Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2015 “Stagioni” di Elga Battaglini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

La mia generazione ha perso
Giorgio Gaber

Si avvicinava la stagione dell’abbondanza.
Il piccolo Ivan la sentiva, la vedeva ovunque, avrebbe potuto annusarla, perfino. Negli elettrodomestici che andavano arredando casa. Nell’appartamento in cui la famiglia stava per traslocare, lasciando le tre stanze all’ultimo piano nella città vecchia. Nella bianchina che suo nonno guidava con proverbiale lentezza, un’automobilina color grigio chiaro, comprata a rate. Nel televisore che troneggiava nel salotto. I nonni non l’avevano ancora. Loro il festival di Sanremo e il giro d’Italia andavano a vederseli al bar. Il paese intero schierato sulle sedie allineate, come al cinema … Era bello. Si erano fatte certe risate il giorno dell’ultima tappa del Tour de France! Nonostante l’estate trionfante, nel bar c’era odore di corretto al sambuca e una coltre di fumo sospesa a mezz’aria. Fuori, nella piazzetta deserta, il sole batteva imperioso sul lastricato di pietra serena, ma là, a Parigi, veniva giù acqua a catinelle. A quella vista la cognata del nonno era balzata in piedi gridando “O madonna come viene, vò a levà’ panni!” Quasi si rattristò Ivan, anni dopo, quando le rate della bianchina finirono e anche in casa dei nonni arrivò il tubo catodico…

La stagione dell’abbondanza. Si viveva una lunga primavera fatta di lavoro, sacrifici, lotte, conquiste. Aspettando il tempo del raccolto. I genitori di Ivan avevano da poco aperto una libreria. Lì dentro si sentiva davvero la primavera, si avvertiva che i tempi stavano cambiando. Si facevano grandi discorsi, si citavano Gramsci e Don Milani con la certezza che, presto, la cultura sarebbe stata del POPOLO… Tutti quegli operai, aspiranti intellettuali organici, a far la fila per comprare l’ultimo Pratolini, Silone, Calvino…E gli studenti. Ivan li ascoltava in silenzio, incamerando, immaginandosi come loro in un futuro non lontano…

Primavera. I vecchi di casa intrattenevano i piccoli raccontando della guerra, della ricostruzione. Che miseria! Poi erano venute le lotte, gli scioperi, gli aumenti di stipendio…Si preparava un bel mondo, dicevano.
“Quando vinceremo noi…” affermava convinta la zia zitella, sotto lo sguardo attento dei nipoti.
“Noi chi?”
“Noi proletari.”
“Che vuol dire?”
“Che abbiamo solo le braccia per lavorare e i figli, la prole.” (Lei figli non ne aveva…)
“Ma noi non siamo così!”
“Certo che siamo proletari! Quando vinceremo noi” continuava con piglio deciso.“Aboliremo la proprietà privata e tutto sarà di tutti.”
“Tutto?” chiedevano i bimbi. “Anche i giocattoli?” “Tutto.”
Un oceano di infinite possibilità si stendeva ai loro piedi.
I genitori di Ivan non erano tanto prodighi nel comprare giocattoli al figlio. Pochi ma educativi, sostenevano. Meglio i libri. Così si era creata una sua personale idea del comunismo: Andare a casa del primo della classe, figlio di un direttore di banca, e fare incetta di giocattoli. Abolizione della proprietà privata. Esproprio proletario, si sarebbe detto più tardi.

Pareva che tutto fosse possibile. “Anche l’operaio vuole il figlio dottore…” recitava una di quelle canzoni che in casa sua andavano per la maggiore. Forse chi l’aveva scritta conosceva i vicini di casa, marito e moglie in cartiera e un figlio, a Pisa, a studiar da dottore…

E fu in una magica notte d’estate, che capì l’importanza di quei giorni. Non lo misero a letto, quella sera, perché potesse assistere all’allunaggio. Non c’era nulla di esaltante nel vedere quella specie di palombaro in tuta bianca che si muoveva a goffi balzi su uno sfondo nero. L’immagine era confusa, lo schermo rigato da continue interferenze… ma il significato di quelle parole inequivocabile. UN GRANDE BALZO PER L’UMANITA’. Altri salti sarebbero seguiti e l’uomo del futuro, avrebbe colonizzato lo spazio, irrigato il deserto, spianate le montagne, sconfitto miserie, malattie, perfino… LA MORTE.

