attorno. E questa è stata la sua morte come scrittore. Infatti è stato costretto ad aprire un’agenzia letteraria per campare. Solo che la sua morte letteraria ha segnato la mia fine come personaggio: sono rimasto incastrato nella prima pagina di un file, quello che avrebbe dovuto essere il suo nuovo romanzo, la mia nuova vita. Ho urlato come un disperato per continuare a muovermi, perché avevo delle indagini e altri personaggi che mi attendevano. Ma è stato inutile. Ihciv mi ha lasciato là come un salame e con questa pistola in mano. L’ha descritta bene, per carità: il tipo di otturatore, il calibro, le zigrinature sul calcio… Una perfetta pistola da romanzo giallo, insomma. Non ha spiegato, però, che uso avrei potuto farne. Ha lasciato tutto alla mia libera interpretazione di personaggio principale. E io, che non ho nemmeno potuto assistere al funerale di mio padre, con questa ti faccio saltare il cervello.»

«Ti prego, no! Ne poss…»

L’esplosione gli mangiò il resto della frase e il proiettile gli arrivò dritto in fronte. Come cadde per terra, il rumore rimbombò come quello di un elettrodomestico sul pavimento. Postriboli, a quel punto, rimise in tasca l’arma ed esaminò ancora una volta l’articolo. Pensò che l’aveva conservato per troppi anni. Fece per appallottolarlo, ma qualcosa richiamò la sua attenzione. Il sangue che colava dalla fronte del critico aveva uno strano colore. Non rosso chiaro come l’avrebbe potuto immaginare, ma scuro e denso. Si chinò e ne saggiò la consistenza con due dita. Subito rabbrividì e si sforzò di conservare la calma. Portò le dita alla bocca e lo assaggiò. Era ripugnante, ma non come avrebbe potuto essere il sangue. Era ripugnante perché era una sostanza ben diversa dal sangue: era un autentico fiotto d’inchiostro che aveva creato una piccola pozza. Nel volgere di pochi secondi si era articolata ai bordi in tanti piccoli rivoli. La prima tentazione fu quella di tagliare la corda, anche perché nel frattempo sarebbe potuto sopraggiungere qualcuno, magari un aspirante scrittore. Ma non stette lì a pensarci molto: immerse nuovamente le dita in quella pozza e le riportò alle labbra. Solo a quel punto ebbe un conato di vomito. Quello non era un semplice inchiostro, ma l’inchiostro che suo padre utilizzava per la sua macchina per scrivere, la Lettera 22. Con quella lo aveva creato. Gli venne da urlare, ma si ricordò che il padre gli aveva insegnato a fare indagini, ad amare e persino a odiare, ma non a urlare. Così, sconvolto, abbandonò l’articolo su quella pozza d’inchiostro e si allontanò a passi veloci verso casa. Fece diversi giri attorno all’isolato prima di varcare il cancello, ma d’improvviso si rasserenò. Non c’era nella sua testa un motivo valido per respingere l’angoscia, eppure riprese il normale respiro. Quando iniziò a riflettere più lucidamente sull’accaduto, si convinse che nessuno avrebbe mai potuto condannarlo. Come si poteva arrestare e condannare un personaggio di fantasia? Al massimo avrebbero potuto proibire a una casa editrice di acquistarne i diritti. Intanto sarebbe ritornato dentro quel file da cui era sgusciato fuori, in attesa che qualche altro scrittore gli restituisse la sua dignità letteraria. Non gli restava altro da fare che essere fiducioso verso il futuro. Perciò alzò lo sguardo al cielo e per un istante rimase fermo con un sorriso sulle labbra. Finalmente era tornato il sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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8 commenti »

  1. Ben scritto! Si resta incollati alla lettura fino all’ultima riga! Bravo

  2. Ti ringrazio, Maria.

  3. Mi piace! Scorrevole, originale, imprevedibile nel finale

  4. Grazie, Donatella.

  5. Alla prima gradevolissima lettura, sono rimasto avvinto dall’originalità della trama, intento a ricercare, dentro al ritmo incalzante degli eventi, conferme all’interpretazione che mi stavo formando.
    Alla rilettura ho apprezzato fino in fondo la perizia con cui hai costruito l’intreccio, disseminando gli indizi lungo le righe del racconto.
    Complimenti.

  6. Grazie, Roberto, sono davvero lusingato di questo tuo giudizio.

  7. Caro Gianfranco,
    resto inchiodata nella tua lettura e ammirata dalla tua descrizione e il ritmo che usi nella tua storia… davvero complimenti! In bocca al lupo… spero davvero di vederti fra i vincitori!

  8. Cara Marta, sei gentilissima e ti ringrazio tanto per questo tuo giudizio. Naturalmente, crepi il lupo.

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