Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti per Corti 2015 “Sfaccettature” di Carolina Marangio

Categoria: Premio Racconti per Corti 2015

Giorno 14.
Oggi l’ho lasciata, finalmente. Ci siamo visti in centro, vicino la piazza. Ci siamo riparati sotto gli archi e appoggiati al muro della gelateria, seduti nel muretto le ho detto tutto quello che le dovevo dire. Le ho detto di ciò che è successo domeniche fa, che mi ha dato fastidio ma ci sono passato sopra, però poi le cose mi hanno fatto ripensare che la scusa che s’era preparata lei era un po’ traballante così tac, improvvisamente nel mio cervello era scattato qualcosa ed io provavo fastidio solo al pensiero di lei e tutte le cose che prima adoravo ma non condividevo adesso mi innervosivano a tal punto che dovevo trattenermi dall’urlarle contro quando rideva con qualcun altro con quella sua risatina isterica. E lei mi ha detto che se lo immaginava, che se lo sentiva che da qualche giorno non ero più lo stesso e qualcosa evidentemente non andava. Nonostante questo è riuscita a comportarsi come faceva di solito, così io non me n’ero neanche accorto, non fosse stato perché me l’ha detto non l’avrei neanche capito. Comunque adesso siamo “amici”, nel senso che anche lei pensava di lasciarmi, se non l’avessi fatto io; perché ormai non era più amore, era ovvietà, era abitudine. E l’abitudine è diventata noia, che è la cosa peggiore in una coppia. Quindi niente, mi ha salutato con un leggero bacio sulle labbra e mi ha detto un ‘ci sentiamo’, che penso abbia valore tra un paio di mesi. L’ho riaccompagnata a casa e con un sorriso m’ha liquidato. Non so se poi una volta dentro ha pianto, come si fa di solito. Spero di no, non stiamo più insieme ma non voglio che soffra, era questa la cosa giusta da fare.

 

 

Giorno 14.
Oggi ho incontrato l’amore della mia vita, me lo sento. Sono entrata in birreria, quella sotto gli archi, accanto la gelateria, ho preso un tavolo e ho ordinato. Entra uno, mi guarda e mi sorride mentre andava dritto verso il bancone del bar. Alto, occhi scuri, capelli castani, piuttosto muscoloso, devo ammettere, e tanto tanto bello. Dopo un po’ mi arriva la pinta col conto. “È già pagato”, mi dice il ragazzo del bar, “da quel ragazzo là” e mi indica proprio il tipo di prima. Alzo gli occhi verso di lui e in segno di cortesia lui alza il bicchiere del drink che beveva verso di me, faccio lo stesso con la pinta e sorrido. Lui si avvicina e si siede al mio tavolo. “Occupata?”, mi dice. Ed io non sapevo se ce l’aveva con me o con la sedia, comunque la risposta sarebbe stata la stessa. “No”, dico. Si siede e io per nascondere un sorriso imbarazzato e anche un po’ fiero prendo un sorso della bionda che avevo ordinato. “Salute”, dice lui. “Grazie”, rispondo. Poi non ci siamo detti nient’altro, come se il locale fosse così pieno da dover scomodare la tranquillità di una ragazza sola prendendosi la sedia del suo tavolo e metà dello stesso tavolo. Finisce di bere e esce. Dopo qualche minuto finisco anch’io ed esco e lui era seduto nel muretto a sinistra accanto ad una coppietta che si confidava, e a guardare la faccia di lui pareva si stessero lasciando. Mi siedo, “Non mi andava di parlarti dentro, poi avresti dovuto raccontare alle tue amiche che hai conosciuto l’uomo della tua vita in una birreria squallida. Poco romantico, non credi?”. E lì mi sono sciolta, ci credi? Abbiamo parlato e parlato, lui studia qui ed è solo un anno avanti a me. È così colto e abbiamo così tante cose in comune, cose che non pensavo potessero piacere anche a qualcun altro oltre a me. Mi ha chiesto di vederci oggi, nella biblioteca della facoltà, sono così emozionata.

Ah, jeans e maglietta da ragazza simpatica o tailleur casual da studentessa modello?