Veniva Dicembre. Anche gli inverni odoravano di primavera, con le strade illuminate a festa, le leccornie, i dolciumi, le file a comprar regali, la bottega piena di clienti… i giorni giusti per tornare alla carica con quel sussidiario elettronico che, da almeno un mese, Ivan si fermava a contemplare davanti alla vetrina illuminata del giocattolaio.
Un giorno, stava giocando con la radio accesa. C’era la Patty Bravo, che cantava Tu mi fai girar… Bravo, si diceva, non Pravo. A Ivan piaceva molto. A un tratto la canzone fu interrotta bruscamente: Giornaleradiostraordinario. Un brivido d’inverno, in quel clima di festa. Un soffio d’aria amara, anche per lui, che era piccolo. Una bomba in una banca dell’agricoltura…chi mai poteva avercela con quei poveri contadini? Perché questo s’immaginava Ivan, una fila di contadini con il forcone e la zappa e magari il baroccio con la mula legata a un palo, fuori dalla banca. E la bomba, una boccia nera con la miccia, come nei cartoni animati… La bomba. Più tardi apprese che quell’esplosione aveva sancito la fine dell’innocenza, della primavera. Non per lui, non ancora. Ancora piccolo, continuava a sognare il giorno in cui avrebbe depredato gli altrui giocattoli…

Propaganda elettorale. Tempo febbrile di comizi, manifesti, volantini. “Io voterei per questi qui” Aveva detto un giorno in bottega, scorrendo una delle finte cartelle elettorali che riempivano le cassette della posta. “Questa bella bandiera col tramonto“
“Bimbo, quella è l’alba, non il tramonto” Era intervenuto un vecchio cliente della libreria. “Non te lo scordare, capito? L’alba, il sol dell’avvenire che sorge a oriente. A conquistare la rossa primavera, dove sorge il sol dell’avvenir…”canticchiava nell’andarsene. Appena uscito, la madre aveva raccontato a Ivan che quell’uomo si era trovato in grossi guai durante il fascismo, per quella bandiera. Le purghe, il confino, il carcere, senza mai arrendersi, senza rinunciare alle sue idee di libertà e di giustizia. Riuscito a evadere, aveva fatto la resistenza.
Quando morì, pochi mesi dopo, gli fecero il funerale senza prete, con la bandiera rossa drappeggiata sulla cassa e la banda che suonava “Bella Ciao”. Dicevano che era morto di lavoro, che il malaccio se l’era buscato in fabbrica per colpa dello zinco. La polvere di zinco, spiegava il padre di Ivan, si ferma nello stomaco e, pian piano, lo corrode. Ivan provò una gioia maligna, anni dopo, quando la zincheria fu chiusa. Non sapeva, allora, che se n’era andata ad avvelenare operai sull’altra sponda del mare, proprio là dove sorge il sol dell’avvenire…

E venne anche per lui la stagione della lotta, della partecipazione… La battaglia più dura fu la scelta della scuola: Voleva assolutamente andare a quell’istituto d’arte dove si respirava la libertà, dove tutti erano compagni…Fu dura ma alla fine vinse. In cambio gli toccò sorbirsi mesi di prediche e raccomandazioni. “Non fumare, non accettare nulla da chi non conosci…” Mamma, nonne e zie avevano paura della DROGA…Lui non si spinse mai più in là di qualche canna, durante collettivi, assemblee, okkupazioni.

L’estate, intanto, pareva tardare La crisi petrolifera smorzava gli ottimismi. Un golpe militare aveva ghiacciato la primavera cilena. Il TG mostrava lo squallido teatro dell’omicidio del Poeta, raccontava di rapimenti, gambizzazioni, attentati. Ma cadevano i Colonnelli, il regime di Franco scricchiolava, lo Scià di Persia andava in esilio… Si continuava a sognare. E poi, nella scuola, c’era quell’allegria colorata… pareva d’essere a Woodstock. Camicette indiane, gonne a fiori, zoccoli di legno, scialli e perline. Allegre e sessualmente prodighe, le compagne di scuola ostentavano mimose fra i capelli e rivendicavano libertà. Ci furono altre bombe: Sui treni dei poveri, sulle vacanze. Ma il sogno di quella lunga primavera non riuscirono a strapparlo. Fuori c’erano fumo, ferro e piombo, ma dentro l’aria era dolce e profumava d’erba…Che per due volte il Paese aveva sfiorato un golpe sul modello cileno, Ivan lo apprese in TV, in certe trasmissioni a metà fra l’inchiesta e la fantascienza. Parevano farina del sacco di Ray Bradbury. MAI in prima serata.

Con la fine della scuola venne il RIFLUSSO. Il ritorno del bon ton, il cinismo, l’ostentazione del lusso. Il qualunquismo dell’italiano vero. Perfino la Chiesa, riuscì a trovare spunti di restaurazione. Vennero le televisioni commerciali, la bolla finanziaria…I nonni guardavano Dallas e giocavano in borsa, come tanti piccoli JR. Le casalinghe si stonavano cercando di indovinare il numero dei fagioli in una damigiana. Non era proprio l’estate sperata, ma sul Paese c’era una specie di serra e vivere pareva facile…Neanche la notte dell’incidente al reattore nucleare riuscì a incrinare il glamour di quella facciata. Code ai supermercati, per riempire dispense già piene, e poi se non si può bere il latte berremo tè. Che popolo di Marie Antoniette.

Le logge prosperavano, i giudici morivano di mafia, i piani regolatori erano sempre più sregolati per la gioia delle tasche di palazzinari e assessori corrotti.

Era in corso la tempesta di Tangentopoli, quando il tranquillo tran tran della libreria fu scosso da un evento di portata cosmica: Il genio della televisione, lo scalatore dei vertici imprenditoriali, aveva deciso di festeggiare l’ingresso nel maggior gruppo editoriale del Paese proclamando la FESTA DEL LIBRO. Per giorni e giorni un imperativo volò sull’etere: ENTRATE IN LIBRERIA! Ivan e i suoi passarono quella fine settimana immersi in una turba vociante che reclamava a gran voce un libro, uno qualsiasi, l’importante era… COMPRARE. UN. LIBRO.
Però, che forza di convincimento!” fu il commento di sua madre. “Che succederebbe se un elemento così entrasse in politica?”
E fu subito ventennio.
Vennero i grandi CENTRICOMMERCIALI, i CENTRIBENESSERE, le crociere per tutti, i villaggi turistici, milioni di canali TV, il MADEINPRC, la delocalizzazione, i ritocchi al botulino, i tagli alla cultura…gli enti lirici boccheggiavano, i monumenti mostravano inquietanti segni di sfacelo, i tetti delle scuole collassavano in testa agli studenti.

Aveva fatto bene Ivan a non proseguire il lavoro di famiglia. La libreria, con la concorrenza dei supermercati, se passava male. Impara l’arte e mettila da parte, dice un noto proverbio. Faceva il pittore di strada, oggi qui, domani là, come cantava la Patty… “Bravo!” Gli dicevano i turisti. Cipressi e girasoli da portare a casa come ricordo della beautiful Tuscany. La Toscana tirava, veniva perfino Tony Blair a passarci le vacanze…
Erano rimasti in pochi, parecchi di loro non più giovani, e si chiamavano NOGLOBAL. Mosche bianche in un umanità omologata. Il fatto che tutti indossassero gli stessi cenci etnici fece sorgere in lui il sospetto di far parte comunque di un’umanità omologata. Il mercato ha una risposta a tutti i bisogni…preoccupazioni inutili, perché i fatti di Genova e la nube di fumo e detriti delle Twin Towers, segnarono la fine di tutto.