 

 

Giorno 14.
Sono tre settimane esatte che non c’è. Tutto è diventato grigio, tutto ha perso colore e sapore. Non sono rimasta a casa questo pomeriggio, altrimenti avrei rischiato di mangiare tutto il gelato del congelatore e guardare la maratona di Grey’s Anatomy in pigiama. Sono uscita, quindi, e sono andata in libreria, l’unico posto che poteva tenermi un po’ in buon umore. Ho sfogliato qualche pagina di qualche libro di fotografia e poi sono salita al piano dei gialli, meno male che esistono loro! Ho preso un giallo/thriller di poche pagine e mi sono seduta sul divanetto di stoffa. Sono uscita dopo un’oretta scarsa con una busta di altri gialli dello stesso autore di quello letto dentro e appena fuori ho cominciato a camminare verso i giardini, una volta lì mi son seduta su una panchina fuori la recinzione. Mi son seduta e ho aspettato qualche minuto prima di prendere un altro libro e leggere qualche capitolo prima di rientrare, mi sono guardata intorno e lì di fronte a me, dall’altro lato della strada c’erano due che chiacchieravano, lei aveva la luce del primo incontro brillargli negli occhi e poi rideva e sorrideva mentre lui parlava e gesticolava e lei lo guardava con ammirazione e devozione e affetto, nonostante sicuramente erano ancora poco più che conoscenti. Ricordo il nostro primo incontro: stessa comitiva ma mai c’eravamo scambiati una parola, quel giorno dovevamo trovarci al cinema per un cinepanettone qualunque, solo che evidentemente tutti quanti sapevano già che la serata era annullata, tranne me e lui, ovviamente. E ci troviamo allo stesso cinema con l’imbarazzo di sapere di conoscere la faccia dell’altro e che la nostra faccia l’altro la conosce, ma sapevamo solo nome e faccia. Così lui rompe l’imbarazzo e dice “Che poi a me neanche piacciono i cinepanettone”. E lì io rido come una matta; diciamo i nostri nomi squarciando definitivamente l’imbarazzo, guardiamo la programmazione del cinema ed entriamo a vedere il remake di un musical, che io adoro e che lui ha imparato ad adorare, stando con me. Mi offre i popcorn e una bibita che smezziamo. E poi c’erano le canzoni del musical che io cantavo a squarciagola e lui che rideva per la mia sfacciataggine e chi se ne fregava se ci prendevano per pazzi o ci sbattevano fuori dal cinema senza rimborsarci il biglietto. Ed io l’ho amato da quel momento, dalla battuta davanti al cinema, l’ho amato dalle risate che faceva quando cantavo con aria lirica e convinta, l’ho amato dalla mani grandi e scure che si muovevano quando parlava, l’ho amato dai baci umidi sul collo, l’ho amato dalle parole sincere e dai passi certi e sicuri quando se n’è andato.

 

 

Giorno 14.
Mi tradisce. Ho scoperto che quella stronza mi tradisce.

Era sotto la doccia e le è squillato il cellulare; era un messaggio da un numero sconosciuto. ‘Ci vediamo alle 9, amore. Non vedo l’ora’. Non ci ho visto più, con calma gliel’ho sbattuto in faccia e lei farfugliava, la stronza farfugliava, non sapeva che dirmi, come scusarsi, cosa inventarsi. E certo! Lo sapevo, io.. Me lo sentivo. Quando una ti dice “Ho una cena di lavoro oggi, non posso proprio uscire” e lavora da un paio di giorni non puoi crederle. Non puoi avere già una cavolo di cena di lavoro! E lei mi dice “no, tesoro, quella è Anna, la segretaria del direttore, non ha nessuno e ha legato con me. E mi chiama già amore. Dicono tutti che è una che si affeziona subito”. So che le ragazze tra di loro si chiamano ‘amore’, ‘tesoro’, ‘gioia’, ma secondo il mio intuito non era quello il caso. Esce dalla doccia, si veste –vestito nero e tacchi, cena di lavoro un piffero!- mi scocca un bacio sulle labbra ed esce di casa. Aspetto un paio di minuti e con passo felpato esco dalla stanza: la seguo. Prende un taxi e quando arriva all’albergo c’era una donna ad aspettarla davanti al portone a cui lei si avvicina e la bacia sulla guancia. Poi camminano, non entrano. Fanno qualche metro a piedi e arrivano a un pub, lei –l’amica- entra e la lascia fuori. Poi riesce con un tipo che presenta a lei. I due –l’amica e il tipo- si baciano sulle labbra e lei, piena di imbarazzo si gira dall’altra parte. Poi si incamminano verso una macchina. Io pago un taxi e li seguo, incuriosito dalla situazione che si è venuta a creare. Il taxi si ferma; convinto di essere arrivato, nonostante l’auto che seguivamo non si era ancora fermata, guardo fuori dal finestrino: semaforo rosso. Dannazione! Fuori, un ragazzo attraversa la strada e si dirige verso una panchina dove una ragazza leggeva. Poi il taxi riparte e quando si ferma di nuovo non potevamo che essere arrivati; i tre scendono dall’auto e si avvicinano ad un capannello di persone, tra cui c’era un uomo che mi sembrava di aver già visto; era il suo capo. Che scemo sono stato a dubitare della mia polpettina. Che scemo, che scemo!