Da tre anni, ormai, non lavora più: chi li compra i quadri con la CRISI? Ora ci vive, in strada. Se la cava, è diventato un vero esperto. Conosce i cassonetti dei ristoranti, le mense della Caritas, i dormitori…Peccato che alcuni abbiano chiuso per mancanza di fondi. Ora a volte, nelle sere più fredde, non si trova posto… Per fortuna ha scovato questo capannone dismesso. Sono decenni che è abbandonato. Delocalizzazione. La sera prende la circolare e viene qua a passar la notte. Dicono che la zona sia infestata dai fantasmi, per via del ponte. Ecco perché le squadre di neonazi stanno alla larga, hanno paura dei fantasmi. Bah…Ivan non ne ha mai visti. Ci si può dormire tranquilli senza il rischio di far la fine di Giordano Bruno. Chissenefrega dei fantasmi. Mica ti vengono a dar fuoco, se ne stanno là pallidi e inquieti ma non fanno del male ai poveri cristi…
Stasera butta bene, gli hanno allungato un bel po’ di spiccioli. E’ Natale e chi è in centro per sciopping, preferisce che i barboni si levino di torno alla svelta. S’è comprato un bottiglione di due litri, per sognare. Sistema i cartoni, le buste di plastica, la coperta. Riprende fiato. Da un po’ gli viene spesso l’affanno, chissà. Pensa che dovrebbe farsi vedere da quei dottori di emergency, ma gli dispiace, hanno tanto di quel lavoro, ci sono giovani, donne incinte, bambini…
Fuori è davvero inverno. Una distesa desolata, fin dove lo sguardo si perde. All’orizzonte il cielo grigio si fonde con i tetti dei capannoni dismessi. Una nebbia leggera grava sulla pianura che fu zona industriale. Voli di gabbiani evocano la voce della risacca, ma non è il mare è solo la discarica. Ivan ha freddo, ha male al cuore. Nel cassonetto, al Mc Donald della stazione, ha trovato una confezione di crocchette, quasi intatta, ma non ha fame. Carezza il bottiglione e guarda fuori. Beve lunghi sorsi e guarda fuori.
Il ponte dell’autostrada s’interrompe sul nulla. Pare l’abbia fatto crollare un’alluvione. I soldi per ricostruirlo non ci sono. E’ transennato, ma a volte ci vengono quelli che vogliono suicidarsi. Tolgono le transenne e si lanciano sulla rampa a tutta birra. Il volo, l’ultima ebbrezza. Lo schianto. Il nulla.
Beve ancora e guarda fuori. Freddo e grigio. L’inverno. Uno strano torpore gli sale dai piedi, su per le gambe. Sistema meglio i cartoni, la coperta, il cappotto e beve ancora.
Ed ecco che lo vede. Brilla, basso sull’orizzonte. E’ confuso nella nebbia, ma lo riconosce. Il sole. Brume rossastre lo circondano. I gabbiani lanciano grida sulla discarica. Erano mesi che non vedeva il sole. E’ sempre coperto, dicono che sia l’inquinamento. Stasera il vento di tramontana è riuscito ad aprire un varco. Che bello, il sole. E’ così caldo e ora Ivan non ha più freddo, sente il torpore dolce del vino, sente il calore del sol dell’avvenire, tornerà finalmente la primavera e poi l’estate…
“Bimbo, quella non è l’alba, è il tramonto”.
Erano davvero queste le parole del vecchio partigiano?
Lo sa. Lo sa che è inverno, lo sa che quello è il tramonto. Ma sta così bene, ora, col vino che gli scorre nelle vene e il sogno che accarezza la mente e i raggi caldi sul viso e i gabbiani a cantare di libertà… Così bene, che continua a sognare.

Dalla “cronaca cittadina”
Ieri, in un capannone dismesso nella zona industriale, è stato trovato il cadavere di un uomo, non identificato. Gli oggetti trovati accanto al corpo, completamente mummificato, fanno supporre che si tratti di un clochard, forse una delle tante vittime del freddo dello scorso inverno. L’esame autoptico fornirà maggiori dettagli sull’età della salma e sulle cause della morte.

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4 commenti »

  1. Hai proprio ragione, siamo un popolo di Marie Antoniette… Racconto desolante e triste che riporta con gli occhi di un bambino prima e di un adulto (fallito?) poi gli anni che hanno segnato l’Italia. Un unico, personale, appunto: avrei terminato il racconto senza la citazione dalla cronaca cittadina, facendo aumentare la consapevolezza nel lettore degli ultimi istanti di vita di Ivan. Una curiosità: visto anche l’altro bel racconto su Bologna, da dove arriva tutta questa passione per la storia italiana degli ultimi 40/50 anni?

  2. Beh…sono nata e ho vissuto in Italia negli ultimi decenni! E tra le colonne portanti della mia formazione ci sono gli “Scritti corsari” del Poeta…

  3. P.s. Hai ragione, il finale è un’ingenuità. L’ho scritto un anno fa ed era il mio primo racconto. Ora sono un po’ più furba.

  4. Mi piace molto l’atmosfera di un’Italia che non c’è più ricreata all’inizio: la bianchina, il bar con tanto fumo, le vecchie canzoni superate ma non troppo. Sembra di veder scorrere le immagini-tipo di una storia semplice e parecchio tormentata al tempo stesso, com’è quella del nostro Paese….!

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