 

 

Giorno 14.

 

Tu l’hai mai provato l’amore? Lo sai cos’è il ‘groppo in gola’? Sai cosa sono ‘le farfalle nello stomaco’? A cosa serve, l’amore? Perché si cerca sempre di piacere a qualcuno del sesso opposto? Perché i romanzi rosa sono i più venduti? Perché quando non hanno niente da fare e si annoiano al telefono le donne disegnano sempre cuoricini? Perché in ogni film dev’esserci almeno un bacio o un flirt? Perché? Cos’ha di particolare questo sentimento? Cos’è che attira la gente? Cos’è che la fa così ubriacare?

Io non lo so. Non ne ho mai capito niente.

Mi dicono tutti, quando va a finire che queste domande sopra elencate le porgo ai miei amici, che lo capisci quando arriva e non hai bisogno che te lo spieghino anche perché non lo si può spiegare. “Ma se proprio dobbiamo rivelartene i misteri”, dicono, “ti diremo che è bellissimo amare tanto una persona. E quando ti innamori capisci subito che ti ha preso in pieno petto”. E ciò significa praticamente niente. Seduto da qua non vedo che gli alberi, e forse sono innamorato degli alberi perché quando li vedo mi emoziono sempre. Giro la testa verso destra e vedo la fila di panchine verdi che circondano la recinzione dei giardini. Qualcosa mi disturba la vista omogenea di verde: una ragazza è seduta su una delle panchine, legge. Ai piedi ha una busta marchiata dalla libreria qui vicino. Alza gli occhi e ride; ed io mi sono sentito così intimo con lei, perché nessuno l’ha guardata ridere, perché nessuno la guarda, perché con nessuno ha condiviso quella risata, solo con me. Una volta lessi un opuscolo che invitava i ragazzi a innamorarsi delle ragazze che leggevano. Non ho la minima idea di quello che significa ‘innamorarsi’, ma adesso non riesco a staccarle gli occhi di dosso, ha i capelli scuri, legati in una coda disordinata, un paio di mani bianche –e fredde, immagino-. Le ho viste prendermi il cuore, quelle mani; le ho viste prendermi il cuore e spiaccicarmelo letteralmente in faccia. Ed io mi svegliavo dal torpore e amavo come se non fosse mai stato abbastanza. Aspetto che il semaforo si faccia rosso per le auto per poter passare. Un taxi si ferma e l’uomo che stava seduto dietro mi guarda affaticato, come se stesse correndo dietro qualcuno. Attraverso.

Mi siederò accanto a lei, le chiederò dei libri che sta leggendo, diventeremo amici, saremo indispensabili l’uno per l’altra ed io le bacerò le mani e gliele riscalderò ogni giorno e niente, niente, potrà mettersi tra le nostre pelli.

 

 

 

 

 

 

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1 commento »

  1. Ciao Carolina, sono sfaccettature si ma anche, e sopratutto, sono sentimenti intimi vissuti da diverse persone. La cosa straordinaria è questa pagina del 14, un giorno tratto dai diari tenuti da diverse persone. Sono uomini e donne che hanno lasciato il ricordo della giornata, il 14 appunto, e che si sono incrociati, guardati e giudicati.
    Tutto ben descritto con realismo.
    Emanuele

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